mercoledì 4 maggio 2011

state pure comodi

di lo Scorfano

La quinta che ho quest’anno è una di quelle classi che so già che rimpiangerò molto e molto a lungo. Pochissimi alunni (solo 14), tutti studiosi e attenti, mai un’insufficienza in tutto l’anno (a parte un caso di distrazione, ma subito rimediato), un clima sempre sereno e amichevole, educazione esemplare da parte di tutti e anche uno studente (uno in particolare) davvero straordinario, per preparazione e curiosità intellettuale. Insomma, uno di quei miracoli che nella scuola italiana accadono ogni tanto e che non si ripetono più.

Ma le cose umane non sono mai miracoli, nemmeno quando ci assomigliano. Così succede che le lezioni di latino (io insegno soltanto latino in questa classe) siano l’esempio perfetto delle lezioni dialogate (vedi quella su Quintiliano, per esempio), succede che i discorsi si amplino e si facciano interessanti quasi ogni mattina, e succede che si parli ormai sempre più spesso del futuro universitario di questi ragazzi. E l’altro giorno si parlava appunto di questo, quando ho scoperto una cosa che mi ha lasciato perplesso, molto perplesso.         

È vero che 14 studenti non possono fare in alcun modo statistica; è anche vero che quando si è giovani le paure passano in pochi giorni e in qualche ora tutto può cambiare e un’estate può addirittura essere una rivoluzione; ma pur essendo tutto questo senz’altro innegabile, mi ha lasciato senza fiato sentire dalla loro voce che nessuno aveva voglia di andare a studiare fuori casa. O meglio: solo una ragazza pensava di farlo, ma con la spinta determinante della sua famiglia, che pensa che andare a Milano sia soprattutto meglio per lei.

Gli altri no. Gli altri staranno a casa, convinti e felici di farlo. La chiamano, con impertinente sincerità, «comodità». «È così comodo!», mi hanno detto. E io insistevo: «Ma la curiosità, la voglia di indipendenza, la ricerca di un proprio spazio personale, la libertà…?» E loro niente: la comodità sembrava avere la meglio su tutto. «Con i nostri genitori stiamo così bene», mi dicevano; «a casa non ci manca niente»; «se dovessi anche fare la spesa e poi prepararmi da mangiare come potrei riuscire a studiare?». E anche: «I miei genitori mi concedono tutta la libertà che voglio…»

(È stato proprio su quest’ultima osservazione che io mi sono bloccato: sui genitori che concedono tutta la libertà che loro vogliono. Ho dovuto pensare, a quel punto, che i miei genitori obiettivamente no. I miei genitori mi avevano imposto regole, anche piuttosto rigide, che io ero tenuto a rispettare: perché quella era casa loro, mi dicevano; o forse no, forse mi dicevano che era casa nostra, di tutti, non solo mia. Che in fondo non era così diverso. E io rispettavo quelle regole e non mi sentivo del tutto libero, perché i miei genitori, era così, non mi lasciavano tutta la libertà che io volevo. Però, sempre lì immobile in mezzo all’aula, ho pensato che nel momento decisivo, quello di andare via, mi hanno lasciato la libertà più grande: quella di andarmene, quella di cercarmi la mia libertà per conto mio, dove volevo io e come la volevo io; e di costruirmi la mia comodità dove e come io avessi voluto costruirmela. E li ringrazio ancora, per questo: è stato faticoso, ma li ringrazio.)

Ma insomma, il tenore delle loro osservazioni era questo. E quando la mia perplessità si è fatta visibile, lì davanti a tutti, anche loro hanno cominciato a essere molto perplessi della mia perplessità: non capivano, non ci riuscivano, perché io mi stupissi così tanto. Perché bisogna per forza avere voglia di andare via di casa? È così grave stare bene a casa propria?

