Visualizzazione post con etichetta centro commerciale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta centro commerciale. Mostra tutti i post

martedì 10 aprile 2012

Il pezzo più buono del pollo

del Disagiato

Che cos’è l’amore? La prima risposta che darei, se qualcuno mi chiedesse a bruciapelo “ma secondo te che cos’è l’amore?”, sarebbe, banalmente, questa: l’amore secondo me è volersi bene. Risposta banale, appunto. E poi è una risposta che in qualche modo rientra nella tautologia, nella ripetizione di se stessa: l’amore secondo me è l’amore. Ecco, più o meno ho dato questa risposta. La tautologia infatti serve a mettere nel piatto la stessa minestra e poi ancora e poi ancora e poi ancora e più proviamo a svuotarlo con il cucchiaio e più il piatto si riempie di minestra, all’infinito. Con la tautologia mangiamo la stessa cosa, diciamo la stessa cosa. Però c’è da dire che la risposta a questa domanda inflazionata non è per niente facile e io, che me ne sto sette ore al giorno a gironzolare su un palcoscenico un po' particolare (il negozio, il centro commerciale, il parcheggio del centro commerciale), mica l’ho capito che cos’è l’amore.

Cioè, dall’esterno, con un po’ di distacco, dovrei aver capito qualcosa. E in effetti una cosa piccola piccola l’ho capita, penso. Non ne sono tanto sicuro, ma penso di aver capito che cosa non è l’amore: l’amore non è avere gli stessi gusti, le stesse passioni. In libreria, tutti i giorni e più volte al giorno, assisto alla stessa scena e cioè: lei che acquista un libro e lui che le dice che quel libro fa schifo. “Ma che razza di libro stai comprando?”. “Ma leggi ancora quelle stronzate?”. Ecco, il dialogo conclusivo, prima di uscire dalla libreria, è questo, più o meno.

domenica 25 marzo 2012

Persone strane

del Disagiato

Che poi dovremmo sederci attorno a un tavolo e decidere cosa mettere dentro l’aggettivo “strano”. Un paio di giorno fa una signora mi ha chiesto “Avete il libro che s’intitola Arcipelago Gulash?" e dopo questa domanda io ho riso, la mia collega ha riso, la cliente non ha riso, poi abbiamo smesso di ridere, alla cliente abbiamo dato “Arcipelago Gulag”, lei allora ha realizzato e ha riso, io e la mia collega abbiamo riso ancora, la cliente ha pagato, è uscita dal negozio, noi sorridendo l’abbiamo presa per i fondelli e poi basta. Quella cliente era strana? No. Di clienti così ce ne sono tanti. E poi anch’io dico cavolate in negozio e altrove e tirando le somme posso dire che il centro commerciale è popolato da tanti clienti (e commessi) buffi e curiosi. Allora, cosa si può dire strano?

Strano è quel signore che tutti i santi giorni svuota i portacenere del centro commerciale per pigliare sigarette lasciate a metà? Se vi capita di venire dalle mie parti, sappiate che lo incontrerete là, in uno dei due ingressi principali. Questo signore è basso, ha i capelli bianchi raccolti in una coda di cavallo e gli occhi azzurri. Fuma e beve birra (tutti i giorni) e quando cammina per i corridoi i suoi occhi cercano le commesse che in vetrina cambiano i vestiti ai manichini.

martedì 6 marzo 2012

Il valore (magari religioso) della domenica

del Disagiato

Fuori dal centro commerciale, l’altro ieri, alcuni signori della Cgil distribuivano volantini per dire ad alta voce che i centri, la domenica, devono rimanere chiusi. Sono rimasto sorpreso, non lo nego, perché da queste parti i sindacati non si sono mai visti e solo più tardi scoprirò che erano lì, quei signori, per un’iniziativa ben più estesa e pubblicizzata. Ma va bene ugualmente, meglio di niente. Il volantino, come sta scritto nell'articolo dell'Avvenire, chiedeva ai cittadini di compiere opera di boicottaggio non acquistando alcun tipo di merce.

La protesta dei lavoratori italiani è rivolta, in modo particolare, a contrastare una norma contenuta nel decreto “Salva Italia” del governo Monti. Nello specifico, l’articolo 31 prevede la possibilità di tenere aperti negozi e supermercati 24 ore su 24 e sette giorni la settimana. Un provvedimento che, secondo Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil «non contribuirà ad aumentare né i consumi né l’occupazione nel settore».

