Non so esattamente cosa significhi sentirsi maggiorenni, ma io mi sono sentito maggiorenne ancora prima di compiere i diciotto anni o parecchio dopo averli compiuti. Una sensazione di adultezza (lo so, non esiste questa parola), una sensazione di grandezza tutta anagrafica e senza via di ritorno. Mi sono sentito adulto non la prima volta che sono andato in vacanza con gli amici ma la prima volta che sono andato al cinema da solo, non la prima volta che ho amato ma la prima volta che ho smesso di amare. E poi mi sono sentito adulto per motivi banali, come pagare una bolletta, pagare l’assicurazione e, più di tutto, pagare un affitto. Cose che possono fare anche i non adulti, i vili, gli uomini stupidi, però, insomma, a me queste cose puramente materiali mi hanno fatto sentire adulto.
E poi mi sento adulto, grande, ogni volta che non cedo alla tentazione di raccontare, quando tengo le cose per me. “Come va?”, mi chiede qualcuno e allora mi sento adulto e responsabile quando rispondo “Bene, grazie”. E magari le cose non vanno proprio bene grazie. Però questa cosa mi fa sentire integro, inamovibile, costante. Non cedo all’impulso di parlare e descrive e confidarmi. Una volta cedevo ma adesso, certe questioni, mi riesce più facile scriverle che raccontarle. Perché adesso sono diventato grande.
E mi sento grande tutte le volte che parcheggio la macchina e mi sento grande davanti al caffè del mattino e tutte le volte che mi proteggo dal vento e che chiudo a chiave una porta e dico al muro: “domani sarà meglio”. Adesso mi sento grande anche quando s’è fatto tardi ed è ora di andare a dormire e di abbassare le tapparelle e spegnere le luci e sentire l'odore della notte estiva accanto a me.
E però, ieri sera, mi è ricapitata davanti agli occhi una poesia che lessi quando non ero grande:
Adesso silenzio come nel dentro di una perla.
Adesso facciamo bianco.
Adesso né lume né buio come nel dentro di una perla.
Adesso facciamo che la testa ci sparisce.
Ma desso.
Su.
Adesso silenzio perché se no
Come nel dentro di una perla non dormiamo.
Adesso facciamo giallo facciamo viola.
Guardiamo rosso, tappata finestra degli occhi.
Adesso facciamo senza.
Adesso facciamo.
E quando ho l’ho riletta, questa poesia di Giovanni Giudici, mi sono ricordato di quando non mi sentivo maggiorenne. E non dico che ho provato nostalgia, non è questo, è solo che mi sono ricordato di quanto mi piacesse, allora, stare come nel dentro di una perla, in silenzio, con la testa che mi spariva. E di quanto mi piacesse fare giallo e fare viola, qualsiasi cosa significasse. Allora e non adesso.
Un post complesso. Sulla consapevolezza. Essere adulti forse vuol dire perdere la fiducia che la parola ci salvi, che la comunicazione sia terapia ai nostri mali, che il mondo sia caratterizzato, per sua ontologia, dalla solidarietà. Si, è così. La maggior parte delle volte. E non basta appellarsi alle eccezioni. E' la maggioranza che conta, quella a cui sai di non poterti rivolgere quando serve. Quella a cui mandi messaggi in bottiglia da un blog, per liberarti e senza aspettare che dall'altra parte della spiaggia ci sia qualcuno a raccoglierla, la bottiglia. Che è tanto diverso dal guardare qualcuno negli occhi, chiedergli aiuto e sapere che quell'aiuto non arriverà. Allora può capitare di rimpiangere il passato? Può capitare di non crescere? Si, capita eccome. Di scegliere di non avere niente a che fare con il cosiddetto mondo degli adulti. Di pensare che essere adulto sia tenersi tutto dentro. Ma così fanno i bambini. Quelli destinati, da grandi, ad essere poeti.
RispondiEliminaIo credo che scrivere, per capire di più se stessi, sia come tornare dentro quella perla...
RispondiEliminaIo ricordo un pugno di momenti in cui mi sono sentito adulto:
RispondiElimina- Quando ho cambiato città perché avevo cominciato a lavorare (e mi chiedevo "Ma che caxxo ci faccio qui?")
- La mia prima volta con Lei
- Al funerale di mio padre.
@Spartaco
RispondiEliminaIo ti ringrazio del bellissimo commento.
@Monica
RispondiEliminaLo credo anche io. Però credo anche che non sempre scrivere è più facile che parlare. Spesso è più imbarazzante dire delle cose a voi, che nemmeno so come siete fatti, che guardardando negli occhi una persona.
@SpesakerMuto
RispondiEliminaSpesso sono situazioni o vicende dolorose a riferirci che abbiamo fatto un giro di boa importante. E non so se dire purtroppo o no.
Si, è la maggioranza che conta.
RispondiEliminaMa conta anche ciò che suggeriva Gandhi, cioè che bisogna essere noi stessi, uno per uno, per primi, a diventare il cambiamento che poi vorremmo vedere e trovare intorno a noi.
Il fuoco comincia sempre da una scintilla.