Quando sono entrato in negozio per cominciare il mio turno, ho capito immediatamente che per Alessandra, la mia collega, non era giornata. L’ho capito dal fatto che pur vedendomi entrare non mi ha salutato, che al mio saluto mi ha risposto con un ciao debole e freddo e che i suoi occhi, al mio passaggio davanti alla cassa, si sono abbassati come per sfuggirmi o per evitare che io intuissi il suo stato d’animo. “Bene”, ho pensato, “cominciamo molto bene la giornata”. Così sono entrato in magazzino, ho posato il portafogli e le chiavi della macchina, mi sono dato una rinfrescata alla faccia e poi ho cominciato a fare il mio mestiere. Io non so se Alessandra racconti bugie però so che non è capace a nascondere quello che le passa per la testa o che tiene dentro lo stomaco e ciò la rende particolarmente fragile e vulnerabile. Se fuori dal negozio le è capitato qualcosa di spiacevole o di particolarmente piacevole e lei non vuole raccontarlo, ecco che i muscoli della sua faccia, e il taglio di suoi occhi (occhi bellissimi, ve lo assicuro) assumono una forma diversa rispetto al solito: glielo si legge in faccia, come si suol dire.
Quando mi avvicino a lei, le chiedo se la mattinata è stata tranquilla o meno o se c’è qualche novità particolare che io debba sapere e lei mi risponde che non c’è stata tanta gente, che ha telefonato un rappresentante, che è passato un mio amico a cercarmi e che sono arrivate le copie di quel libro che tanto aspettavamo. Mi dice queste cose di fretta, come se in fondo queste cose, per il negozio, non fossero così importanti, come se il cuore della questione fosse un altro. “Tu stai bene Alessandra?”, le chiedo. “Bene, perché?”. “Perché mi sembra che hai qualcosa”. Allora lei, finalmente, riesce a guardarmi negli occhi. “È successo qualcosa o no?”, “Guarda, è successo che un cliente mi ha fatto incazzare tanto”. “Incazzare? E per quale motivo?”.
“Tu quanti anni mi dai?”, mi chiede lei arrabbiata e io le rispondo che non capisco quella domanda e che comunque la conosco da così tanto tempo che faccio fatica a non darle l’età che ha, cioè ventuno. “Sì, ma se tu non mi conoscessi, quanti anni mi daresti?”. Così, sospettando che il cliente l’avesse fatta sentire, chissà come, più grande di quella che è, ad Alessandra le dico: “Non so, facciamo che ti darei un paio di anni in meno. Sembri più giovane”. Allora lei fa una faccia come per dire “lo sapevo, anche tu sei come il cliente”. E mi racconta che poco prima un cliente che "viene spesso" le ha dato quindici anni, che si è stupito della sua giovane età, che è singolare che una ragazzina già lavori in una libreria e mi racconta anche che lei, al cliente maleducato, ha risposto quasi in malo modo che di anni ne ha ventuno e che, insomma, “come si permette a darmi quindici anni?”.
“Tu quanti anni mi dai?”, mi chiede lei arrabbiata e io le rispondo che non capisco quella domanda e che comunque la conosco da così tanto tempo che faccio fatica a non darle l’età che ha, cioè ventuno. “Sì, ma se tu non mi conoscessi, quanti anni mi daresti?”. Così, sospettando che il cliente l’avesse fatta sentire, chissà come, più grande di quella che è, ad Alessandra le dico: “Non so, facciamo che ti darei un paio di anni in meno. Sembri più giovane”. Allora lei fa una faccia come per dire “lo sapevo, anche tu sei come il cliente”. E mi racconta che poco prima un cliente che "viene spesso" le ha dato quindici anni, che si è stupito della sua giovane età, che è singolare che una ragazzina già lavori in una libreria e mi racconta anche che lei, al cliente maleducato, ha risposto quasi in malo modo che di anni ne ha ventuno e che, insomma, “come si permette a darmi quindici anni?”.
