lunedì 16 maggio 2011

stare freschi

di lo Scorfano

Ben venga maggio, ben venga primavera naturalmente. E vi risparmio le donzelle innamorate e i dolci amanti in giostra, per quanto sia francamente e morbosamente tentato. Ma maggio non è solo fresca ombra di alberi e acqua lasciva di ruscelletti, tocca ammetterlo: maggio è anche mese difficile e pesante, in una scuola: mese di verifiche, di interrogazioni decisive, di fatica, di tensioni e nervosisimo, di mamme in lacrime agli ultimi colloqui, di occhiaie, di pile domestiche di verifiche da correggere e di caldo improvviso e stagnate, padano.

Soprattutto di caldo improvviso, in realtà: e quindi di aule invivibili e bollenti, di puzza di sudore, di tende strappate o malmesse che non proteggono da un sole invadente, di umidità che attacca i vestiti alle ascelle… (O voi beati che ve ne state nei vostri uffici con aria condizionata! Voi non sapete l’afa di un’aula popolata da ventotto quattordicenni nervosi, voi non sapete l’odore adolescente di giovani virgulti, voi non sapete…).

E di conseguenza, e ogni anno che passa sempre di più, maggio è anche il mese dell’abbigliamento che non ti aspetti: infradito, per esempio, tantissime, in tutte le aule dell’istituto; fino al livello infimo delle ciabatte da piscina.      
              E poi calzoncini corti, soprattutto in prima: quasi tutti i maschi in calzoncini corti, con i peli sulle gambe che risaltano vigorosi (non tutti, però: i più chic, non ci crederete, si depilano). E canottiere, anche: più di una, di vari colori e dimensioni. E naturalmente ombelichi e vite basse, glutei che spuntano appena qualcuno si china in avanti per raccogliere un libro o chissà cosa. E oggi, record dei record, un ragazzo (non nella mia classe, però) con un coloratissimo costume da mare: inequivocabilmente da spiaggia, proprio; distinguibile per gli evidenti cordoncini bianchi legati in sul davanti, quelli inesorabilmente tipici dei costumi da mare.

Lo conosco, questo ragazzo: è di una classe quarta dell’indirizzo tecnico, una classe tutta maschile, divertentissima, in cui fare supplenza è quasi (quasi) un piacere, per simpatia e vivacità e curiosità intellettuale. Allora l’ho fermato nell’intervallo e gli ho detto, a questo ragazzo che sembra uscito da uno di quei film sulle banlieues parigine, con tutto il regolare repertorio di piercing e orecchini di ordinanza: «Sei venuto in costume, stamattina?» Lui mi ha risposto tranquillo, senza nemmeno cogliere la sfumatura ironica: «Avevo educazione fisica alla prima ora. Poi sudo e ho caldo tutta la mattina… Ho bisogno di stare fresco». E si è allontanato verso il bar, urlando un nome di ragazza che si è voltata chiaramente lusingata dal richiamo.

Io ho continuato la mia passeggiata nel cortile, con sigaretta. Pensavo che venti o trenta anni fa nessun genitore avrebbe mandato un figlio con certi abiti a scuola. Pensavo che magari a diciott’anni un ragazzo si impone su questo tipo di scelte, ma che certamente i miei alunni quattordicenni in calzoncini e infradito non s’impongono: sono le mamme che li mandano così. Pensavo che non mi piace. E stavo già per pensare un’altra cosa, esprimibile con il consueto e tradizionalissimo «O tempora, o mores!», quando ho incontrato il mio collega Tiziano, che mi ha chiesto una sigaretta.

Tiziano ha uno o due di anni più di me, sui quarantacinque: insegna scienze. Era a scuola in jeans, scarpe da ginnastica di dimensioni notevolissime e t-shirt un po’ attillata, blu con un disegno a colori sgargianti sul petto. Mi sono fermato e non ho più potuto pensare «O tempora, o mores!»: perché sono andato a guardarmi riflesso sui vetro del portone di ingresso e mi sono detto che nessuno dei miei insegnanti veniva a scuola come ci vengo io, venti o trent’anni fa: scarpe normali, intendiamoci; e pure una bella camicia. Però tenuta fuori dai pantaloni, che è un segno meno; i quali pantaloni sono jeans, che è un altro segno meno; i quali jeans sono di quelli con gli strappi di fabbrica, che li compri e sembra che qualcuno li abbia già usati prima di te (ma costano comunque più di 100 euri); i quali jeans con gli strappi sono senz’altro un doppio segno meno.

Insomma, mi sa che mi tocca tenermi, con la mia camicia ampia tenuta fuori dai jeans strappati, anche le infradito degli studenti. È che fa caldo, ragazzi: già è un mestiere faticoso e impossibile, già c’è lo stipendio bloccato chissà per quanti anni, già ci sono le pile di verifiche da correggere e gli scrutinii e i programmi svolti da preparare per la quinta e poi l’esame di maturità con il suo bel carico di tesine da rivedere… Mi permetterete almeno di stare un po’ fresco, no? E io, viceversa, lo permetto agli studenti e al loro repertorio di canottiere, calzoncini e infradito. Non so se va bene, forse non va bene. Ma se non altro stiamo tutti un po’ freschi.

