venerdì 15 luglio 2011

Assuppaviddrano

del Disagiato

E alla fine la mia collega se ne va. Non ora, non in questi giorni, ma comunque presto. “Questione di una manciata di mesi”, mi ha detto. E mi ha confidato che non ne può più della gente che circola in negozio, che non ne può più degli orari imbecilli del centro commerciale e che se tutto va bene ha intenzione di aprirsi una cosa tutta sua. Una cartolibreria dalle sue parti, distante dalle tangenziali e dalla città. Io sono rimasto un po’ così, a metà tra il dispiaciuto e l’incredulo. Lavoriamo insieme da cinque anni, ma la conosco da due. Almeno questo è quello che penso io. Non so cosa sia successo, ma a un certo punto ci siamo messi a tirare la fune dalla stessa parte. Siamo diventati amici o comunque non più semplici colleghi di libreria. Ho conosciuto suo marito, abbiamo scoperto insieme ottimi posti dove mangiare e abbiamo cominciato a raccontarci cosa ci succede là fuori dal negozio, nelle nostre case e nelle nostre vie. Però, porco cane, adesso mi dice che se ne va. “E io? Cosa fai, mi lasci solo?”, le ho detto. Lei allora ha riso.

Ridi, ridi pure, ho pensato, però io rimango solo per davvero. Non che non vada d’accordo con le altre colleghe, no, non è questo. È solo che… È solo che con lei in negozio non mi sento così ridicolo a consigliare un bel libro e a spiegare (perdonate il verbo) a un cliente perché dovrebbe leggerlo quel libro. A voi sembrerà strano, ma uno che passa la sua intera esistenza a dire agli altri cosa sarebbe meglio leggere un po’ si sente fuori luogo. Torna a casa e si ritrova un mondo che non è proprio così. Non so se mi capite. Ecco, se va via lei non sarà più la stessa cosa. Comincerò pian piano a diventare un po’ fiacco. Comincerò a pensare che vendere libri è un lavoro come un altro. Ecco, lei mi ha fatto sentire come una persona che fa bene il suo mestiere. Guardate che mi sto trattenendo dall’utilizzare la parola “valorizzare”. Non so perché, ma non mi piace questa parola.


A un certo punto, dicevo, abbiamo ridotto le distanze. Magari anche merito mio, se si può parlare di meriti, ma adesso voglio pensare che sia tutto merito suo. Insomma, mi dispiace che se ne vada perché in negozio, con la sua presenza, avevo imparato non solo a sistemare i libri o a guardare la gente ma anche a pensare come a un’idea fissa che i libri sono una bella cosa. Non solo merce e non solo carta. E in una libreria che sta in un centro commerciale è facilissimo finire alla deriva, farsi soffocare da un ritmo che ci fa dimenticare quello che sta sulle pagine, in mezzo alle copertine, tra le virgole e i punti.

In una libreria, come penso in qualsiasi altro mestiere, succede che ti accorgi di aver dimenticato il senso dei gesti solo a fine anno e senza tirare le somme. Senti la stanchezza e l’insensatezza molto dopo. “Cosa diavolo sto facendo?”, ci si chiede in primavera, quando i movimenti ricevono un po’ di lentezza. In Sicilia hanno un modo per chiamare la pioggia fine, quella che c’è ma non senti: piove ad assuppaviddrano. Il contadino, con la pioggia fine, va avanti a fare il suo mestiere perché intanto la pioggia non si sente, non dà fastidio. Poi torna a casa e i vestiti sono inzuppati.

Ecco, il libraio, il commesso, si vede inzuppato di pioggia solo a fine giornata. Anzi, solo alla fine dell’anno. E allora, in quel momento, piglia uno sconforto tale che viene da chiedersi se il gioco vale la candela, se i soldi guadagnati dal vendere libri sono il giusto e che razza di mestiere mi è capitato. E allora qualcuno ha la fortuna di avere un collega che ti dice che un po’ il mestiere te lo sei scelto e che le cose non vanno poi così male. Così, grazie a questo, ci si ributta nella mischia tappandosi il naso e godendosi le poche e piccole soddisfazioni.

Quando la mia collega se ne andrà, mi sentirò un po' più stanco, solo e inzuppato di pioggia. Sarò meno forte, ecco.

6 commenti:

  1. Andrai a lavorare in ciabatte e canottiera, trascinato dalla folla, guarderai le commesse brutte e ti piaceranno, farai il brillante con i clienti consigliando Coelho..:)
    Ho le tue stesse paure.

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  2. Come fai a conoscere l'espressione "assuppaviddrano", me lo devi spiegare.

    Per il resto “Cosa diavolo sto facendo?”, be', io me lo chiedo spesso. Proprio stamattina, mentre giravo stancamente la chiave della mia auto per avviarmi in agenzia, mi sono detto: "Un'altra giornata buttata in ufficio".

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  3. Bella la tua raffinata citazione, tra le meno note del revival della lingua sicula originato dal successo di Camilleri. Assuppaviddranu esprime, proprio come dici tu, il senso della fatica che deve proseguire nonostante le condizioni avverse e che solo alla fine si rivela per quello che è: umana fatica. Non solo di lavorare ma anche di vivere. Il tuo post, poi, offre l'opportunità di riflettere su un concetto oggi molto di moda e su cui mi piacerebbe che un giorno l'altro scrivessi: la decrescita felice (c'è anche un modo anglosassone per dirlo, downshifting, mi sembra). La tua collega, quindi, in un momento di crisi e di imprese che chiudono va via e si apre la cartolibreria. Io potrei farti tanti altri esempi di gente che comincia a non vedere più il senso. Io, ad esempio, sono uno di questi. Lavoro in uno studio legale (no, non sarò mai un novello Duchesne), per circa dieci ore al giorno. Ieri sera, dopo una giornata intera passata presso una cliente, mi chiama il capo e mi chiede come mai, nonostante le mie responsabilità familiari, io non fossi stato a studio. Le mie responsabiità familiari? Perché, ti risulta forse che sia andato al mare? Cosa mi stai dicendo, che puoi staccare la spina quando vuoi, e metti per strada me e la mia famiglia? Questo è il messaggio mafioso che intendi farmi avere? Allora scatta un moto di ribellione, di insofferenza, ti torna in mente quel "libertà vo cercando ..." che ti aveva tanto colpito. E così (visto che siamo in tema)pensi che anche tu stai scoprendo "la vita bugiarda" (Dante l'aveva capito prima di Perotti, altro che!), l'illusione che ti mangia l'esistenza giorno dopo giorno. Io non so quanto possa essere lungo un commento, per cui la chiudo qui. Grazie

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  4. @Ste
    Andrò a lavorare tristemente ebbasta ;)

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  5. @Speakermuto
    Camilleri in un paio di suoi romanzi ha scritto di questa pioggia.

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  6. @Dario
    Puoi scriverli anche lungissimi, che a me fa piacere. E questo è uno di quei commenti che servono al post per stare in piedi. Grazie davvero.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)