martedì 26 luglio 2011

Di cosa si vive

del Disagiato

Quello che penso io è che Amy Winehouse non è morta d’amore e che d’amore non si muore e penso addirittura che il titolo della sua bellissima canzone, Love is a Losing Game, è un titolo buono per darsi carezze in macchina e che qualcuno, tempo fa, alla cantante doveva dire: “Amy, si perde per droga e alcool, non per amore”. E invece in molti, in troppi, abbiamo applaudito quando non bisognava applaudire. Già, perché sarò un disilluso, ma penso che l’amore non è né causa né conseguenza di nulla, ma solo una cosa bella che accade nel frattempo e che magari finisce e magari no. Chissà. Ma l’amore non c’entra con un cuore che smette di battere. Nel 2011 si muore di droga, eccome, e non credete, per favore, a chi dice il contrario. Si muore per mala gestione della propria vita, si muore perché andiamo a tavoletta fino a bruciare il motore e perché, eccoci, si va a letto troppo tardi. Questo vale per la Winehouse, per Cobain e per i ragazzi tossicodipendenti giovani e meno giovani che ho sentito morire nelle stanze accanto durante il mio servizio civile.

Accade che diventando famosi si entra in un frullatore che, se non sei capace a comprenderlo e a manovrarlo, ti spappola in breve tempo. Succede che scrivendo belle canzoni, e avendo una bella voce, guadagni tanti soldi e così puoi avere tutto quello che vuoi e sempre di più e sempre di più e sempre di più, fino a quando pretendi ancora di più e non capisci il senso di quello che stai facendo. E allora sì, una volta, quando il mondo intero non ti conosceva, si era più poveri ma più sereni e tra il desiderio e il suo soddisfacimento ci stava un po’ di percorso, come dicono i preti, e durante la noia di quel percorso si imparavano tante cose belle e brutte, si imparava la propria grammatica interiore e tante altre banalità. Magari si era dei pirla, ma un po’ di fatica e di sudore li si conosceva.

E invece il successo accorcia tutte le distanze e finisce che si rimane schiacciati. Soffre Brintney Spear e soffrirà, senza augurarglielo, Justin Bieber. Troppo giovani per avere successo. Anzi, meglio non conoscerlo il successo, che il successo è l’altra faccia della persecuzione (mi si velano gli occhi al pensiero di Pasolini che scrive questa cosa).

Le rockstar sono morte per mancanza di cultura e per cultura, ripeto, non intendo dire i libri o le poesie, ma il saper dire “No, bere troppo vino fa male”, “No, adesso vado a letto che è tardi”. Per me (per me) la tossicodipendenza è questa mancanza di cultura, è un modo sgangherato di gestire i propri sentimenti. È un male che colpisce tante persone ed essenzialmente chi bazzica gli studi televisivi e i Billioner o chi, in parole povere, non è in grado di oltrepassare indenne quegli anonimi martedì piovosi di febbraio che tutti conosciamo: martedì nei quali non succede niente e nessuno ci vuole bene. 

Quando ieri ho letto le ultime righe dell’articolo di Simona Siri, La ragazza Amy è morta d’amore. D’altronde ce lo aveva insegnato lei: l’amore è un gioco al quale si perde sempre. E qualche volta, addirittura, si muore, ho dato un pugno così forte alla scrivania che quasi mi casca il monitor per terra. Mi sono trovato arrabbiato per quella frasetta ad effetto, per quell’accostamento amore-morte che a molti romanticoni piace tanto. E ancora una volta si è persa l’occasione di ricordare che si è puniti sempre fuori stagione, che per la sigaretta che fumo adesso presto verrò punito, che per la mancanza di equilibrio e intelligenza presto verrò punito, che per la mia vita disordinata, concessomi gentilmente da manager e produttori per farvi divertire e consumare, presto verrò punito.

Bello, invece, dire che si muore per amore. Dà un tono all'ambiente.

15 commenti:

  1. "si è puniti sempre fuori stagione". Ti approvo in pieno, Disagiato.

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  2. E' vero, tutto vero. L'amore non uccide. E' l'ignoranza che ammazza. E' il mancato sviluppo dell'individuo che, quando viene preso dal vortice del successo, lo porta allo spappolamento. Dovunque vado, la superficialità regna padrona. Il che, in condizioni normali, genera semplicemente qualche guaio oppure una vita meccanica. Ma quando quella vita viene sovraccaricata di stimoli e possibilità... beh, abbiamo visto a cosa può portare.

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  3. Quando ho visto il link all'altro post, mosso da curiosità, sono andato a leggere. Essendo in ufficio non ho potuto picchiare la mano sulla scrivania, ma mi sono fatto una semplice domanda: ma questa tal Simona dove vive? Nel mondo delle favole? In una casa di ovatta dove tutto quello che accade fuori arriva smorzato?