18 commenti:

  1. Momento aneddoto tinnico: non mi dimenticherò mai dell'umiliazione provata quando, in terza media, andai, con tutta l'ingenuità tinnica che solo io posso avere, a scuola con dei modestissimi calzoncini corti, che NULLA avevano di seducente e nemmeno di sconveniente. La mia prof di italiano, una donna tutto d'un pezzo, vecchio stile, brava ma molto legata alla tradizione, mi fece una partaccia davanti a tutti dicendo che da una come me non si sarebbe mai aspettato un abbigliamento simile e che vergogna ecc ecc...
    da allora sono RIGOROSAMENTE infastidita da tutto coloro che, per ragioni, diverse, si lamentano di come vanno vestiti "i giovani d'oggi". Certo, è vero che alcune magliette fanno un po' pena, specie se lasciano intravedere qualche rotolino di troppo, però quando vedo la gente uscire dalle scuole non riesco a fare a meno di pensare alla Tinni tredicenne, tranquilla nei suoi pantaloncini, che pensava non ci fosse niente di male, appunto perché faceva CALDO. E, sinceramente, ho davvero apprezzato lo sforzo che tu Scorfano hai fatto, nel guardarti allo specchio e nel capire che i "tempora" sono venuti per tutti, in un modo o nell'altro, e, lasciatemelo dire, MENO MALE!

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  2. ah la bella scuola gentiliana di una volta, i grembiuli anche alle superiori :-)

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  3. dimenticavo: in luglio e agosto, a meno di non aver meeting, vesto anche io bermuda con tasconi e maglietta joy division per andare in ufficio

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  4. Siccome lavoro in un ambiente giovane ed informale, conosco il problema.

    Siccome non ci sono regole o dress code, in estate si scatena il delirio. Non tanto per i jeans o le magliette al posto dei pantaloni con la piega e la camicia.

    Il problema sono le chiappe pelose in bella mostra, i piedacci esibiti come nemmeno ad un festival fetish/gay, i reggiseni a vista.

    E quanti tagli del sedere... maschi e femmine, tutti a mostrare con orgoglio il taglio del sedere.

    Io non ne faccio una questione di morale e nemmeno di buon gusto, ma secondo me superata la fanciullezza si dovrebbe essere in grado di sopportare un paio di pantaloni lunghi ed evitare di sbattere in faccia agli altri le proprie parti meno appetibili.

    Come forma di rispetto.

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  5. Bhe, forse hai ragione, ma sinceramente io rimango molto più ferita nel mio senso del rispetto quando qualcuno emette sgradevoli odori sudorobondi, o quando qualcuno fuma senza preoccuparsi del fastidio che provoca negli altri vicini...il fatto che si debbano vedere ogni tanto dei "sorrisi verticali" (non è carina questa espressione locale??) ammetto che non mi tange più di tanto. Non più, perlomeno, del culame vario che ci propina la TV.

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  6. Ah, l'"in sul" leopardiano!
    :)
    Sull'abbigliamento, invece, non ho proprio nulla da dire.
    State freschi, ch'è sicuramente meglio.

    P.s.
    Io, qui, non ho aria condizionata, ma sono condizionato dall'aria. E ti assicuro che non sono meglio trenta adulti, che riescono comunque a saturare l'aria.

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  7. ah, sì, datemi l'aria condizionata in classe e vi regalerò uno dei famosi due mesi di ferie! (ecco, nessuno, quando ci rimprovera le vacanze lunghe, pensa ad esempio a questo aspetto mooolto pratico)

    anch'io ho il problema dell'abbigliamento estivo: benché sia sempre informale, cerco di evitare reggiseni a vista, gonne cortissime e scollature troppo osé. però, data l'offerta commerciale, è una bella lotta, soprattutto senza sembrare una sessantenne.

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  8. Io penso che ci sia una certa differenza tra il diritto allo stare freschi (io ho sempre indossato la canottiera in classe quando c'erano 30° già alle 8 del mattino senza che nessun prof mi dicesse nulla) e l'ostentare seni e sederi: scollature e "sorrisi verticali" non sono mai esibiti a causa del caldo, tant'è che se ne vedono in tutti i mesi dell'anno... Allora il richiamo allo studente a mio avviso è legittimo quando si veste (o meglio, si sveste)come andasse a ballare, ma nell'infradito e nella canottiera non ci vedo niente di male...

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  9. Io credo che ci sia una soglia di accettabilità che però non è molto condivisa. Io per esempio non porto mai le maniche corte a scuola, però la camicia fuori dai pantaloni forse a qualcuno non piace, non so. La domanda che infatti mi pongo è quale sia la soglia di accettabilità delle famiglie dei miei studenti... senza farne un problema troppo grosso, però. (benché tenderei a dire non si tratta di una questione morale, ma di buon gusto in parte sì).