Siccome i negozi sono in crisi, i titolari non possono permettersi di assumere altro personale per coprire i turni. Succede, quindi, che la maggior parte dei commessi deve lavorare anche di domenica. Durante la settima il povero commesso ha la possibilità di stare a casa? Io, in libreria, sì, ma da quello che so in altri negozi il giorno di riposo non è garantito per il motivo che vi dicevo prima e cioè che non c’è abbastanza personale per coprire i turni. Ecco perché i sindacati alzano la voce.

lunedì 27 febbraio 2012

Discorso da autobus

del Disagiato

Se oggi pomeriggio, nel centro commerciale dove lavoro, provassi a mettere nella bacheca la prima pagina dell’Unità, sono sicuro che dopo due minuti verrebbero in libreria le guardie per chiedermi spiegazioni. È solo un’ipotesi strampalata, sia chiaro, fatta solo per capire quanta distanza c’è tra le fabbriche che non possono più esporre l'Unità e un qualsiasi centro commerciale della provincia di Brescia. Che poi è anche un modo per guardare in faccia l’abisso che sta tra un giornale di sinistra e i lavoratori di un centro commerciale: un abisso immenso, se mai un abisso si può dire immenso. Non ho statistiche e dati da mettervi davanti agli occhi, ma la mia esperienza e le mie conoscenze mi dicono che la maggior parte dei commessi che stanno nei negozi affianco alla “mia” libreria hanno contratti che di notte non fanno prendere mica tanto facilmente il sonno.

Un commesso di un negozio di scarpe sportive, ad esempio, qualche giorno fa mi ha detto di essere stato assunto con uno di quei contratti dove lui risulta essere socio ma, naturalmente, senza esserlo (scusate l’incompetenza ma non conosco il nome di questo contratto). Ciò significa, per dirne una, che gli straordinari non gli vengono pagati. Perché mai i titolari dovrebbero pagare gli straordinari a un loro socio? E siccome io sono parecchio ficcanaso, in questi anni ho saputo che questo contratto ce l’hanno anche altri commessi di altri negozi. Il contratto è legale? Sì, è legale, quindi c’è poco da lamentarsi. E infatti i commessi non si lamentano.

martedì 7 febbraio 2012

Chi in barca e chi no

del Disagiato

Due o tre volte l’anno la direzione del centro commerciale organizza un’assemblea parecchio importante alla quale sono invitati a partecipare i responsabili dei negozi o addirittura i titolari (difficile, in questo centro commerciale, che un titolare sia anche un responsabile). L’assemblea, dicevo, è importante perché si discute di quello che è stato e soprattutto di quello che sarà: si parla di ricavi, di perdite, di spese fatte e da fare, di eventi da organizzare, di orari, di ordine, di pulizia, di saracinesche abbassate prima dell’orario di chiusura, di saracinesche abbassate molto ma molto prima dell’orario di chiusura e poi di altre cose che mi sfuggono.

Io, non essendo un responsabile e tanto meno un proprietario, non ho mai partecipato ad alcuna assemblea ma in negozio di queste riunioni se ne parla. Bene, un paio di settimane fa una guardia del centro commerciale è entrata in negozio per consegnarci un documento in cui si diceva che nel giorno x alle ore y si sarebbe tenuta una riunione importante. Lui mi dà il documento, io firmo una sorta di ricevuta e poi, prima di continuare le sue consegne negli altri negozi, mi chiede con fare aggressivo di esserci. Io gli rispondo che no, non ci sarò per il semplice motivo che non sono io il responsabile e che comunque deve stare tranquillo, che la mia responsabile leggerà quel documento.

mercoledì 18 gennaio 2012

Tutto fumo

del Disagiato

Poco prima dell’ultimo giorno dell’anno ho visto il direttore del centro commerciale parlare da solo. Io camminavo per i corridoi in quel momento poco affollati e dietro a una colonna, un po’ nascosto da chi, come me, era in quel momento di passaggio, ho visto il direttore che gesticolava e balbettava con lo sguardo verso il pavimento. Fingendo di guardare una vetrina, l’ho spiato. Di lui vi ho già parlato parecchio tempo fa: il direttore mette cravatte orrende, fa il bulletto con le commesse e si dà da fare per risollevare il morale del centro commerciale. Le sue iniziative, tutte, hanno una stessa finalità: portare sul palcoscenico una bella ragazza. O due belle ragazze o tre o quattro e via dicendo. L’’ultima iniziativa proposta dalla direzione del centro commerciale prevedeva una festa in maschera ben organizzata: a salire sul palco e a passeggiare per i corridoi c’erano professionisti vestiti da poliziotto, da Batman, da rocky, da joker, da un qualche personaggio di Star Trek che io non conoscevo e poi tante donne seminude che volevano imitare non ho capito chi. Un mio collega ha detto: “ci tocca lavorare in un puttanaio”. Ecco, magari l’espressione è sin troppo forte e magari anche difettosa, ma quel pomeriggio il centro commerciale era un puttanaio. Non saprei trovare definizione più azzeccata.

