giovedì 19 dicembre 2013

Cosa succederà?

del Disagiato

Ho notato con dispiacere – e forse anche con un po’ di ritardo – che molti libri in formato ebook, e non solo libri di “successo”, si possono facilmente scaricare gratuitamente e illegalmente (è illegale, vero?) su eMule o sui torrents. Chissà quanti di voi leggono o leggeranno in futuro non pagando e chissà cosa succederà tra qualche anno alle case editrici e agli scrittori quando scopriranno che i guadagni sono tragicamente diminuiti. Che cosa è successo a forza di non pagare per vedere un film? È successo, per dirne una, che non si doppiano più certi film stranieri: significa che in Italia non abbiamo più la possibilità, per mancanza di mezzi economici, di vedere pellicole di autori cosiddetti minori. Peccato. E a questo punto mi chiedo se la stessa cosa accadrà, chissà quando, con i libri. E d’istinto (e da persona non espertissima) mi chiedo anche se alle case editrici non convenga, oggi, continuare esclusivamente con il cartaceo, prima che sia troppo tardi.

mercoledì 18 dicembre 2013

È quasi pronto il caffè

del Disagiato

Uno di miei momenti migliori della giornata è il mattino, quando mi sveglio. Faccio così: spengo la sveglia (anche se, lo ammetto, ultimamente non sempre programmo, di sera, una sveglia), rimango ad occhi aperti qualche secondo, mi alzo, metto la caffettiera sul fuoco (caffettiera preparata la sera prima), ritorno a letto, attendo il fischio della caffettiera, mi rialzo, spengo il fornello e poi verso il caffè in una tazza, che bevo in piedi, guardando fuori dalla finestra o camminando per casa. Da sempre mi piace fare questi gesti, accendere, attendere il rumore del caffè e rialzarmi. Non so se chiamarla felicità, ma comunque le si avvicina. 

Questa mattina, dopo aver bevuto il mio caffè, ho letto alcune righe di un bel libro di Clara Usón, "La figlia". Il brano racconta di un certo Veljko, che è stato in guerra e che dalla guerra è ritornato a dir poco frastornato: 
Veljko non si è rifatto una vita; non ha combinato niente di buono, gli è sembrata un’impresa impossibile e ancora oggi, quando sente il fischio della caffettiera che annuncia che il caffè sta uscendo, si mette a tremare e gli viene un attacco di tachicardia. “È lo stesso rumore che fa un proiettile quando sta per centrarti”, spiega, “questo è il suono della guerra”
Ecco. Ho letto queste parole dopo il mio personalissimo momento migliore della giornata, che gira intorno al fischio del caffè. Credetemi, non so spiegarvelo bene, ma un po’ mi sono sentito in colpa per tutti questi caffè, per la mia felicità mattutina. Oppure mi sono sentito come una persona che ha abbassato la guardia, che non ha tenuto conto di certe cose. Continuerò a vivere il momento del fischio della caffettiera come un bellissimo momento, ci mancherebbe, ma d’ora in poi, grazie al libro, lo farò considerando anche gli altri e lo farò con un po’ più di tormento, di ansia e consapevolezza: la mia felicità per tutti i Veljko del mondo significa infelicità. Utilizzerò questa consapevolezza non per essere meno felice ma, anzi, per esserlo di più.

venerdì 13 dicembre 2013

Noi

del Disagiato


Ieri sera ho visto un film di Werner Herzog, Cave of forgotten dreams, che è poco più di un bel documentario sulla grotta Chauvet, scoperta nel 1994 nella Francia sudorientale dallo speleologo Jean Marie Chauvet, e sulle sue bellissime pitture e incisioni (circa 500) risalenti più o meno a trentaduemila anni fa. All’interno della grotta non ci sono solo disegni di animali, ma anche impronte umane, ossa di esseri viventi poi scomparsi dalla faccia della terra e quello che pare essere un altare, per chissà quale rito religioso. Uno dei tanti archeologi interpellati dice al regista che loro, gli studiosi, stanno lavorando per sviluppare una nuova comprensione della grotta, usando la precisione, i metodi scientifici, anche se questo non è lo scopo principale: lo scopo principale è quello di creare storie per narrare ciò che succedeva dentro la grotta, in passato. Allora Herzog continua così: “È come creare l’elenco telefonico di Manhattan, quattro milioni di voci. Ma sognano? Piangono la notte? Quali sono le loro speranze, le loro famiglie? Non lo sapremo mai guardando l’elenco telefonico”. E ascoltando questo breve dialogo tra il regista e l’archeologo ho pensato al grande sforzo che noi tutti dobbiamo fare, se lo vogliamo fare, per dare direzione, senso e vita agli scontri, alle cose e persone che vediamo ogni giorno nelle nostre stanze, chiusi soli nelle nostre macchine per strada, oppure in ufficio, al supermercato, in palestra.

mercoledì 11 dicembre 2013

Bruciatemi!

