Per una serie di combinazioni fortuite e casuali, mi è capitato qualche sera fa (prima dell’affaire Gelmini-Fogazzaro, quindi non fate gli spiritosi) di avere una breve conversazione con Roberto Vecchioni. Più che una conversazione, a dire il vero, è stato un monologo: un mio monologo.
Gli ho raccontato di tanti anni fa, più di trenta anni fa, quando ero un ragazzino dodicenne a cui avevano prestato un suo vecchio disco, con alcune strane canzoni. La più strana si intitolava «A.R.» e io, ben inesperto, non capivo cosa significassero quelle due lettere. Ho raccontato a Vecchioni che, non esistendo ancora Google, avevo fatto molta fatica a scoprire che erano le iniziali di Arthur Rimbaud e che la canzone parlava proprio di quel poeta, di cui ovviamente ignoravo l’esistenza.
Da quel giorno (dal giorno in cui scoprii chi era Arthur Rimbaud) la mia vita cambiò.
Per sempre, mi tocca dire oggi: fu quella la svolta. Perché poi andai in libreria e comprai il libro con le poesie di Rimbaud. E nel giro di pochi giorni, io, ragazzino che tutti i professori dicevano possedere un talento «speciale» per la matematica, divenni appassionato di poesia. E niente fu più come prima.
«Quindi tu mi hai rovinato la vita» ho detto a Vecchioni l’altra sera, sorridendo un po’. E lui rideva e mi diceva che in fondo me l’aveva rovinata Rimbaud, la vita, se proprio era una rovina. E che lui si sarebbe per sempre considerato innocente. Visto che l’argomento lo divertiva (e visto che mi sopportava), gli ho raccontato anche di quello che successe due anni dopo, quando lui venne a tenere un concerto a Savona, la città in cui vivevo.
Avevo quattoridici anni e quello fu il primo concerto pop della mia vita. Ero emozionato. E Vecchioni cantò proprio quella canzone, «A.R.», tra le prime. Ma non solo: la introdusse anche, parlando della poesia e di come certi versi possano entrare nel sangue delle persone e non abbandonarlo più. Forse disse parole di cui oggi sorriderei: ma allora era allora, io avevo quattordici anni, in casa mia nessuno leggeva libri né sapeva chi era Rimbaud, avevo bisogno di quelle parole, nessuno me le diceva. Ascoltarle lì, in quel concerto, fu una conferma che mi rassicurò e mi convinse a continuare (e quindi è proprio lui ad avermi rovinato la vita, non ci sono dubbi).
Alla fine di questo racconto, Vecchioni mi ha detto: «Sai che io non mi ricordo niente? Avrei giurato di non aver mai suonato a Savona, nemmeno una volta in tutta la mia vita… avrei proprio giurato, e in buona fede, di non esserci mai stato». «Naturale» ho detto io «non possiamo ricordarci tutto… Sarebbe una condanna terribile». E lui ha annuito e forse era sollevato, non so.
Poi ci siamo salutati, e poi sono tornato a casa, a dormire. Ma mentre guidavo verso casa mia, ripensavo a quell’episodio, a quella specie di giuramento: mai stato a Savona nemmeno una volta in vita mia. Ecco, pensavo, ci sono a volte parole decisive per chi le ascolta e non per chi le pronuncia. Forse chi le pronuncia le sta dicendo così, come parole dette tra le tante che si possono dire; senz’altro le pensa anche, ma non è detto che le penserà ancora domani o dopodomani o tra qualche mese. Le opinioni cambiano, come cambiano i ricordi, come cambia la pelle. È normale, ed è giusto.
Ma le parole pesano lo stesso, però, anche se i ricordi cambiano. E allora ho dovuto pensare anche alle mie, di parole. A tutte le volte (non tante, ma nemmeno una soltanto) in cui un mio ex alunno mi ha fermato per strada per dirmi: «Ah prof, mi ricordo quando lei disse quella cosa…» E io non mi ricordavo né di averla detta e nemmeno di averla pensata, quella cosa. E a volte ho proprio risposto: «Guarda che ti confondi… Io non posso aver detto una cosa del genere» Ma forse mi sbagliavo io. Forse non mi ricordavo, come succede, a tutti, a me come a Vecchioni, come a chiunque.
E allora, in conclusione, mi sono detto che devo fare attenzione, che tutti dobbiamo fare attenzione, ma io di più. Che dobbiamo stare attenti alle parole che diciamo e a chi le ascolta e al peso che le nostre parole hanno su chi ci ascolta: che ci vuole poco a cambiare la vita di un altro, soprattutto se è un altro giovane; che c’è una responsabilità delle parole che ci tocca tutti, politici, insegnanti, cantanti, ma anche avvocati e panettieri. Le parole che diciamo, le persone a cui le diciamo (nostri alunni, nostri figli, nostri amici, nostri nemici): la necessità di fare attenzione e di assumersene, sempre, la responsabilità. Perché, in tante cose, siamo esattamente le parole che pronunciamo. E non è una brutta cosa da essere, ma è senz’altro una cosa molto pesante. Perché anche quando le parole sembrano leggere e volare via, in realtà non volano via..
* * *
(Ancora un attimo, prima di andarvene: nessuno mi ha rovinato la vita, devo precisarlo. La mia vita è piuttosto piacevole, non la cambierei. Non cambierei la poesia, non cambierei il mio mestiere, non cambierei la mia passione per Dante e nemmeno cambierei tutti gli scazzi che queste cose mi hanno, negli anni, consegnato e regalato in abbondanza. Dovevo precisarlo, per non far torto a Vecchioni e soprattutto per non far torto a me stesso e alla mia vita. E neanche ad Arthur Rimbaud, ça va sans dire.)