Ovviamente no: stare bene a casa propria è una fortuna; e altrettanto ovviamente non bisogna avercela, la voglia di andarsene, non per forza; anche se forse non avercela a vent'anni è un po’ grave, o almeno a me sembra. Ma è anche vero che tante cose sono nel frattempo cambiate. E che la generazione di ragazzi che ho davanti in questi anni vede il futuro più con paura che con speranza. E io mi dispiaccio per loro e penso che sia anche colpa nostra, di noi che li abbiamo cresciuti e preceduti, e però non saprei davvero cosa fosse necessario fare diversamente ieri, cosa si debba fare adesso. Li ascolto parlare della «comodità» di stare in casa con la loro mamma e mi dispiace; e gli dico che la comodità non può essere un altare a cui sacrificare un’esperienza lontano da casa. Loro mi dicono: «Faremo l’Erasmus»; io dico: «Non è affatto la stessa cosa». Loro non dicono più niente e io capisco definitivamente che non ci possiamo comprendere, non su questo punto.

E allora ricomincio a spiegare un po’ di letteratura cristiana delle origini, Tertulliano, ma con la malinconia di rendermi conto che non ci sono miracoli possibili, in nessuna classe della scuola italiana. E che tutto ha un prezzo, anche le lezioni dialogate quasi perfette, come piacciono a me. Anche le piccole libertà che i genitori oggi lasciano e un tempo assai meno. E spero tanto per loro che quella «comodità» non abbia un prezzo troppo salato, che un giorno si pentiranno di dovere per forza pagare cara.

14 commenti:

  1. La comodità sarà pure una tentazione ma in questa caso è soprattutto paura del futuro e quindi non è molto difficile dar ragione a loro.
    F.

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  2. Che è ben vero, lo so. Resta forse il fatto che starsene comodi comodi non può aiutare moltissimo.

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  3. La citazione è un po' lunghetta, ma secondo me c'entra molto col tuo post. IV sec. d.C:
    "L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l'affetto necessario.
    Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.
    Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani di slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi; non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce di volare.
    Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che bisogna decidere e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.
    Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete per loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l'arte, la forza anche di sorridere.
    E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato. I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia di Dio e di vivere bene."
    (Sant'Ambrogio, IV sec. d. C., tratto da: "Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano")

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  4. La tua lunga citazione è pertinente assai: anche perchè è dell'ultimo autore che studieremo insieme, io e quella quinta, e forse mi servirà... Grazie.

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  5. eh, diamine... anch'io credo che una vita troppo facile e comoda in famiglia non spinga i ragazzi all'indipendenza. e pensare che io, che avrei voluto fare l'università "fuori" ho dovuto rinunciare per problemi economici...

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  6. Le rinunce per problemi economici, naturalmente, non contano... O meglio, contano, ma solo per misurare l'inefficienza del nostro sistema nazionale di incentivi e finanziamenti allo studio.

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  7. Mia moglie ed io stiamo già mettendo via il gruzzoletto per mandare nostra figlia, appena potrà, a studiare all'estero. Soffrirò come un cane, ma so che è la cosa giusta.

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  8. Secondo me, fate bene. Anche se poi bisognerà vedere se lei ne ha voglia, di studiare (e all'estero)... ;)