    La Winehouse è morta perchè se l'è cercata lei, mica d'amore (si può amare da morire, ma morire d'amore no, dicevano anni fa i Neri per Caso)... Peccato per lei che non ha saputo gestirsi.

    Il successo a volte innalza, altre volte schiaccia. E se non si è bravi a gestire il successo, alla fine si rischia di morire schiacciati.

    (perdonatemi la macabra battuta, ma con un cognome come "Casa del Vino" mi sembra strano che non sia morta alcolizzata...)

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  4. "E allora sì, una volta, quando il mondo intero non ti conosceva, si era più poveri ma più sereni"

    Secondo me c'è sempre un disagio (appunto) interiore che ti spinge verso quel baratro. La tensione dello show biz chiaramente amplifica tutto, ma una Amy che non ci prova, che non tenta di diventare Miss Successo non credo sarebbe stata felice; magari sarebbe solo morta più lentamente perché aveva meno soldi per le droghe.

    Inoltre, benché non voglia istigare all'uso delle droghe, ricordiamoci che il mondo è pieno di persone di successo le cui narici hanno visto l'impossibile; alcuni nello show biz (Keith Richards vi dice niente? quanti anni ha?), altri in Parlamento, altri alla guida di fabbriche di automobili nostrane. (Confesso che lo spunto me l'ha dato questo articolo).

    La Winehouse non cercava semplicemente la droga, lo sballo o altro. Cercava l'autodistruzione. Perché qualcosa dentro di lei, e solamente dentro di lei, non funzionava, non la faceva stare bene, non l'avrebbe mai lasciata in pace.

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  5. Hai ragione, anche senza il successo probabilmente sarebbe stata una donna infelice. Solo che il movente del mio post non è la sua felicità o meno. Quello che mi interessa capire è il contesto in cui ha vissuto una donna pluripremiata, le persone che hanno gonfiato la sua celebrità, gli esseri umani che potevano fare altrimenti e invece non l'hanno fatto. Non mi permetto assolutamente di giudiicare la vita o lo stato psicofisico di qualcuno. Si fa un po' di sociologia, se mi permetti il parolone.

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  6. "Si fa un po' di sociologia, se mi permetti il parolone."

    Ne hai facoltà ;^)

    "gli esseri umani che potevano fare altrimenti e invece non l'hanno fatto"

    Vecchia storia, come già successe con Sid Vicious dei Sex Pistols. Io non riesco a non pensare al manager di una star che dice: "Chissenefrega se si sfonda il naso di intonaco! L'importante è che mi faccia guadagnare il mio dieci per cento! L'importante è che appaia sui giornali, per un motivo o l'altro. L'importante è che faccia parlare di sé. L'importante è che, se e quando morirà, le vendite saliranno alle stelle e io camperò di royalties".

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  7. La Winehouse, come tanti, è morta perché non ci stava più dentro. Perché puoi avere tutti i soldi del mondo, puoi avere tutto, ma se non trovi un senso in quello che sei e che fai, sbarcare il lunario diventa difficile, difficile.
    Non è che si muore per amore. si muore per mancanza d'amore, prima di tutto per se stessi.

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  8. La fama amplifica un fenomeno assai normale e che tu descrivi bene: il male di vivere. Molte anonime Amy ne soffrono e ne muoiono e nessuno ne parla, se non nelle statistiche. Ed è un errore pensare che qualcosa di estremamente effimero come la fama e tutto ciò che essa comporta abbiano un potere tale da deviare il percorso di un'anima. Io, tra le altre cose, credo che si nasca con una sorta di codice sorgente, un dna esistenziale che ci caratterizza e che, oltre a ciò, come diceva il Leonardo Sciascia, la personalità si forma nei primi dieci (o erano addirittura sette?) anni di vita. Io credo che sia così. E quindi mi sono curioso di sapere quale particolare declinazione del male di vivere si portava dentro Amy fin dalla nascita e cosa abbia contribuito a rafforzarlo nei primi anni di vita. Sicuramente ricorderai "il codice dell'anima" di Hillman. Non so se sia tra le tue letture preferite, ma il concetto neoplatonico di Daimon, ovvero il soffio vitale che ci caratterizza (e che, come tutto ciò che è vita allo stato puro, come l'amore, può anche avvelenarci, se non compiutamente realizzato) mi fa convinto che se sei venuto al mondo per dare e ricevere amore (ad esempio) e poi vivi in una famiglia spezzata, con un padre violento o assente, o ti ammali, o ti accade una delle infinite cose per cui questo benedetto amore non lo conosci se non in forma patologica, serve a poco diventare una star da milioni di dischi e copertine. Tutti noi abbiamo quella che io definisco LA QUESTIONE, ovvero quella cosa attorno alla quale si gira spesso per tutta la vita senza capirla bene o senza avere il coraggio per affrontarla. Ognuno, penso, ne possiede una particolare declinazione. La mia, ad esempio, è la paura.