Insomma, come vi dicevo da quando è entrato in scena lui, un anno più o meno, l’andazzo è questo: feste e donne. E quindi: le donne e i comici di Zelig (il direttore è fissato pure con i comici di Zelig) attirano gente? Non tanta, ma un pochino sì. E comunque, come potete immaginare, la desolazione e i difetti di un centro commerciale un po’ datato come il nostro non li si possono risolvere con un palco, qualche donna e una paio di comici. 

lunedì 5 dicembre 2011

Ieri abbiamo lavorato male

del Disagiato

Nel centro commerciale, in queste settimane, ci si inventa di tutto pur di attirare gente. Alcune cose sono piacevoli, altre spiacevoli. Gli incontri di pugilato, ad esempio, sono piacevoli e non tanto per i cazzotti, ma per via del fatto che oltre a uno speaker che racconta quanto avviene durante il finto incontro sul finto ring, non c’è altro rumore. Le sfilate di moda, invece, sono spiacevoli, perché la gente urla e dice sconcezze (“io a quella le leccherei le gambe", per dirne una), perché lo stilista, o la stilista, con microfono alza la voce, perché la musica è a palla e, insomma, in libreria, che è vicina al palcoscenico dove avvengono tutte questi eventi, quando c’è baccano non si riesce a sentire cosa il cliente ha da dirci e di conseguenza si lavora male. Il volume troppo alto da fastidio oppure no?

Ieri non c’è stato un evento fastidioso, ma un evento fastidiosissimo e cioè il karaoke, che è una cosa che io proprio non sopporto. Ma non solo. Un’altra cosa che in vita mia non sono mai riuscito a sopportare è l’entusiasmo per le sigle dei cartoni animati. Non so se vi è mai capitato, ma ci sono delle sera, quando si sta tra amici degli amici degli amici, che qualcuno incomincia a parlare dei cartoni animati e a canticchiarne la sigla e allora tutti gli vanno dietro e ridono e fischiettano e ricordano gli anni settanta o ottanta con enorme entusiamo. Ecco, a me è capitato di trovarmi in situazioni del genere e tutte le volte mi sono alzato dalla sedia, ho salutato e sono tornato a casa.

giovedì 1 dicembre 2011

I ladri

del Disagiato

In vita mia ho rubato solo caramelle, e non per modo di dire. Cioè nel senso che tanti anni fa, vicino al liceo che allora frequentavo, c’era un negozio di caramelle e io e un mio compagno di classe entravamo e rubavamo sacchetti di caramelle. Perché ero stupido, oltre che ladro. Perché con la mia magliettina di Kurt Cobain e i jeans strappati volevo fare il ribelle fregando caramelle. Ero solo uno squallido ladro di pecore, invece, e adesso mi dispiace tanto di averlo fatto. Chiedo scusa e mi consegno alle autorità, se volete. Rimane che non ho più rubato e che al solo pensiero di fregarvi qualcosa, oggi, mi sento in colpa. Non si ruba, punto.

In libreria in questi giorni ci hanno rubato due libri: un libro di Marco Travaglio e un libro di ricette di Benedetta Parodi. Abbiamo trovato pezzi di copertina in un angolo del negozio e l’antitaccheggio dei libri (gli antitaccheggio sono quadratini adesivi applicati ai libri) in un altro angolo. Mancavano i libri, appunto. "Bastardi", abbiamo sussurrato noi commessi. E io ho ripensato alle caramelle. Però vorrei dire una cosa: un conto è un adolescente scemo e brufoloso che ruba caramelle gommose e un conto è rubare un libro di Marco Travaglio o di Benedetta Parodi. 