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  9. Guarda, Scorfano, leggendo questo post io mi sono immediatamente immedesimata nei tuoi alunni. Forse perché in fondo non sono passati tanti anni dal mio ultimo anno di liceo, e forse anche perché anche noi facevamo parte di una classe che credo sia stata giudicata in maniera simile alla tua, dai miei prof (sempre perché la modestia è uno dei miei doni principali)...
    dunque vorrei provare a raccogliere la loro voce e farla mia: in effetti nemmeno io, a 19 anni, volevo andare via di casa. Avevo (e ho tutt'ora) un bel rapporto con i miei genitori, che forse è il portato di un nuovo modo di relazionarsi in famiglia o forse è solo una mia fortuna. Ho fatto 5 anni da pendolare, con gli amici, il fidanzato e tutte queste cose che ami tanto quando hai 19 anni, tutte a portata di mano. Poi, però, quando ho avuto una sorta di "stipendio" mio, ecco, lì sono uscita di casa ancora prima che i miei potessero dirmi "ciao", e devo ammettere che è stato bellissimo, e credo più bello e più consapevole che l'andare fuori casa con i soldi di papà e mamma.
    Non è necessariamente da giudicare come immaturo il desiderio di restare a casa. E' un po' vero che, facendo l'università a casa, si riesce forse a concentrarsi di più sullo studio e a finire nei tempi più rapidi possibili, per potere, a quel punto, cercare di guadagnarsi un gruzzoletto.
    Poi io non ho capito bene dove abitino questi fanciulli di quinta, dunque non so se posso paragonarli del tutto a me: io in fondo abitavo ad un'ora dalla città universitaria per eccellenza, e quindi la mia non è stata una vera e propria "rinuncia"...molto dipende anche da quale università hanno scelto i tuoi ragazzi...
    va bhe, scusate se mi sono dilungata, è che i post dello scorfano mi fanno tornare indietro nel tempo e mi fanno venire un sacco di nostalgia del liceo...

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  10. Grazie della tua storia, Tinni. La leggo e mi rendo conto che assolutizzare la propria esperienza personale è sempre un errore. Ed è quello che io un po' faccio con la mia.

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  11. Magari per molti parlare di "comodità" era solo un modo meno imbarazzante di dire: i miei non si possono permettere di mantenermi a Milano, in una doppia a 400 euro al mese. Ci hai pensato?

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  12. Ci ho pensato. Ma conosco le loro situazioni famigliari (sono pochi, li conosco da tanti anni): so che non è così per nessuno (a parte, forse, uno).
    E poi, e questo ce lo dimentichiamo tutti, esistono tanti pensionati univeristari, dappertutto. Io ero in uno di quelli, con borsa di studio che mi copriva vitto e alloggio e tasse, per tutti gli anni di studio. Altri miei ex alunni lo hanno fatto con successo: è difficile, ma si può.

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  13. Io sono uscito di casa a 27, quindi assai tardi, quando ho cominciato a lavorare. E molti mi chiedevano che lo facessi a fare: soldi buttati!

    Per tre anni ho vissuto da solo, a parte l'estate, poi la precarietà del lavoro mi ha fatto tornare a casa, ho passato un anno all'estero (durante i quali non ho portato i miei genitori con me, evidentemente) e ora sto di nuovo coi miei perché non sapevo dove cacchio avrei lavorato, e per quanti soldi. E mi ero rotto le palle di fare due traslochi l'anno.

    Non sono contento così, è ovvio.

    Ma se in Italia abbiamo aperto università ad ogni angolo e paesino, se il mercato del lavoro passa stage e tirocini non retribuiti, se i salari sono da fame e i lavori nel pubblico territorialmente determinati, quale lezione ci aspettiamo ne traggano i ragazzi?

    Tu puoi dire in coscienza ai tuoi studenti: "Andate e fatevi valere, sarà dura ma ne varrà la pena perché il vostro impegno sarà ricompensato?".

    Mi rendo conto che il mio è più uno sfogo che altro, perché in maniera implicita questo l'avete detto sia tu che gli altri.

    E cmq, in un tema in cui chiedevo di immaginare di andare all'estero, un mio studente ha scritto che vuole studiare a Vancouver, mantenendosi con il lavoro di istruttore di sci (inverno) e modello (d'estate). Però lui ha 15 anni e io ho dovuto fare violenza a me stesso per non scrivergli a margine compito che doveva fare molta più palestra...;-)

    FR

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  14. E' purtroppo verissimo quello che tu scrivi. Ed è il motivo per cui guardano al futuro più con paura che con speranza. Di questo sono molto per loro dispiaciuto, infatti.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)