di lo Scorfano
L’altroieri sera, a metà serata, ho acceso la tv. Ho fatto un po’ zapping, pochissimo, e poi mi sono fermato, perché su la7 ho visto il confortante faccione di Giuliano Pisapia che parlava in modo pacato di Milano e allora ho pensato: ora lo ascolto un po’. Ma Pisapia è stato subito interrotto, dopo pochi secondi: e ha cominciato a parlare ben più concitatamente un onorevole della PdL (perdonatemi l’articolo femminile: da quando ho saputo che al premier dà fastidio non riesco più a trattenermi), l’onorevole Maurizio Lupi. Il quale, polemizzando sul programma di Pisapia, ha pronunciato l’espressione: «la scuola pubblica e la scuola libera».
E a quel punto ho subito spento la tv, e basta. Perché, chi mi conosce lo sa, io non ho niente contro la scuola privata (che sono anche disposto a chiamare paritaria, se fa piacere); ci ho lavorato nella scuola privata e so che non è il luogo del vizio e della corruzione, anzi. Però, a parte tutto, le parole contano e non poco (e fanno incazzare, anche): e l’aggettivo «libera» grida vendetta, chiede immediata e sanguinosa ammenda. E trovo, ancora una volta, scandaloso che qualcuno possa permettersi di usarlo in opposizione a «pubblica» e che nessuno, nemmeno Pisapia, abbia niente da dire. Come se il «pubblico» fosse schiavo, o comunque prigioniero, o in ogni caso «semilibero». Mentre è semplicemente il nostro.
Dunque, onorevole Lupi, capiamoci: la scuola privata non si distingue da quella pubblica per la sua «libertà», nient’affatto.
Perché nessuna scuola pubblica è schiava di niente (se non della burocrazia, purtroppo), glielo garantisco. In realtà, fatta eccezione per poche realtà privilegiate (ottimi istituti che non si trovano nelle città di provincia, ma solo in alcune grandi città del paese, come Milano, Roma, Torino e poche altre) la scuola privata si distingue dalla scuola pubblica per una ragione soltanto: perché ci si studia di meno. Punto. E si è promossi lo stesso. Altro punto.
E intendiamoci: ciò potrebbe essere anche un paradossale pregio, se la scuola pubblica fosse una specie di girone infernale in cui la promozione all’anno successivo si rivelasse un traguardo inarrivabile, destinato ai pochissimi dotati di un intelletto raffinatamente sopraffino. Ma non è così, nemmeno questo: perché anche nella scuola pubblica, per varie e plurali ragioni che è assai difficile spiegare, anche nei licei, si promuove moltissimo, con rara generosità, a volte sfiorando il ridicolo, spesso colpevolmente. Cioè, la scuola pubblica è facile, mediamente molto facile. Figuriamoci quindi quella privata (o paritaria), che è ancora più facile…
Insomma, onorevole Lupi, non si tratta di libertà, ma proprio per niente. Si tolga dalla bocca quell’aggettivo quando parla di scuola, faccia il favore: che la scuola è libera dovunque, per fortuna lo è ancora; e, al limite, la scuola privata è più «libera» solo perché chi la frequenta (l’ho già detto che ci sono eccezioni? sì, l’ho già detto) è più libero di studiare poco. Ma questa non è mica la libertà, onorevole... Trova forse che questo sia un pregio? Io no, trovo che non lo sia. Io trovo che una scuola in cui si studia tanto (e meglio) sia un luogo migliore e più formativo e più utile alla comunità. Se mi sbaglio, mi spieghi anche qual è il punto in cui mi sbaglio, per favore: perché non mi risulta così immediato.
E, se per caso, onorevole Lupi, lei si fosse lasciato ingannare dalla sua esperienza soltanto milanese (ho imparato, grazie a Wikipedia, che lei è nato nel capoluogo lombardo e che lì si è anche laureato) e quindi fosse naturalmente portato a pensare che tutte le scuole «private» equivalgono a quel paio di eccellenti istituti privati milanesi che effettivamente esistono, be’, si faccia coraggio e chieda alla sua collega, il ministro Gelmini.
La quale invece potrà ben raccontarle, dall’alto della sua esperienza e con grande onestà intellettuale, che cosa sia e come sia fatta una scuola privata di provincia, visto che il ministro l’ha frequentata. E forse le racconterà che in quella decina di istituti privati bresciani che esistono (non pochi, insomma), laici o cattolici che siano, è normale che il 10 giugno un insegnante venga chiamato dalla proprietà e che gli venga detto, senza perifrasi, che il suo 4 deve diventare un 6 in pagella: anche se l’alunno non ha mai studiato. È successo a tanti, è successo anche a me.