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  10. Nella mia scuola l'altro giorno è girata una circolare sul dress code di due pagine :-) (se non fosse davvero troppo identificabile la posterei). Niente infradito, niente canottiere, niente mutande in vista. Panico!
    Io ne faccio anche una questione didattica. Già maggio è un mese difficile, se riempi la scuola di carne giovane in mostra è la fine. I grandi ancora si tengono, ma i piccoli danno proprio i numeri.

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  11. Ecco, a me continuano a non piacere infradito e canottiere. Ma la circolare mi sembra esagerata, dico la verità.

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  12. Ti sembrerebbe ancora più esagerata se la leggessi, giuro.

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  13. Non so. Va benissimo poter stare freschi a scuola. E comodi. Anche in costume, magari (be', in realtà la mia soglia di accettabilità si ferma un po' prima, ma insomma..).
    Ma mi chiedo: se le famiglie non lo fanno, non andrebbe spiegato ai ragazzi che si tratta di un privilegio di un ambiente scolastico moderno, aperto e informale? Che in molti altri ambienti ci sono etichette, magari stupide, ma che vanno considerate? Che al lavoro, ma già all'università, potranno trovare altre realtà, tipo professori vecchio-stampo, educati diversamente e convinti che, per dire, andare all'esame quantomeno in pantaloni lunghi sia una questione di rispetto?
    Magari per non rischiare l'umiliazione non prevista descritta da Tinni. Non so, ecco.
    Agota

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  14. Non lo so... trovo questa attenzione al dettaglio del vestiario molto molto italiana. Sarà che io mi vesto sempre con qualche cosa che non va... perché non so vestirmi, perché ho caldo, perché ho freddo, perché vado in bicicletta, perché un sacco di cose, compreso il fatto che del vestire mi interessa solo che protegga dal freddo e dal caldo, e che non esponga natiche, ossa iliache, ombelichi, capezzoli ecc...
    Insomma, una cosa è la decenza, o la pulizia, un'altra è portare la camicia fuori dai pantaloni, la maglietta attillata, o gli infradito. Sono regole di abbigliamento contro altre regole: la camicia contro la t-shirt, i jeans contro gli shorts... Insomma, sarei per un dress code più sostanziale, che magari chiudesse un occhio sul costume al posto dei pantaloni (se equivalente a degli shorts) o fosse meno tollerante per la fessura delle natiche lasciata in vista, il reggiseno e la marca delle mutande esposti, e così via... ma forse è perché non so vestirmi nemmeno io...

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  15. odio giacche e cravatte (e infatti non ne possiedo) e patisco il caldo.
    questo ha fatto sì che nei miei trent'anni trascorsi in un istituto bancario mi sia sempre aggirato per uffici e corridoi vestito in modo, diciam così, poco consono.
    e ai richiami, che nel tempo si son via via affievoliti, di superiori e anche di colleghi, ho sempre risposto "preferisco di no".
    così, fin dagli anni settanta c'era almeno un bancario che d'estate se ne andava in giro, o stava allo sportello, in t-shirt, jeans e sandali (poi ci sarebbe da fare tutto un discorso su barba, baffi e capelli lunghi).
    il tutto per dire che la mia tolleranza i fatto di vestimenti è rovesciata: son quelli vestiti "a modo" che mi dan fastidio.

    nick the old

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  16. Mi rendo conto che ognuno ha la sua idea, ognuno diversa. E' per questo che tutto sommato non vale la pena di stabilire nessun criterio: ci si affida al buon gusto dei singoli. Sperando che la scuola aiuti, un po', a forgiare anche quello, chissà.

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  17. Io non batto ciglio di fronte a piercing, cappellini e mutande con elastici colorati che sporgono dai pantaloni maschili. Ma dove si va sul sessuale, tipo scollature, magliette che lasciano fuori mezza pancia, perizomi (alle medie, sì, lo so, o tempora, o mores) o righe del culo, intervengo con discrezione. L'unica fissa che ho, per un fatto di rispetto, è che se tornano da ginnastica senza essersi rimessi i pantaloni ma con le braghette li mando a cambiarsi.

    Quanto all'abbigliamento da prof, ho parecchi problemi quest'anno perchè ho preso peso e non solo sulla panza. L'altro giorno vado a scuola con una camicina sottile che in passato mi ero già messa varie volte, e becco un paio di sguardi tra l'interessato e il perplesso. Non mi ero resa conto che, con la nuova taglia che ho, la maglietta lasciava vedere una generosa fetta di latteria.

    Il casino è che me ne sono accorta alle otto e venti e sono rimasta a scuola fino alle 19. Volevo morire.

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  18. I calzoni corti e le mezze maniche sono approvabili, purché decorosi: esistono anche le divise militari estive così composte. E, poi, perché non una gonna ampia od un abito lungo, anch'esso ampio, tanto per le femmine, quanto per i maschi, purché decoroso ed elegante? Si sta ancor più freschi e comodi rispetto ai calzoni corti.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)