lunedì 30 maggio 2011

Ad alta voce in punta di piedi

del Disagiato

I commessi del centro commerciale si salutano e si parlano solo da distante, da una vetrina all’altra o da un corridoio all’altro. Qualche giorno fa una commessa mi ha urlato dal suo negozio: “Guarda che se adesso mi dici che il mio libro non è ancora arrivato vieni tu stanotte a farmi compagnia a letto” e poi ha buttato nel corridoio una risata isterica e io sono diventato rosso in volto e ho sorriso ma volevo scappare perché non sapevo cosa rispondere a quella commessa così simpatica. Mi sa che è innamorata di me, anche se sempre da distante. Da distante mi saluta, da distante mi sorride e da distante mi ha chiesto il mio numero di telefono. I commessi si innamorano così, da distante, per approssimazione. E così fanno tra di loro, le commesse. Fanno tutto da distante, compreso chiedersi come va la vita e quanto pagano per l’assicurazione della macchina. Si raccontano anche le malattie, le morti e gli addii, da distante. Si dicono alzando la voce “È finità”, “Cosa è finita”, “Con Marco” e poi il silenzio e poi ricominciano a dirsi cose da un negozio all’altro, da distante, appoggiate al muro, in punta di piedi.


E io dalla mia postazione le guardo lanciarsi parole piccole e frasi brevi e nel mentre saluto un vecchio amico che da qui vedo là in fondo e lui da là in fondo risponde con una mano, di fretta, in bilico tra un impegno e l’amicizia scaduta da tempo. Da distante succede che le commesse sono tutte belle, da distante. Da distante il direttore non ha la faccia da culo e sempre da distante faccio quel gioco, non so se avete presente, di nascondere con un dito all’altezza dei miei occhi una persona distante. Ecco, io faccio questo gioco con le persone in fondo al corridoio e alle commesse belle tocco il seno e poi le nascondo con un dito e poi tocco la bocca e poi le nascondo ancora con un dito non prima di accarezzarle sul viso con un’unghia . Da distante siamo tutti amici, una grande famiglia, amanti, amando e amerò.

Poi al bar o in banca noi commessi ci ritroviamo faccia a faccia, come fosse un incidente di percorso, e allora non sappiamo cosa dirci e abbassiamo lo sguardo e sbagliamo i verbi e balbettiamo e i pensieri si strozzano in gola. Allora ci si riallontana e tutto riprende e ci sentiamo chiamare alle nostre spalle, distante, e noi rispondiamo alzando la voce, in punta di piedi per farsi vedere meglio, ciao domani sera vedrai che bella che sei Marco come sta è finita tesoro un bacio.

5 commenti:

  1. Un po' come quando incontri un italiano all'estero e per forza ti deve stare simpatico, cosi' i commessi dello stesso centro commerciale si salutano tutti, nessuno escluso, anche quello antipatico che, poverino, anche lui stasera chiude alle dieci.

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  2. E' come se fossimo tutti abili manipolatori di sogni. Sì, siamo eccellenti prestigiatori, a pensarci bene: in fondo non ci costa nulla, l' immaginazione è una dotazione di serie della specie, inclusa nel prezzo.
    Ma la realtà, il faccia-a-faccia..., beh, quelli richiedono del fegato, anche perché la fisiognomica, se non proprio scienza esatta, non è neppure sola astrazione: il viso, gli occhi, la voce, la postura, dicono altro ed oltre, e non sia mai che rivelino pure la vacuità d' idee e sentimenti...
    D' altronde, il solo compromesso possibile atto a mitigare l' aridità cui conduce l' umano narcisismo, è, come tu dici, il mantenimento delle debiti distanze. Ma che tristezza.

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  3. @Ste
    Mi sa che tu sai meglio di me come funzionano queste cose qui.

    @Sirio
    Che tristezza, già. Però è anche vero che ci sono delle vicinanze. Sempre meno più passano gli anni, ma ci sono.

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  4. Come ti capisco vecchio amico...

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  5. Lo so che mi capisci, vecchio amico. Tu ti sei pure sposato con una collega ;)

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)