domenica 6 novembre 2011

Parcheggiare la macchina

del Disagiato

Il centro commerciale che mi ospita ogni benedetto giorno è letteralmente circondato da un immenso parcheggio gratuito. Questo parcheggio, appunto perché grande e gratuito, fa un pochino la fortuna della struttura. Arrivi lì e trovi parcheggio senza grandissimi sforzi. I dipendenti parcheggiano vicino alle porte di servizio del centro, quelle porte dove “solo noi possiamo entrare”, “solo noi possiamo uscire” e “solo noi abbiamo le chiavi per entrare e uscire”. Ecco, tutti parcheggiamo vicino a quelle porte laterali per comodità, per avere, come dire, uno spazio riservato e per fare meno strada possibile per raggiungere il negozio o, finito il proprio turno, la macchina. Tutti facciamo così: cerchiamo la comodità in quel parcheggio laterale e quasi defilato rispetto al resto. Perché noi, lì, ci lavoriamo. Perché noi non siamo clienti e neppure siamo come i clienti. Buttiamo la macchina in quel pezzo di cemento a costo di trovarcela rigata o ammaccata, Già, perché volendo la comodità dobbiamo di conseguenza fare i conti con l’affollamento. E l’affollamento ci restituisce macchine rigate e ammaccate. Insomma, le macchine stanno alle strette e così basta poco per toccare una portiera o uno specchietto. La mia, di macchina, ha una riga sulla portiera sinistra e una botta non vistosa nella parte posteriore a destra.

Ci sono dipendenti del centro che invece non parcheggiano dove parcheggiamo noi. Parcheggiano lontano da noi e dal centro commerciale, in fondo, in quei posti che non conosciamo, che non abbiamo mai visto e nessuno di noi, probabilmente, mai vedrà. Ecco, ci sono dipendenti che mettono la macchina lì per non rovinarla. Posteggiano e poi attraversano un piazzale enorme con un’andatura diversa dalla nostra. Noi conosciamo le loro facce, sappiamo dove lavorano, se hanno figli e di qualcuno sappiamo pure il nome e il cognome. 

martedì 1 novembre 2011

Io e le commesse che fanno le fotocopie

del Disagiato

Un amico mi ha detto che le commesse di un negozio non tanto distante dalla libreria sono letteralmente terrorizzate da me. Il mio amico l’ha saputo dalla sua ragazza che ha un amica che in quel negozio ci lavora. “Il ragazzo che lavora in libreria ci fa paura”, deve aver detto la commessa alla ragazza del mio amico. Io naturalmente sono rimasto sbigottito, perché posso assicurarvi che sono una persona mansueta. Magari ho perennemente la faccia di uno a cui gli è appena caduto un bicchiere di latte in terra, però vi posso assicurare che non sono un attaccabrighe o un malmostoso. O almeno penso. Il fatto, se posso discolparmi da eventuali accuse, è che quelle commesse spesso vengono in libreria a fare fotocopie. Niente di male, anche il fare le fotocopie rientra nella cerchia delle faccende che dobbiamo sbrigare in negozio. Però, ecco il punto, portano fogli da fotocopiare alle 14.32, per fare un esempio, e tornano a riprenderle quattro o cinque ore dopo.

Questa rilassatezza (perché per me è rilassatezza) mi dà parecchio fastidio e la prima volta che questo è accaduto sono stato zitto, la seconda ho fatto la faccia dura con una delle commesse, la terza anche e la settima volta ho anticipato le commesse, ho preso i fogli e poi sono andato parecchio incazzato nel loro negozio spiegando che le fotocopie dovrebbero venirsele a riprendere se non subito, quasi. “Che cosa cambia se veniamo dopo qualche ora?”, mi ha detto sarcastica una delle commesse e io allora ho sfoderato la mia arma invincibile e cioè il  “Se tutti facessero così”. Quindi le ho detto: ”Se tutti facessero così, in negozio non riusciremmo a muoverci per la quantità di fogli”. E lei se n’è stata zitta, mi ha pagato le fotocopie e poi, a quel punto, ha cominciato a temermi. Ecco, penso che le cose siano andate così, più o meno. Insomma, le commesse di quel negozio sono terrorizzate per colpa della mio “Se tutti facessero così”. Per il resto io sono una persona gentile e garbata. Sono loro che non capiscono.

venerdì 28 ottobre 2011

Ci sono cose più importanti

del Disagiato

Io vado in libreria per la pagnotta, prima di tutto, e poi per una piccolissima passione che con gli anni, e anche con l'esperienza, va assottigliandosi. Questa cosa della passione e del piacere di stare in mezzo ai libri è cosa che non dico ad alta voce perché poi la gente conosce i miei punti deboli e se ne approfitta. Regola numero uno: mai dire ad alta voce ciò che per noi è intimo, che poi la gente tocca con il ditino la parte esposta e vulnerabile e finisce che si soffre. Come quell’iscrizione nelle catacombe di Commodilla: non dicere ille secrita a bboce, non dire le segrete a voce alta, ma quasi in silenzio, piano, solo per se stessi, per la propria interiorità e basta.