Io non capisco. Proprio non riesco a comprendere come ci si possa sentire offesi quando qualcuno ti fa sentire più giovane. “Non sei contenta di dimostrare meno anni? Magari quindici anni non li dimostri, ma comunque sembri più giovane, te l’ho detto anch’io”. E mentre dicevo questa cosa ripensavo al treno Brescia Milano che prendevo tutti i santi giorni al mio primo anno di università. Lì, su quel treno, per la prima volta in vita mia, una ragazza mi disse: “Scusi, è libero questo posto?”. Quella domanda, allora, fu per me una prima piccola coltellata in mezzo al petto, fu la consapevolezza che la linea d’ombra era stata oltrepassata. Fu, per farla breve, la prima volta che una persona mi dava del Lei. Impiegai cinque anni a dimenticare quel Lei detto su un treno che andava a Milano, su un vagone che sapeva di sigarette e cesso.
E allora, mi sono chiesto, come si può essere infelici quando qualcuno pensa che sei più giovane? Come si può detestare una persona quando non ti considera ancora un uomo o donna? E guardavo Alessandra, intanto. E guardavo i suoi occhi verdi e guardavo le sue mani già disciplinate e corrette nonostante i suoi ventuno anni. Pochi, pochissimi per sentirsi come me o come voi che state leggendo. E allora ho pensato la cosa più banale di questo mondo, la più scontata che si possa sussurrare a se stessi: siamo diversi. Siamo tutti diversi. Io, a calci, tenevo fuori dalla porta gli anni mentre lei, Alessandra, li fa entrare non solo dalla porta, ma anche dalla finestra. Per sentirsi donna, forse, o per legittimare le scelte e gli amori di questi suoi ultimi mesi.
Poi entrambi abbiamo continuato a fare i librai e quando si è librai, stretti e protetti dal dovere, l’età non conta, non diminuisce e non aumenta. Fino a quando qualcuno, a suo modo, riesce a trovare la fessura invisibile per ferirci silenziosamente e senza pietà.
Ih ih!
RispondiEliminaAlla mia ragazza succede la stessa cosa (21 anni e ogni tanto qualcuno che non la conosce dice che ne dimostra 15), e anche lei ci rimane male, anche se non così tanto...
E io ogni volta la consolo dicendo di pensare a quando avrà 80 anni che ne dimostrerà 75... :)
Quando all'università mi vedevano con Lei, mi chiedevano se stavo con una del liceo.
RispondiEliminaD'altro canto una volta si è arrabbiata perché l'hanno chiamata "signora", che è un po' il "lei" che hai avuto tu, Disagiato: credo sia più una forma di cortesia a prescindere da chi si ha di fronte, una frase "preparata" prima di squadrare l'altro/a.
Poi si possono fare speculazioni psicologiche da bar dello sport: magari alla tua collega dà fastidio essere presa per una quindicenne perché la minore età sembra toglierle quella maturità mentale che fatica a vedere riconosciuta. Tu questo problema non lo senti, ma temi invece di essere considerato meno giovane di quello che sei, anche dentro: mi viene in mente quella cena con la tua amica, alla quale era scappata una frase ambigua, cioè che sei "pesante" ;^) e te la sei presa da morire.
Un po' tutti lottiamo tra quello che siamo, quello che vorremmo essere e quello sembriamo.
E per questo si è rovinata la giornata? Mah...
RispondiEliminauqbal
vero.
RispondiEliminaio per il lavoro che faccio - e il ruolo che ricopro - mi ero fatto crescere il pizzetto che perlomeno, con quei quattro pelacci bianchi, rende un po' più vicina l'età apparente all'età reale (fino a un po' di tempo fa mi davano sette otto anni di meno di quelli che in realtà avevo).
poi, un giorno, entro da un cliente e la segretaria fa: "c'è qui quel signore".
quel signore?
quel signore?
aaaaargh!!!!
