domenica 15 maggio 2011

"Almeno quello lo abbiamo deciso noi"

del Disagiato

C’è questa vicenda, che ho letto tre giorni fa, di due sorelle di Trieste che sono costrette a dormire in una macchina in seguito ad uno sfratto e a gravi difficoltà economiche. Siccome certi episodi li conosco bene e siccome la mancanza di soldi e gli sfratti e gli scatoloni e la mancanza di sostegno sono eventi che fanno riflettere, mi sono un po’ commosso, come quando si guarda un film di Ken Loach e la macchina da presa si posa sui dettagli più tristi e raccapriccianti. Solo che il cinema è sempre perfetto, anche quando vuole raccontare l’imperfezione e allora succede che la realtà diventa più spietata e significativa.

Le due sorelle, andandosene di casa, hanno distrutto i mobili per non lasciarli agli zingari. Hanno preso a martellate la camera da letto del papà deceduto, i materassi, la spalliera, la sala da pranzo, le ante della cucina e i mobili del bagno. Letteralmente fatti a pezzi, distrutti, per non lasciare cose agli altri. E io mi sono immaginato quel martello cozzare contro legno e plastica, quel disintegrare mobili, mi sono immaginato le schegge schizzare, il sudore e il rancore. “Non volevamo lasciargli dentro niente, magari per farne godere una famiglia di rom, come è successo alla signora del piano di sotto. È stato un gesto di rabbia, di frustrazione. Almeno quello, lo abbiamo deciso noi”, dicono loro. In un film di Ken Loach da che parte sarei stato? Dalla parte delle sfrattate o dalla parte di un popolo nomade che arraffa quello che capita? Però la scena di due sorelle che fanno a pezzi mobili per frustrazione e perché è l’unica decisione che possono prendere in un mondo ingiusto e orrendo sarebbe una bella scena, di quelle che se fatta da Ken Loach strapperebbe applausi. Ma nella realtà che succede? Cosa bisogna pensare? 


Penso solo che non riesco a togliermi dalla testa il martello che distrugge per non lasciare agli zingari e anche a sforzarmi non so come chiamare questa cosa, che forma dargli. Mi sono detto che pensare agli zingari in un momento come quello significa nutrire un cattivo rancore, un sentimento di bassissima qualità. Ma forse è troppo facile pensare questo. Ma il martello e i mobili spaccati mi tormentano, mi danno fastidio. In un film di Ken Loach penserei che il regista ci sta dicendo che le due protagoniste sono vittime di un mondo ingiusto, dove il pesce grande mangia quello più piccolo. Come si può essere così razionali e calcolatori anche nella difficoltà e nell’urgenza?

Magari non è estrema razionalità, invece. Magari è solo un modo molto personale di gestire gli eventi e i sentimenti. I mobili fatti a pezzi per paura che se li prendano gli zingari significa che ci sono stati solitudine e abbandono ancora prima della poverta, durante la comodità, l’agiatezza. Magari, dico. Perchè in verità la realtà è più difficile da interpretare e certe cose, molte cose, io non so spiegarmele. Come in questo caso.

6 commenti:

  1. Ho letto l'artico e, devo dirlo, mi fa un po' arrabbiare. Le due sorelle, 41 e 45 anni, mi fanno arrabbiare. Mi chiedo perche' prima non avessero la necessita' di trovare un lavoro, mi chiedo perche' un padre lavoratore stava in affitto, mi chiedo cose' la tesi sulle vongole e mi rispondo che, forse, la miseria la vivevano anche prima, quando i soldi erano in banca."In verita' la realta' e' piu' difficile" e parlo bene io, che una casa ce l'ho (ed anche un mutuo)e non devo mettermi lo smalto in macchina..

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  2. è un'immagine disturbante, in effetti, quella del martello. è il simbolo di un tutti contro tutti che è il più grande fallimento dei nostri tempi. Poveri contro zingari, in una gara al ribasso che impedisce a chiunque di schierarsi da una parte o dall'altra. Poi ci sono quelli che sanno tutto e che si "arrabbiano" perché le due sorelle di 41 e 45 anni "non avevano la necessità di trovare un lavoro". A parte che non è vero, ma è significativo dei tempi che viviamo: colpa loro, fuori due.

    manfredi

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  3. No, non so tutto, anzi, so molto poco, pero' quello che so' e' che non piove niente dal cielo. Colpa loro, che distruggono i mobili a martellate. Non potevano venderli sti mobili? No, meglio distruggerli e poi chiamare i giornalisti, che il pezzo esce meglio.

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  4. "è stato un gesto di rabbia, di frustrazione". Sentimento tipico del genere umano. Criticabile ma comprensibile per chi fa "la tesi sulle vongole" e lavora come donna delle pulizie, come commessa, come insegnante per ripetizioni di matematica.

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  5. Comprensibile, per tutti, il gesto di rabbia e frustazione, meno comprensibile la cattiveria.

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  6. A me fa pensare alla Roba di Verga.
    E' il concetto del "mio" che qui vacilla. Perchè la gente non difende con violenza i suoi diritti di fronte al potere, e poi però si rifiuta di lasciare i suoi oggetti a persone che hanno di meno?

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)