Quindi questa cosa della passione per i libri fate finta di non averla neppure sentita e se vi dico che ad alcuni clienti che da molti anni entrano in libreria mi ci sono un pochino affezionato vedete, questa cosa, di farvela entrare da un orecchio e uscire dall’altro. Come non vi avessi detto nulla, per l’amor di dio, come se ve l’avessi detta a bassa voce, a me stesso. Quandi non fatelo sapere in giro che per me i clienti sono materia importante di questa catena di montaggio che è la mia vita, perché se la gente viene a saperlo, si fa strane idee. 

mercoledì 19 ottobre 2011

La gente comune

del Disagiato

Da quando è accaduto quello che è accaduto a Roma sono stato in libreria a lavorare per ben tre volte. Nel valzer quotidiano dei nostri turni lavorativi ho incontrato tutti i miei colleghi e ho incontrato nello stesso ballo quotidiano commessi e commesse, conoscenti, clienti e gente di passaggio che in questi anni mi hanno fatto inconsapevolmente compagnia. In tutte queste ore passate nel centro commerciale con tutte queste persone non ho mai parlato dei ragazzi che hanno lanciato pietre, della manifestazione pacifica, dei motivi della manifestazione (di questo se ne è parlato pochissimo anche da altre parti, a dire il vero), delle reazioni politiche e di tutto il resto. Abbiamo parlato di altro, come è giusto che accada in un posto in cui ci si incontra per lavorare e mettersi in tasca i soldi per l’affitto. Però, se proprio devo fare il precisino, con una mia collega ho parlato dello scadente palinsesto televisivo della Rai, della cattiva gestione del nostro tempo libero (“dormo troppo, dormo troppo”, mi ha detto una mia collega) e poi abbiamo parlato anche del video porno di Belen Rodriguez. Ecco, sì, abbiamo parlato di cose che non hanno un peso notevole nell’economia della giornata e mai, dico mai, abbiamo sfiorato l’argomento di Roma.

Perché mai avremmo dovuto farlo? Avremmo dovuto farlo perché quello che è accaduto a Roma sono cose che ci riguardano. Vi sembra banale? A me no. Invece di questo argomento me ne sono occupato solo sopra una tastiera, davanti a uno schermo, con gente che neanche conosco. Allora mi viene da pensare che l’angolino in cui mi sono rifugiato sia un po’ arido, povero di idee. Possibile che tra librai e non solo non si sia mai discusso di gente che lancia sassi? Possibile che non si riesca a fare politica spicciola anche solo per tre secondi consecutivi? Perché mi sono ritrovato a parlare di programmi televisivi e non della manifestazione?

sabato 27 agosto 2011

Emanuele, il manutentore

del Disagiato

Quando in negozio si brucia una lampadina o il cesso perde acqua noi commessi non facciamo altro che chiamare i manutentori del centro commerciale. Tra i manutentori del centro commerciale c’è Emanuele, che tra i cinque o sei stipendiati per aggiustare ciò che è rotto o difettoso è il più bravo e simpatico. Anzi, facciamo così, utilizzo questa parola per Emanuele: carismatico. Emanuele è carismatico. Emanuele non solo interviene quando c’è da sostituire una lampada al neon ma si intromette anche negli affari che non gli competono. O almeno a me sembra. Da lontano lo vedo che discute con il direttore del centro commerciale per segnalare un’urgenza, una disposizione o una sistemazione. Insomma, Emanuele si impiccia. Le persone carismatiche fanno anche così o sbaglio? Sta di fatto che Emanuele quando entra da noi in negozio per cambiare un filtro dell’aria o per vedere che nel nostro magazzino le leggi vengano rispettate (che non ci siano cianfrusaglie davanti agli estintori, in parole povere) sorride e parla ad alta voce con i suoi colleghi e qualche minuto dopo esce con lo stesso sorriso e con la stessa voce. Emanuele è uno che fa bene il suo mestiere.