Grazie per la questa bella finestra su quello che sei stato, avendoti conosciuto allora ho ritrovato un po' di me in quei giorni. Anche se, a essere sincero, invidio un po' chi può permettersi di dire "mai stato a Savona nemmeno una volta in vita mia".
RispondiEliminami sta dicendo che con le mie parole io potrei cambiare la vita a un giovane? naaah... (è anche vero che non scrivo canzoni :-) )
RispondiEliminaMi piace molto quello che scrivi, e anche il modo in cui lo fai. Ti ho scoperto da poco e ne sono molto contenta. Te lo volevo dire.
RispondiEliminaAltroché se dobbiamo stare attenti alle parole che diciamo. Ma ancora più attenti alle parole che diciamo0 ai bambini e ai ragazzini.
RispondiEliminaDi questa storia che spesso non solo dimentichiamo le cose che diciamo, ma anche rifiutiamo la possibilità di averle dette, ne sono convinto, e succede spesso anche a me. Credo c'entri qualcosa col fatto che la nostra coscienza non sempre è collegata alle nostre azioni (anzi, non lo è quasi mai, come abbiamo già avuto modo di discutere qui: http://aaqui.splinder.com/post/24542469/una-questione-di-coscienza). E il tuo post mi fa anche pensare alla caoticità della vita, concetto inteso come super-amplificazione di eventi a prima vista insignificanti, a mo’ di “effetto farfalla” (il battito d’ali di una farfalla a Tokio può causare un uragano a New York, come una semplice canzone può cambiare il corso di una vita). Bel post, come sempre del resto. Buona giornata.
RispondiElimina... perché i ricordi cambiano come cambia la pelle
RispondiEliminae tu ne avrai di nuovi e luminosi come le stelle...
[R. Vecchioni - Dentro gli occhi]
@plus1: anch'io mi ricordo quando, quindicenni, ne parlavamo...
RispondiElimina@preferireidino
RispondiEliminaGrazie... E complimenti per il nick letterario, che è meraviglioso.
@Thumper
RispondiEliminaLa citazione era buttata lì, per vedere se qualcuno se ne accorgeva ;)
Eppure capita di dimenticare.
RispondiEliminaE l'altra sera sono andata a cena con un ex-alunno che mi ha ricordato un volantino avuto da me in terza media, con le parole: "Guarda qui, che secondo me è una scuola strana ma ti può interessare". Questo me lo ricordavo, eh. E l'ha fatta, la scuola strana, e adesso ha un lavoro che va e viene, però è contento, contentissimo, e allora sto meglio anch'io.
"Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!" (palombella rossa)
RispondiEliminaQuanto è difficile segliere le parole giuste e quanto è difficile spogliarle le parole e arrivare dritti al loro senso
"È poca cosa la parola,/
RispondiEliminapoca cosa lo spazio in questi crudi/
noviluni annebbiati"
E.M.
Grazie per la poesia, Professore.
RispondiElimina(OT: spero che abbia visto che il suo commento al mio vecchio post sulla Normale di Pisa è stato finalmente pubblicato... )
@la prof
RispondiEliminaQuella te la ricordavi, come altre ne ricordo anch'io, quando capita. Però capita anche di non ricordarle: il che è un po' terrificante, almeno per me.
ACQUE TORBIDE E PENSIERI LIMPIDI
RispondiEliminaIl potere della parola va di pari passo, ahimè, con l'uso improprio delle parole (ormai gridate e sguaiate) nella società di oggi. In Italia di sicuro, io penso anche all'esterno del nostro bel paese.
Specialmente se davanti ad un microfono ed uno schermo, se una persona nota, conosciuta, un rappresentante delle "istituzioni", una persona avviata alla politica, un presentatore, un artista, un allenatore, un "acculturato", un prelato. Ma anche un maestro ed un professore, eccome!
Ecco che la tua riflessione, Davide, sottolinea con forza la progressiva perdita di intensità della parola e del pensiero che la sottende e la istruisce.
Sembra che oggi, maestre le trasmissioni TV "urlate" e dove slogan selvaggi e volgari vengono ripetuti all'infinito, si sia perduto il senso della misura, la moderazione che andrebbe a braccetto con il pensiero limpido.
La risposta sembra facile: è proprio il pensiero limpido quello che si vuole far perdere nell'acqua torbida.
Marco
Ancora, di nuovo dici qualcosa che anche io ho spesso pensato. Solo che lo dici meglio. Mi piace molto leggere i tuoi post. Grazie.
RispondiElimina@Maria Paola
RispondiEliminaGrazie mille, per il commento e per la gentilezza.
ho letto con molto interesse quanto ha scritto e la ringrazio!!! purtroppo non tutti pensano prima di parlare e non capiscono che anche le parole feriscono..... grazie
RispondiEliminaGrazie, serenella, molto gentile...
RispondiEliminaSì, vabbè, ora capisci anche Vecchioni nel modo giusto. Smettila, io ti devo conoscere.
RispondiEliminaA proposito di Dante, e di tutte le cose scritte qui, immagino tu conosca questa: http://www.youtube.com/watch?v=2ak_hOv5MME
Be', immagino che capiterà anche di conoscersi, prima o poi. Per ora ci accontantiamo di conoscere entrambi le stesse vecchie canzoni dell'album "Ipertensione".
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