Qualcuno del movimento dei forconi ha intimato ai librai di una libreria di Savona di abbassare immediatamente la saracinesca, con la grave minaccia di bruciare i libri, come i fascisti e i fanatici religiosi hanno già saputo fare. In rete gli indignati stanno facendo circolare una frase, adatta ad ogni occasione, di Leonardo Sciascia (Quando tra gli imbecilli ed i furbi si stabilisce una alleanza, state bene attenti che il fascismo è alle porte) e una fotografia del rogo dei libri del 1933, in Germania. Magari mi sbaglio, ma secondo me chi oggi manifesta non è un fascista. Un po’ di tempo fa, non ricordo chi lo scriveva, ho letto che quando siamo in fila il nostro grado di tolleranza e pazienza dipende dalla quantità di gente che ci sta dietro e davanti. Se dietro di noi ci sono dieci persone e davanti a noi tre, siamo tranquilli, pazienti, al sicuro. Con la coda dell’occhio guardiamo quei dieci disperati, l’ultimo dei dieci, e sorridiamo. Se dietro di noi ci sono tre persone e davanti dieci, le cose cambiano, la nostra pazienza e la nostra tolleranza evaporano presto: diventiamo cattivi e protestiamo. Da quando non ho più un lavoro, da quando non ho la sicurezza economica che avevo fino a qualche mese fa, pure io, persona solitamente mansueta, sono diventato invidioso e magari un poco razzista? Lo ammetto: sì. La mia posizione nella fila è cambiata repentinamente. Ecco, secondo me il fascismo, le frasi di Leonardo Sciascia e le fotografie dei nazisti che bruciano i libri non sono azzeccati. E poi, sempre secondo me, i manifestanti che hanno minacciato i librai non sanno che gli scrittori farebbero a gara per farsi bruciare il proprio, di libro, così, giusto per farsi un po’ di pubblicità, per alzare di una tacca la propria autostima:

Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
- uno di quelli al bando, uno dei meglio - l'elenco
studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d'ira
e scrisse ai potenti una lettera.
Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi!
Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l'ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi
mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando:
bruciatemi!

(Il rogo dei libri, Bertolt Brecht)

martedì 10 dicembre 2013

I risultati

del Disagiato

Domenica sera Fabio Fazio ha chiesto al motociclista Jorge Lorenzo da cosa si capisce se uno è un grande pilota. Lorenzo ha dato questa risposta: dai risultati. Fazio, che si aspettava parole più profonde, a questo punto ha riso e poi ha detto: “i risultati dopo, ma prima?”. Ma prima, da cosa possiamo vedere se uno è un grande pilota? E allora Lorenzo ha detto: dal tempo per giro. Fazio domenica sera non ha preso in considerazione neppure questa risposta e ha dato un’altra possibilità a Lorenzo che, un pochino impacciato, si è inventato qualcosa, tipo che un pilota lo si vede dalla sua tecnica buona che potrà migliorare in futuro e via dicendo. Insomma, la domanda non ha avuto la risposta che si meritava il programma. Qualche settimana fa, quando Agassi ha detto, sempre in quello studio televisivo, che “noi mangiamo quello che uccidiamo”, Fazio stava svenendo per quella bellissima frase e io, a casa, mi sono emozionato tantissimo: perché con “noi mangiamo quello che uccidiamo” il tennista intendeva dire che il suo successo e la sua ricchezza (i nostri successi e le nostre ricchezze) sono arrivati dopo aver fatto del male a se stesso e agli altri. Come cacciatori, come predatori, noi, uomini di questo mondo, mangiamo quello che uccidiamo: frase apocalittica, profonda, metaforica. Dire invece che un pilota lo si giudica dalle sue vittorie non è metafora di niente. Vorrebbe dire che un giocatore lo si giudica dai particolari e non dalla fantasia, dal coraggio e dall’altruismo. Sarebbe come ammettere che se io nella vita ho concluso poco (disoccupato, non ricco e sconosciuto), forse è colpa mia. Sarebbe come ammettere che se il mio amico, dopo anni di creatività ed emozioni, suona ancora nei localini tristi di periferia, forse è perché le sue canzoni non sono proprio il massimo; se il mio amico ristoratore fatica ad arrivare a fine mese, forse c’è qualcosa che non funziona in cucina o nella sua gestione o in chissà cos'altro. Ma noi preferiamo pensare che la colpa è degli altri, sempre, che la spiegazione delle nostre vite non può essere così semplice e che, quindi, un pilota non lo si deve giudicare dai risultati o dai tempi. Preferiamo cercare, come ha fatto per noi Fabio Fazio, una risposta metaforica, una frase profonda che ci scagioni, che ci assolva.