In negozio ci sarebbe da fare un lavoretto che non compete ai manutentori? Non importa, Emanuele chiude un occhio e il lavoro lo fa lo stesso, subito, velocemente e senza chiedere un soldo. Tempo fa una squadra di elettricisti ha sistemato l’impianto elettrico della nostra libreria. Dopo alcuni giorni Emanuele è entrato in negozio e guardando il soffitto ha detto: “Ma chi cacchio ha fatto questo lavoro?” E allora Emanuele ci ha fatto notare che alcune lampadine del negozio “tremavano”. “Ci sono degli sbalzi di tensione che non dovrebbero esserci”, ci ha detto Emanuele e da allora, da quel preciso momento, abbiamo pensato che Emanuele fosse anche un po’ elettricista oltre che manutentore. Le persone carismatiche non sono un po’ tuttofare o sbaglio? Le persone carismatiche non utilizzano forse espressioni come "sbalzi di tensione" oppure no? 

lunedì 8 agosto 2011

Invece di riposare

del Disagiato

Lavorare di domenica non è un piacere per nessuno, come potete immaginare. Già a me lavorare non piace, quindi figuratevi lavorare di domenica, quando il quartiere che mi ospita dorme in un silenzio punteggiato solo dal rumore delle posate e quando gli altri, quelli che hanno la sfortuna di conoscermi ed essermi amici, mi chiamano per propormi un film in dvd o un birra piccola oppure vengo da te e poi vediamo. “No, devo lavorare”, rispondo e allora sul telefono si spalmano risposte un po’ deluse ma non troppo: “Ah, già, mi ero dimenticato che questa settimana lavori pure di domenica”. I centri commerciali sono fatti così, hanno queste cose che si chiamano “aperture straordinarie” e che cadono sempre nella prima domenica del mese (in Lombardia) e che capitano, anche se non sempre, a fine mese: per la festa dei funghi, per la festa del porco, per la festa del paese, per la festa dei ciabattini e via dicendo. Strategie commerciali: si inventano qualsiasi cosa pur di portare soldi nelle casse dei negozi.

Quello che voglio dire è che nonostante lo sconforto anche di domenica noi commessi riusciamo ad abbandonare mariti, mogli, fidanzati o gatti per trascinarci in negozio. Riusciamo a metterci un buon vestito e buone scarpe e riusciamo a trovare il giusto tono di voce per parlare e rispondere. Riusciamo a fare tutto questo nonostante sia domenica, nonostante ci abbiano insegnato che di domenica si riposa e cioè quando anche gli altri si riposano e il mondo è un po’ più fermo per farci riposare. Allora ieri mi sono vestito, ho fatto le scale dal mio terzo piano in giù, e una volta arrivato davanti alla porta di uno dei due appartamenti al piano terra, ho visto questa cosa:

sabato 6 agosto 2011

I mariti delle commesse

del Disagiato

I mariti delle commesse, venuti a prendere le mogli, arrivano sempre un po’ prima della chiusura del centro commerciale per avere il tempo di vedere come va la vita dalle nostre parti, che si dice, quale buon vento ciao, come stai. Hanno la faccia da gente tradita, da chi stava afferrando qualcosa ma poi tutto si è sgretolato, si è mosso e il bersaglio è stato mancato. Allora gli è toccato ricominciare e basta guardarli in faccia, i mariti delle commesse, per capire che sono alla loro ennesima partenza. I mariti delle commesse hanno sempre pantaloni belli e scarpe brutte e per favore non chiedetemi il perché. Perché? Perché tornano a casa dall’ufficio, si mettono in ciabatte, cenano, portano fuori il cane con le scarpe da giardinetto, quelle che se anche si sporcano di escrementi chissenefrega, e poi vanno a prendere la moglie che fa la commessa da tanti anni, che è arrivata fino alla terza media oppure ha cominciato le superiori ma poi ha incontrato lui ed è finita parcheggiata in una profumeria.