L'età porta rispetto. E dietro quelli che ti danno del tu perché "tanto sembri così giovane" ci sono i maleducati che vogliono trattarti come se fossi una bambina, con tutto quello che ne consegue. Con tutto ciò, non è un motivo per rovinarsi la giornata.
RispondiEliminaAnch'io trovo che non sia un valido motivo per rovinarsi la giornata; vai tu a capire la sensibilità delle persone (a chi troppa e a chi niente, caro Disagiato).
RispondiEliminaFirmato
Un pezzo di ghiaccio
(ovvero quel pirla del nomade)
@SpeakerMuto
RispondiEliminaA quell'incontro con l'amica non me la presi tanto per la parola "pesante" ma quanto per il contesto e la piega che aveva preso la cena. Poi ti assicuro che pesante lo sono e non mi sembra una cosa orrenda esserlo. HA i suoi vantaggi, anche se pochissimi rispetto agli svantaggi.
@nonunacosaseria
RispondiEliminaIn negozio "signore" me lo sentirò dire cinquanta volte al giorno. Ma la cosa, diciamo, non mi ferisce più.
@Ipazia
RispondiEliminaIo continuo ritenere incomprensibile la reazione di Alessandra. Non so spiegarmela, davvero. Forse, come dice il Nomade, è questione di sensibilità.
Concordo con Ipazia!
RispondiEliminaTralaltro questo è l'argomento del giorno a RTL 102.5... Ne sono uscite di cotte e di crude.
Direi che forse è peggio avere il problema opposto: avere 21 anni e sentirsi dare costantemente del lei, non contare più i capelli bianchi e capire che la gente pensa che sei un fannullone quando dici che ancora studi e vivi con i tuoi.
RispondiEliminaAnonimo
RispondiEliminase il commento era autobiografico, stai tranquillo...oggi il 40% dei trentenni sta a casuccia, contro il 18% di vent'anni fa...E onestamente, c'e' abbastanza comprensione intorno a questo dramma...
uqbal
Stavo per fare la maturità e un'amica di mia mamma mi chiese come sarebbe andato l'esame di terza media. Ricordo che mi aveva dato fastidio, perchè di anni ne avevo appena compiuti diciannove e guidavo già la macchina e la sera bevevo la birra e mi mettevo la matita sugli occhi. Insomma, mi prendevo sul serio. Ora i miei bimbi a scuola dicono che ho ventanni e io rido e dico grazie. Cambi di prospettiva, cambi di ironia.
RispondiEliminaè semplicemente per il fatto che c'è, se non di fatto, quasi e nella nostra cultura in modo ineluttabile, uno zenit, un apice, ancor più per le femmine, almeno negli ambienti più sessisti (che da noi è un po' come dire negli ambienti sociali più tali). Perfino ora che molte quarantenni hanno introiettato il vecchio motto morettiano e, per certi versi, molte giovani potrebbero invidiarle, magari lo fanno e più facilmente ne danno mostra. Come un fiore che sboccia, se fosse Narciso: non gli può dare fastidio sembrare all'apice né quando lo è, né quando non lo è anagraficamente, ma non può far piacere a un fiore nel pieno del proprio splendore passare per un promettente bocciolo. Almeno mi pare che così si spieghi eccome: perché mai alla maggior parte della gente dovrebbe far piacere passare per più giovane, altrimenti? E nessuno si ricorda di come anelava a essere come i diciottenni, prima di arrivarci, e facilmente come quelli un po' più grandi in molteplici sensi anche a quell'età? Secondo me è consueto dar per scontato che sia meglio passare per più giovani solo perché la maggior parte della gente ritiene, almeno implicitamente, di avere il proprio zenit alle spalle.
RispondiEliminaIo la capisco. A 21 anni uno che ne ha 30 ti sembra un vecchio, uno che ne ha 15 ti sembra un lattante. Più tardi le età si riavvicinano si mischiano e magari a 30-40 anni hai amici diciottenni o sessantenni e non ti sembra strano per niente. Ma a 21 anni l'età è una faccenda molto, molto seria
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