Probabilmente non è successo al ministro Gelmini, che immagino andasse benissimo a scuola e studiasse con solerte alacrità; ma sono sicuro che sarà capitato a qualche suo compagno di classe e che lei se lo ricorda bene. Sì, onorevole Lupi, vedrà che il signor ministro, se lei la farà pensare bene e con calma, se lo ricorderà, eccome.
Non ho visto la trasmissione, non ho idea del contesto in cui la frase a cui ti riferisci è stata pronunciata. Ma non è la prima volta che, volontariamente o no, per lapsus o per indole, dalle parole degli impiegati di Berlusconi trapela quanto stia stretto l'aggettivo pubblico a chi si è cibato solo di impresa. Tanto da conferire a "pubblico" il significato di costrizione, un impedimento a farsi bellamente i c***i propri, quindi il contrario di "libero".
RispondiEliminaQuando il cadreghino vacilla, anche per uno di "messa continua", non ci sono santi che tengano!! D'altra parte non è la chiesa, vero mercante nel tempio, la prima ad applicare il motto di Vespasiano che "pecunia non olet"??
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaLa prima condizione per essere liberi é non dipendere dai soldi altrui.
RispondiEliminaPer cui, quando le scuole private la smetteranno di prendere soldi delle tasse, allora potranno definirsi libere.
Fino ad allora sono solo mangiatrici a ufo.
Io invece sto cambiando idea sulle scuole private e sul loro finanziamento. E' vero, sono "facili", è vero, si chiudono molti occhi, è vero anche che sono confessionali (legittimente), però...
RispondiEliminaPerò raccolgono quel che la scuola italiana butta fuori. E non sempre si tratta di ricchi viziati e pigri. Vi è anche molta gente che ha avuto percorsi di vita difficili e ingarbugliati. Tutti studenti a cui la scuola italiana, con la sua elasticità ben nota a tutti, non può fare assolutamente nulla.
La scuola pubblica italiana è un treno, con il ministro macchinista. Si va tutti insieme e ci si ferma tutti insieme. Altrimenti, fuori.
La scuola privata sarà furbetta, sarà aziendalistica e sgangherata, però i suoi studenti li guarda in faccia, e per loro qualcosa si inventa, non foss'altro per giustificare la promozione che promette quasi statutariamente.
Poi: i soldi dello Stato si possono spendere in un sacco di modi, però forse spenderne qualcuno anche in scuole private (con tempi e modi da vedere), potrebbe non esere male.
La scuola privata è cmq un'agenzia culturale. Se lo Stato finanzia, o sgrava di pesi fiscali, le squadre di calcio, non si arrabbia nessuno.
Se viene finanziata una scuola privata è il finimodo.
Finimondo che si giustifica nel momento in cui ci si accorge che tale finanziamento verrebbe dai soldi alla scuola Statale.
Però, insomma non credo sia il caso di stracciarsi le vesti per qualche soldo alle private.
Cosa aspettarsi da uno Stato che cerca di smantellare quotidianamente la res publica?
RispondiElimina1privàto [pri'vato]
agg., s.m.
da "privus", singolo solo, speciale.
1 agg
che si riferisce o appartiene alla persona singola e non dipende dallo Stato o da enti pubblici (contrario di publicus)
2 agg
non pubblico, riservato a una persona o a poche persone
3 sm
chi non ha cariche pubbliche
@anonimo: guarda, se chiedi a me stiamo prima a dire a chi bisognerebbe dare i soldi, che non a chi toglierli.
RispondiEliminaComunque il ragionamento non era sulle scuole private, ma sul caratteristico chiagni e fotti di chi parla male dello Stato e poi si intasca i soldi delle tasse.
É un atteggiamento particolarmente caro ai neocodini e agli atei devoti, giocare a fare la vittima sacrificale dei miei stivali.
E io oooooodio il vittimismo...
Sottoscrivo il commento di plus1gmt, innanzitutto. Perché è su certe parole che si vanno formando idee e preconcetti. E infatti l'unico mio intento è fare in modo che certi termini non passino in giudicato, tutto qui.
RispondiEliminaMa a nessuno è venuto in mente che libera non sia contrapposto a schiava, quanto riferito al fatto che l'una, la statale (pubblica è scorretto, in quanto per la legge italiana anche le paritarie sono pubbliche, e questa non è una gentile concessione dell'autore, ma una norma di legge appunto), è istituita appunto dallo Stato e l'altra sorge invece per "libera iniziativa" di cittadini o enti, ecc., ragion per cui viene talvolta definita scuola libera?
RispondiEliminaSe pubblica si riferisce a entrambe, allora è inutile specificare altro.
RispondiEliminaAh io condivido, solo che nel gergo comune pubblica è sinonimo di statale. E io questa battaglia la combatto, specificando sempre che paritaria è pubblica, proprio perché "è su certe parole che si vanno a formare idee e preconcetti"...
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