I mariti delle commesse quando entrano nel centro commerciale guardano sempre in alto e non chiedetemi il perché. Perché? Perché i rumori del centro commerciale vanno a finire tutti in alto e sembra che lassù stia accadendo qualcosa mentre invece è solo un effetto acustico. Allora entrano, guardano in alto, sempre e alla stessa ora, e poi vanno a sedersi sulla panchina che sta di fronte al supermercato e, per cortesia, non chiedetemi il perché. Perché? Si vanno a sedere sulle panchine che stanno accanto all’entrata del supermercato perché lì, in quei paraggi, possono vedere le commesse giovani e non sposate che lavorano nei negozi di abbigliamento. Guardano i culi delle commesse, insomma, e spesso i mariti si incontrano e commentano e valutano. “Guarda lì che roba, hai visto?”, dice uno. “Sì, sì, ho visto”, dice l’altro. E poi riprendono a parlare di terzini mediocri che domenica hanno mancato la palla. 

mercoledì 20 luglio 2011

La tenerezza che se ne va

del Disagiato

Le signore che fanno le pulizie all’interno del centro commerciale a noi commessi fanno tenerezza. Fanno tenerezza principalmente perché sappiamo che alle cinque del mattino sono già a lì a pulire i cessi, perché poi staccano e poi ritornano e poi staccano e poi ritornano e, insomma, devono seguire dei turni, è vero, però questi turni toccassero ai commessi non so come andrebbero le cose. Non ricordo più chi, ma qualcuno una volta disse questa cosa: Turni infami. Insomma, c’è forse qualcosa di atavico e molto sotterraneo, ma pulire i cessi di un centro commerciale non piace alla maggior parte di noi che sta tra i libri. E sono sicuro che non piace neppure alle commessine del negozio affianco al nostro. Poi io devo dire anche questa cosa: sono straniere. Allora, cosa vuol dire? Non lo so cosa voglia dire, però sono straniere.

E quando qualcuno parla degli stranieri che vengono qua e ci rubano le ragazze (o i ragazzi in questo caso) e che non lavorano e che non pagano le tasse e che non hanno voglia di far niente, ecco, quando qualcuno dice queste cose mi verrebbe voglia di indicargli con il mio ditino quelle signore che tutto il giorno devono raccogliere le carte per terra, pulire i tavolini, i vetri e i water. “Guarda come si danno da fare queste donne che arrivano dall’est, guarda la voglia di lavorare, guarda la fatica e l’integrazione”. Lo so, è patetico, ma cosa volete farci, io sono fatto così. Guardo la straniera che ramazza il pavimento e io divento subito un comunistello sensibile e un po’ poeta.

martedì 19 luglio 2011

Tatuaggi

del Disagiato

Oggi pomeriggio guardavo la croce celtica tatuata sul braccio di una delle guardie del centro commerciale e mi sono chiesto perché mai nessun commesso ha protestato per quella croce. Mi sono chiesto anche perché mai nessun cliente non abbia mai pronunciato una sola parola infastidita e perché mai il direttore non abbia mai mosso un dito per far sì che quel richiamo fascista (fosse solo quello) sparisse dalla circolazione. E allora mi sono risposto che alla gente, ai commessi, ai clienti e al direttore, dei richiami al fascismo non gliene frega proprio una mazza. Forse manco li vedono.

E poi, se devo dirla tutta, io questa riflessione la faccio dopo aver letto che un tizio ha fatto notare a Michelle Hunziker che la sua guardia del corpo ha (ora si può dire aveva) sul braccio un tatuaggio di stampo neonazista. Ecco, questo per dire che anche a me non era mai passato per la mente di lamentarmi o offendermi. 

giovedì 7 luglio 2011

Gli arancini finalmente

del Disagiato

Ieri mattina una mia collega mi ha scritto un sms: “Non ci crederai mai ma davanti al nostro negozio c’è un banco di arancini. Ci vediamo più tardi”. E io sono stato subito contento. Contento perché a me gli arancini piacciono tanto e contento perché finalmente, durante la mia pausa di venti minuti, avrei saputo senza ombra di dubbio cosa mangiare: arancini. La mattina, quindi, si è trasformata nell’attesa di entrare nel centro commerciale, dirigermi verso il negozio, vedere che la mia collega non mi avesse fatto un cattivo scherzo (lei sa bene quanto mi piacciono gli arancini), entrare in negozio, lavorare e, finalmente, godermi la pausa al sapore di arancino

E quando qualche ora più tardi sono entrato nel centro commerciale ho avuta la prova che tanto desideravo: corridoi popolati da stand e banchi di squisitezze regionali. Davanti alla libreria specialità del sud, tra le quali, eccoli, i miei arancini. A ridurre il dispiacere di avere in negozio odori pungenti però è stato anche il fatto che attorno al negozio si sentivano quei dialetti che mi muovono il sangue: siciliano, napoletano e romano. “A signò, e assagi sta primizia”, diceva uno e il sorriso immediatamente mi si è allargato. Magari è un po’ razzista quello che sto dicendo, ma a me la gente che vive laggiù, al sud, mi mette il buon umore. Mi pare che laggiù i pensieri, se paragonati a quelli che stanno quassù, si muovano con più facilità e ironia, che la parola sia più accurata e, insomma, sarà legato a questioni personali, ma a me i meridionali piacciono. La dico tutta: vorrei vivere al sud e magari in Sicilia. 

