martedì 5 luglio 2011

l'ovvio motivo

di lo Scorfano
 
Da tanto tempo mi trovo costretto a chiedermi perché, quando si occupano di scuola, psicologi e psicoterapeuti finiscano per perdere il senso complessivo delle questioni, invischiandosi in dettagli e non ricordando nulla di quello che la scuola significasse per loro, quando ancora non erano né psicologi né psicoterapeuti (categoria entro la quale ho grandi e stimabilissimi amici, sia inteso).

Per esempio, due giorni fa, sul Corriere della Sera (quotidiano capace di cogliere con acutezza i più brillanti spunti della rete e dei blog, come già sapete), la psicoterapeuta Federica Mormando, «fondatrice di Eurotalent, associazione che dal 1984 lavora per il riconoscimento e il sostegno delle persone particolarmente intelligenti» (pertanto donna con cui non avrò mai niente a che fare), si chiedeva quali fossero le ragioni per cui un ragazzo di scuola superiore (si parla di «debiti») non avesse studiato. E ne proponeva in apertura di articolo tanti, tutti acutissimi: «Frequenta una scuola lontana dai suoi desideri o tendenze? Ha lacune anche nascoste da precedenti immeritate promozioni? È stato un anno particolarmente difficile? È in corso una ribellione generalizzata?»

Intendiamoci, tutte cause possibili e riscontrabili nella realtà, anche da me. Ma ne manca una, la più banale e, proprio per questo, senza dubbio la più diffusa.
  Ne manca una che sono costretto a proporre io, senza polemica ma con granitica evidenza: «Per caso, lo studente, come tutti, non ha dato segni di non avere voglia di fare assolutamente niente e di preferire che i suoi pomeriggi passino nella più assoluta e scazzata nullafacenza?»

Ecco, lo so che è tanto semplice, come motivo, ma la realtà è spesso molto semplice. Succede spesso anche a me, insomma: devo consegnare un lavoro e mi riduco all’ultimo momento, e quindi lo faccio male; devo preparare una lezione per il giorno successivo (sempre di scuola si tratta) e la preparo in fretta e furia, perché perdo tempo sul web, e il giorno dopo la lezione fa schifo; devo lavare i piatti del pranzo e rimando fino alle sette di sera, finché la mia ragazza si innervosisce e ci roviniamo la serata. Perché faccio così? È ovvio: perché cazzeggiare è più bello che fare fatica. Perché nessuno ha voglia di fare fatica; perché, davanti alla scelta tra il cazzeggio e lo studio (o il lavoro o il lavaggio dei piatti), chiunque, di primo acchito, sceglie il cazzeggio. È naturale.

Però sembra che sia un’eresia dirlo. Sembra che sia una scorrettezza inaccettabile confessare che tutti, ragazzi compresi (e loro anche di più, per età), abbiamo una propensione a non fare niente, a fare il meno possibile, appena possiamo, a rimandare anche quando sappiamo che rimandare non ci servirà a niente. E che non ci sono sempre (a volte sì, ma non sempre) sottesi motivi esistenziali o psicologici o turbamenti emotivi che vanno analizzati e studiati e compresi e curati. Spesso c’è solo la beatissima voglia di non fare un cazzo. E io davvero non capisco perché, psicologi e psicoterapeuti, appena sentono nominare la parolina magica, «scuola», se ne dimenticano.

12 commenti:

  1. Impossibile ammettere che si voglia fare nulla, altrimenti tutta la laboriosissima società si scaglierebbe contro..
    Meglio nascondere ciò anche se sarebbe bene dimostrare che troppa attività lavorativa fa male alla nostra salute e all'ambiente.
    Beati i primitivi che per mangiare lavoravano 3 ore e basta..e tra l'altro non in zone industrializzate..

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  2. Per parte mia, ammetto con tranquillità che se potessi non farei mai niente. Anzi, farei solo le cose che mi piacciono, ma non sempre: solo ogni tanto.

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  3. Lavorsre stnca......Questione di economia energetica. Ma credo anche che, nell'adolescenza, una sacra paura dei genitori e dei validi esempi a fianco (amicizie) possano far crescere l'interesse per lo studio e la conoscenza.
    ciao Falcolibero.

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  5. @falcolibero
    I fattori sono molti, quelli che dici tu e anche quelli che elenca la psicoterapeuta, non c'è dubbio. Mi sorprende sempre, però, che si dimentichi con grande scioltezza il più ovvio.

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  6. Scorfano

    Su questo post non sono d'accordo. Partendo dal presupposto che i nostri adolescenti non sono poi moralmente molto diversi da quelli passati, ma che sono sommersi da un maggiore numero di stimoli, il fatto che la scuola loro non piaccia e' un problema da prendere di petto.

    Mi e' venuto in mente vedendo sul giornale locale di Bari la gioia incosulta degli studenti che festeggiavano la fine della scuola davanti al mio vecchio liceo. Pareva avessimo vinto di nuovo i mondiali...Possibile che la fine della scuola debba essere una tale liberazione? Non si potrebbe avere una scuola che dispiace finisca, perche' ci si stava bene?

    Quando un ragazzo torna a casa e gli si chiede cosa ha fatto di solito risponde: "Niente". Perche' spesso non ha "fatto" nulla: ha ascoltato o obbedito ad ordini per cinque o sei ore.