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  9. Io ieri sono incappata in questo video: http://www.youtube.com/watch?v=H8puKtroKOo&feature=related
    e devo dire che la rabbia mi è venuta non per quello che scrivono personaggi più o meno sconosciuti, ma per tutte le persone che le erano attorno e che non hanno fatto NULLA. Io vedo un video del genere e il primo pensiero che mi viene in mente è che se fosse una mia amica, facesse parte del mio team, fosse mia figlia, una persona che si riduce in questo modo... la prenderei a schiaffi e la rinchiuderei in una clinica. Senza se, senza ma. E basta.

    A me fa male da morire vedere una persona ridursi così e sono consapevole che a quel punto lei non è più in grado di gestirsi e ha bisogno di aiuto. Dove erano tutti mentre lei si riduceva in questo modo? E un padre, o una madre, che vede una figlia ridotta in questo modo, a cosa pensa? Cosa aspetta?

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  10. Non ero un suo grande fan, apprezzo solo la canzone che hai citato e sono veramente lontano da certi ambienti, da certi atteggiamenti "alternativi". Però, ecco, mi dispiace.
    variabile

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  11. Eh no!
    Con tutta l'educazione che posso, ma forse sulla base di culture incommensurabili, ma decisamente no! Pofferbacchissimo se no!

    Non per via di Amy Winehaouse, la cui morte mi tocca come quella di qualunque persona al mondo e come quella di qualunque celebrità di uno sport di cui a malapena conosco l'esistenza, ma per via (di esempio) di Giacomo Leopardi!

    Già. Se della cultura fa ancora parte la logica, il discorso di questo post ha senso come dire che Giacomo Leopardi è morto per mancanza di cultura.
    Per fortuna, ché c'è il suo esempio, altrimenti l'assurdità sarebbe faticosa da appalesare. Ma quello che c'è scritto qui sopra significa proprio questo, visto come è morto Giacomo Leopardi (non dubito si sappia, visto quello che leggo delle biografie nella barra laterale). A meno che si voglia sostenere che non fosse colto, neanche in senso sociologico, il più grande poeta italiano almeno in senso sociologico (e non solo, sia chiaro).

    Ma perdinidirindina, altro che Jim Morrison, la morte di Leopardi, se la cultura è saper dire quelle cose (ma forse sì, perché in effetti non vuoi considerare i libri e le poesie e, senza quelli, credo che di Giacomo Leopardi a noi oggi resterebbe tanto quanto dell'ultimo quacquaraquà più o meno nobiluccio di paese di ben oltre un secolo fa) cioè che basta bere e no, magari quel qualcosa in più rischia di esser perturbante per questa singolarità!

    Ma prima di sbattere fuori dalla porta della cultura Giacomo Leopardi non è meglio chiedersi se si sta chiamando "cultura" qualcosa che si teme o non si vuole chiamare col suo o i suoi nomi?

    Perché dai, senza stare a stiracchiare i climax, uno che muore mangiandosi un Chilo e Mezzo di Confetti di Sulmona appena regalatigli dalla sorella, rispetto a chi si distrugge con sostanze stupefacenti - stupefacenti: mica paglia esser stupefacenti; per una sostanza poi... - fa la figura dello psicopatico norvegese rispetto a un normale perbenista nei termini di quel che qui si chiama cultura.

    Il confetto falqui e l'aspirina son cultura, come il letto presto e il latte scremato nel caffè, e le ginestre dove ce le mettiamo?

    Se invece fossimo una marea sperduta e stordita di esseri umani, animali più intelligenti ma, molto più, più boccaloni della media?

    Voglio dire, le migliori menti della mia generazione, sinceramente, non sono proprio riuscito a vederle, nemmeno facendo molta attenzione. Che si possano scrivere cose del genere e che mi arrivino riportate dalle cartine tornasole della medietà più elevata che conosco mi preoccupa più della voglia di non svegliarsi mai che altre idee di cultura associano a chi va a dormir presto. Mi fermo qua, sperando che

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  12. Con tutto il rispetto per chi scrive questo blog che non ho mai letto e mi pare interessante e anche per i neri per caso e il loro spessore e perfino per chi è così colto da sostenere che è l'ignoranza ad ammazzare (nella mia ignoranza avrei detto la morte: non faccio tenerezza neanche un po'?)

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  13. @Spartaco
    Conosco il libro che hai citato solo per la mia professione ma non l'ho mai letto. Seguirò il tuo consiglio, stanne certo. Per il resto, penso che il mal di vivere scaturisca per tanti motivi. Tutti, penso, ne soffriamo ma è il come lo si gestisce che mi interessa di più.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)