sabato 25 giugno 2011

Non ci si incrocia mai

del Disagiato

Fuziona più o meno così in questo centro commerciale e, visto che questo non è speciale, in tutti i centri commerciali. Succede che la commessa di Orofino (oreficeria) chiede alle colleghe di riportare lei le tazze del caffè al bar. Vuole andarci perché così può dare, passandoci davanti, una sbirciata dentro Foot Locker (abbigliamento sportivo) e vedere se c’è l’alto, scuro e simpatico ragazzo che ci lavora e che al lei piace tanto. Parte dritta come un bastone, bella come una attrice bella, il vassoio tra le mani e le colleghe che si danno di gomito. Dalla libreria la vedo farsi strada tra la folla, guardare dentro Foot Locker e proseguire verso il bar. Il commesso alto, scuro e simpatico, che ogni tanto viene da me in libreria per fare qualche fotocopia, sta però frequentando la commessa di Zara (abbigliamento uomo donna bambino) che, anche lei, ogni tanto viene qua in negozio per qualche fotocopia.

Succede che una delle bariste che fa mille caffè e tartine è follemente innamorata del commesso del Marcopolo (elettrodomestici e telefonia) che però non è minimamente a conoscenza di questo profondo sentimento e allora si gioca le sue carte con una collega della commessa di Zara che sta uscendo in questi afosi giorni di giugno con il commesso di Foot Locker. Alla ragazza di Calzedonia (calze), che viene spesso qua a fare fotocopie, piace il ragazzo del supermercato ma a quest’ultimo va a genio la bellissima commessa della Levis che però è invaghita di una delle guardie del centro commerciale, un ragazzo di due metri, rasato e con una richiamo nazista tatuato sul gomito. 

giovedì 23 giugno 2011

Due parole sui carrelli della spesa

del Disagiato

Siccome la libreria si trova in un centro commerciale, è inevitabile che i clienti entrino in negozio con il carrello della spesa. Che il carrello sia pieno o vuoto conta parecchio, perché un carrello pieno puzza di salumi, pesce e verdure, mentre un carrello vuoto no. Sta di fatto che alla domanda “Posso entrare con il carrello della spesa?”, noi commessi siamo obbligati a rispondere “Sì, può entrare”. Insomma, la libreria è invasa da carrelli, impedendo molte volte un normale svolgimento del lavoro, inzuppando l’aria di aromi poco gradevoli e, qui volevo arrivare, bloccando il passaggio nostro, che dobbiamo macinare chilometri di mestiere, e degli altri clienti. Il peggio è quando il carrello viene messo quasi in maniera calcolata davanti all’ingresso, impedendo così non il passaggio, ma addirittura l’entrata dei clienti. Allora, imprecando, vado a prendere il carrello e a parcheggiarlo un po’ più distante, là dove non dà fastidio a nessuno (anche se in una libreria che non ha le corsie di un supermercato, un carrello dà sempre fastidio).

Questa cosa del carrello la racconto perché forse mi ha insegnato qualcosa sul comportamento degli italiani e del loro senso civico. Infatti è capitata, e capiterà ancora, questa cosa. Una signora molla il proprio carrello stracarico proprio sull’ingresso, non prima e non dopo, e poi rivolgendosi a me dice: “Posso lasciare qui il carrello?”. Io allora rispondo “No, mi dispiace. Lo lasci un po’ più avanti per favore”. “Ah, non si può”, dice delusa e allora io ribatto con un “Non è che non si può. Non si deve”. Vabbè, lo ammetto, dico questa cosa con un tono provocatorio, poco gentile, stanco e tante altre cose che fanno di me un commesso antipatico ma sta di fatto che a scuotere la cliente (dico cliente perché la maggior parte delle volte sono clienti donne) non è il fatto di dover spostare il carrello ma quel “non si può”. E qui, più di una volta, si è aperta quella che i politici chiamano “questione morale”. La cliente reagisce in questo modo: “Se non si può è un conto, ma se non si deve, beh, allora questo è da vedere”.