    Una scuola interessante avrebbe studenti piu' studiosi. E' vero, c'e' il fancazzista, ma in genere la nostra scuola e' mostruosamente noiosa e respingente.

    Senza giustificare quindi il fancazzista consapevole o pensare che a tratti non ci voglia anche una certa durezza (che' gli adolescenti con la logica ci fanno a pugni tutti i giorni), io cercherei di guardare la trave nei nostri occhi docenti.

    D'altronde, se uno studente non studia e' perche' non conosce la virtu'. Ma se gia' conoscesse la virtu', di noi Socrati non ci sarebbe bisogno.

    uqbal

    PS: Falcolibero, la sacra paura come strumento didattico serve solo se sei un aspirante artificiere. L'apprendimento e' solo volontario.

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  7. @uqbal
    Parto dal presupposto che anch'io credo che la scuola (cioè noi insegnanti: la scuola non sono mica i muri) debba fare di più per stimolare lo studio e la ricerca dei ragazzi. Non ho dubbi.
    Detto questo però, ci sono altri dati di cui tenere conto. Esiste la responsabilità individuale: esiste per chi insegna ma anche per chi studia. Se un ragazzo (in un liceo, perché la scuola dell'obbligo mi è un po' estranea) non vuole studiare, non c'è niente da fare. Fa parte dei suoi diritti, tra l'altro. Pensare che ci si possa sostituire alla sua volontà e al suo senso di responsabilità trovo che sia illusorio e forse anche un po' diseducativo. Io non credo in una scuola rigida e militare, non ci ho mai creduto. Però so che si è in tanti attori e ognuno deve fare meglio che può la sua parte. Nessuno può (e nemmeno deve) sostituire l'altro. Giocate le carte possibili della didattica e della suggestione, poi c'è un punto davanti al quale io mi fermo: e tocca a te studente fare la tua parte (spesso piccola) di fatica. Se mi sostituissi anche in quella ti farei del male (a te studente, non a te uqbal, è ovvio).
    Questo come opinione generale. Sugli esempi che porti, potrei dirti che hai ragione, che gli adolescenti di oggi sono come ero io venticinque anni fa: e infatti studiavo il meno possibile, e festaggiavo di brutto quando la scuola finiva, e correvo a buttarmi in mare.
    Oppure potrei dirti che è normale che un ragazzo festeggi quando la scuola finisce e che mi preoccuperei un po' se invece gli dispiacesse. Ma so che non sono questi gli argomenti e sarebbero quindi solo osservazioni pretestuose. Non è questo che trovo rilevante.
    Quello che trovo invece decisivo è sapere (per chi insegna) che c'è un limite al nostro agire, che non siamo potenti fino a quel punto; che dobbbiamo molto migliorare, ci mancherebbe, tutti quanti, ma nella consapevolezza che il rifiuto di chi ci sta davanti è inevitabile e fa parte del lavoro.
    Ecco, se poi rifiutassero tutti in blocco, o anche solo la metà di tutti, be', sì, in tal caso la situazione sarebbe molto grave, e tutto il discorso non varrebbe più.

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  8. Su una cosa sono completamente d'accordo, Scorfano: alla fine il pallino ce l'hanno gli studenti, che sono persone, non creta nelle nostre mani.
    La mia idea è che noi siamo giardinieri: zappettiamo torno torno, concimiamo, inaffiamo...ma poi lo decidono loro quando fiorire (né noi decidiamo quale fiore facciano!).

    Però, insomma, invece di rinfacciar loro che non fioriscono sulle rocce, potremmo dargli un po' di terriccio...al limite, per poterci mettere a parte civile, come si dice a Bari: "Ehi, io ho fatto di tutto per metterti a tuo agio, però tu mettici del tuo..."

    Col che non voglio dire che tu non lo faccia: è un discorso di ordine generale.

    uqbal

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  9. @uqbal
    Ecco, detta così, mi convince.
    (Ovvio che su parla in generale; partiamo da quello che riusciamo a vedere per provare a fare un discorso generale; sperando che ci aiuti, ovviamente, in prima persona).

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  10. Io non credo sia questione di non voler fare niente perché alla fine si cerca sempre di lavorare il meno possibile. Io penso che invece molti studenti non sanno prendersi le proprie responsabilità. Si pensa più a condividere idiozie su facebook e ai ragazzi/e che a riflettere che la scuola forma per la vita e sapersi responsabilizzare aiuta anche per il mondo del lavoro. Lo dico come studentessa del liceo sia chiaro. Studio per dire grazie ai miei genitori, per imparare, per me stessa, per diventare un cittadino responsabile e non una scansafatiche.
    Michelle

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  11. La mia e' una prospettiva diversa, quella di genitore. Davanti ad un ragazzo che rifiuta la responsabilità dello studio e non ne coglie il ruolo fondamentale per la sua crescita, quale opzione rimane? Il lavoro?
    Faccio fatica ad arrendermi all'evidenza che lo studio senza una minima adesione personale non porta ad alcun apprendimento. Eppure...

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  12. scusate, ma imbattutami in questa discussione, non posso fare a meno di dire: ma la funzione della scuola non è appunto portare gli allievi ad essere contenti del conoscere, a vincere la non voglia di studiare ricordando la soddisfazione di aver imparato e di aver avuto coscienza della ioia di capire? Parlo di quasi tutti i ragazzi, quasi tutti sono entusiasmabili da bravi insegnanti. O ci piace una società in cui le persone faccinao il meno possibile?

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)