lunedì 18 luglio 2011

il passo e la gamba

di lo Scorfano

«Vedrai, tempo due settimane e quelli hanno finito i soldi», così si mormorava in paese, scuotendo la testa, al bar e dal tabacchino. E poi: «Hanno fatto il passo più lungo della gamba, quelli lì»; e ancora: «Vengono dalla città, si stancheranno presto e venderanno tutto», con altre teste che annuivano, sapute. Io ascoltavo con attenzione, perché sapevo di chi parlavano, perché sapevo bene chi sono, quelli lì.

Sono venuti qui, marito, moglie e una figlia piccola, circa sei mesi fa; hanno visto il rudere da ristrutturare che c’era qui accanto, forse si sono spaventati, poi hanno visto il lago e il panorama che si vede da qui, e forse si sono guardati l’un l’altro meravigliati. E poi, hanno comprato tutto: il rudere, il terreno, la vista, il panorama. Hanno staccato il cartello «Vendesi» che stava di lì da più di tre anni e hanno cominciato i lavori.

Chi ne sapeva più di qualcosa, in paese, ha cominciato a mormorare: «Vedrai, tempo due settimane e quelli lì hanno finito i soldi». E infatti, dopo poco, hanno finito i soldi. 
  E nessun’impresa è più venuta a lavorare. Ha cominciato a venire lui, il fine settimana, a trafficare da solo, a sistemare cose che io non saprei nemmeno come stanno in piedi. Ma è stato subito chiaro che da solo avrebbe potuto fare poco, che i lavori erano lunghissimi, che ci sarebbe stato molto altro tempo da aspettare perché la villetta fosse pronta, che forse non lo sarebbe stata mai.

Di lui si dice in paese che non sia né avvocato né medico specialista. Che sia in realtà solo un operaio, magari uno di quelli specializzati, che guadagnano abbastanza bene, ma non così bene. «Hanno fatto il passo più lungo della gamba», infatti; così dice la mia vicina dal tabacchino, una mattina che ci sono anch’io. E io ascolto e penso che sì, hanno sbagliato, chissà cosa credevano, cosa pretendevano, dove pensavano di poter arrivare.

Poi, da qualche tempo, lui (l’operaio specializzato), lei (la moglie), e la bambina di quattro o cinque anni hanno cominciato a venire  qui, nel fine settimana, anche se la casa è tutto meno che pronta. Arrivano spesso la mattina, con la macchina carica di roba e se ne stanno nella casa non finita, con i mattoni a vista e il pavimento di cemento che gratta i piedi. Ci passano la giornata, seduti su due sedie a sdraio di plastica che si portano avanti e indietro, e guardano il lago, mangiando ogni tanto qualcosa, mentre lui sistema quello che riesce a sistemare e lei lo aiuta, con una lentezza che non lascia presagire nulla di buono.

L’altra sera io e la mia ragazza stavamo cenando sul terrazzo: ci siamo accorti che lui ha preso l’auto ed è tornato dopo qualche minuto con tre cartoni della pizza in mano. Hanno mangiato la pizza così, alle otto e mezza di sera, sulla sdraio e sul cemento grezzo, direttamente dai cartoni, guardando il sole che tramontava sul lago. Io e la mia ragazza abbiamo sorriso di loro; io ho pensato alle voci che in paese su sono ripetute per mesi: «Hanno fatto il passo più lungo della gamba». Li ho presi in giro ridendo, mentre bevevo un sorso di vino bianco con la mia ragazza.

Poi mi sono girato di colpo e li ho guardati di nuovo, loro, le loro sdraio di plastica e i loro cartoni della pizza, e improvvisamente ho pensato che no, che non c’è passo e non c’è gamba che tengano, che il cretino sono io, che sto ridendo con il mio bicchiere in mano. Che lì ci sono due persone, un uomo e una donna, sui quarant’anni, e una bambina che gioca a inseguire il cane del quartiere, e se ne stanno lì seduti sulle sedie a sdraio che caricheranno in macchina tra poco, se ne stanno lì davanti al lago; e altro che gamba e passo, e passo e gamba: sono loro l’immagine della felicità perfetta, sono loro con il loro cemento e la loro casa che forse non sarà mai pronta. Sono loro la gioia perfetta di essere lì, qui.

Ogni tanto, il passo, bisogna farlo, ho pensato. E fregarsene di quanto è lunga la gamba. Perché, spesso, la maggior parte delle volte, nemmeno lo sappiamo quanto è lunga la gamba; ma sappiamo che ci sono passi che bisogna fare, per essere felici, su una sedia a sdraio, con una pizza in mano e nemmeno le posate.

14 commenti:

  1. Trovo il tuo ragionamento impeccabile. Anch'io evito sempre di misurare la gamba, vabbè, quasi sempre.

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  2. Da stampare e appendere sopra le scrivanie di chi si lamenta e non fa nulla. Siamo immersi nella paura, la sentiamo anche quando non ci viene comunicata direttamente. I paesani, lo sguardo dal balcone del vicino, lo scetticismo appena percepito. Qualche tempo fa ho visto un fuori onda dove Zapatero informava un suo collaboratore che come inizio campagna elettorale avrebbe subito pigiato il tasto dell'insicurezza, della paura. Che, si sa, sono le migliori alleate dell'immobilismo, politico in quel caso, esistenziale, al nostro livello. Di impiegati bravi a fare collane di vetro, avvocati che sognano di recitare al Globe, manager che vorrebbero essere estetiste. Nella mia piccola esperienza di avvocato in un grande studio legale, posso dire che ogni volta che qualcuno se ne è andato, il titolare ha sempre preconizzato futuri sventurati, di povertà e sotto i ponti e via dicendo. Perché il mercato è chiuso, perché oggi è una follia, perché è un salto nel buio. Poi li ho incontrati quei colleghi, tanti ormai, e tutti più o meno affannati ma altrettanto convinti che mai sarebbero tornati indietro. Tutti in piedi sulle loro fragili gambe, ma in cammino...

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  3. ti dovrebbero vietare di scrivere queste cose.

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  4. Anni fa rifiutai un lavoro presso la filiale di una multinazionale. Mi presero un po' tutti per pazzo.

    Qualche tempo dopo quella sede chiuse. Pur dispiacendomi per il personale, be', ho coniato un mio motto:

    "Se devo sbagliare, preferisco farlo con la mia testa".

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  5. @Dario: infatti, più o meno, senza esagerare.

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  6. @.mau.
    Credo di essere già nel mirino di quelli dell'Agcom, senza dubbio ;)

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  7. Leggere questo post mi ha dato coraggio, grazie: momento opportuno.

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  8. Il coraggio mi è venuto dai due nuovi vicini. In bocca al lupo, qualunque sia il passo.

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  9. Alla faccia di tutti quelli che fanno il passo più corto della gamba e inciampano pure.

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  10. proprio oggi ho fatto un passo fregandomene della gamba... in realtà era un saltello!!! Yeah!

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  11. Un saltello nel buio funziona sempre... ;)

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  12. questo bel post mi richiama alla mente due frasi, una è il titolo di una raccolta di De André: "In direzione ostinata e contraria", l'altra è di Seneca: "Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare". Scrivendo, me n'è venuta in mente un'altra, che c'entra e centra anch'essa: "Virtus ipsa praemium est"
    roberto z

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)