mercoledì 4 dicembre 2013

Di là

del Disagiato

Sono andato a vedere se per caso sul sito di Sinistra Ecologia Libertà le riflessioni circa la cultura, l’editoria e i libri – argomenti che mi piacciono e che ritengo importanti per tutti noi - sono mutate rispetto a qualche mese fa. Non è cambiato niente, il programma è sempre lo stesso, il libro è ancora accostato alla parola libertà: 

Ispirandoci ad uno speciale esperimento avviato in alcune prigioni del Brasile dalla presidente Dilma Rousseff, proponiamo una legge che perfezioni l’equivalenza universale tra i libri e la libertà. La proposta consiste nel ridurre di quattro giorni la pena per ogni libro letto dai detenuti per un massimo di 48 ogni anno. Ogni detenuto potrà leggere un libro al mese di letteratura, filosofia o scienza e farne una relazione scritta per dimostrare di averlo compreso. In Italia sono allestite 153 biblioteche su 206 istituti di pena nei quali abitano 68mila detenuti. Sarebbe una straordinaria novità se, anche in Italia, l’opportunità di leggere si trasformasse in redenzione attraverso la lettura proprio come in Brasile. 


Queste righe, per come la vedo io, mi hanno sempre commosso per il loro candore e per la loro intatta ingenuità. Non riesco e non sono mai riuscito a vedere i libri come uno strumento forte per essere libero. I libri, semmai, mi hanno fatto il favore, senza indicarmi una comoda via di fuga, di dirmi che non sono libero, che sono come molti di voi uno dei raggi di una grande ruota. Leggendo so o penso di sapere come si muove il mondo, ma rimango vittima, nonostante tutto. Nessuna libertà, nessuna redenzione. 

In un film spagnolo che mi piace tanto, I lunedì al sole, c’è una scena in cui un gruppo di amici disoccupati riesce a vedere, grazie ad uno di loro, una partita di calcio allo stadio senza pagare il biglietto. Il posto però non è dei più comodi: è troppo in altro rispetto alla curva e alle tribune, e la visuale di una metà del campo è interrotta dal tetto. Tutti quanti riescono a vedere l’inizio un’azione ma mai la fine, mai il tiro che potrebbe portare la palla in rete. Ecco, per me quella scena vale tutto il film. Io mi sento come loro, in alto, scomodo, consapevole che mai vedrò il tiro o il pallonetto finale dell’attaccante. Solo la costruzione o una parte di una costruzione dell’azione. I libri non mi hanno reso libero, ma hanno contributo, tantissimo, a rendermi cosciente di questa scomodità davanti alla partita. E poi, ancora oggi, la letteratura fa un’altra cosa forse più importante: mi permette di immaginare cosa sta capitando di là, dove io non posso vedere.


lunedì 2 dicembre 2013

Il bello


del Disagiato



Qualche giorno fa sono andato a Genova per una brevissima gita e mi è capitato, camminando senza una meta, di incrociare una bella cattedrale che si chiama Cattedrale di San Lorenzo. Non so dirvi esattamente perché – non sono un esperto di architettura e tantomeno sono sensibile alle cose religiose – ma mi piaceva tantissimo, così tanto che sono rimasto a guardarla per una ventina di minuti, in piedi, con le mani a visiera per schermare la luce del sole che si riversava sulla piccola piazza antistante. Sulle poche scale d’ingresso erano seduti uomini e donne, studenti e immigrati, a mangiare, fumare e chiacchierare: che bello, ho pensato. Che bello che le persone facciano cose su queste scale, che gli studenti facciano gruppo per parlare, che chi ha un passaporto diverso dal mio si ritrovi per pranzare con un panino o, chissà, anche solo per pensare e fare un punto della situazione. Poi, invece, più guardavo la splendida facciata e più non tolleravo quelle presenze umane in pieno bivacco, come fossero su una panchina di un parchetto di periferia. E allora ho pensato che una chiesa, o qualsiasi altra cosa costruita per essere bella, è più bella se anche noi, soprattutto se noi, la consideriamo tale, se anche noi rispettiamo la sua sacralità, la sua armonia, i suoi intenti. Insomma, davanti alla cattedrale di San Lorenzo io metterei un cartello con scritto: "Vietato sedersi sulle scale. Non si fa".