domenica 1 maggio 2011

Si finisce per uccidere

del Disagiato

Ecco cosa mi dà fastidio della guerra, che quasi l'avevo dimenticato. “Uccidetelo e che sia finita”, il bel titolo di Libero, è quanto di più distante ci possa essere da un sentimento cristiano e cattolico. “Uccidetelo e che sia finita” è soluzione mentale delle bestie, frase mormorata dai Kapo processati a Norimberga o sfuggiti nei paesi meridionali del mondo. Il vero miracolo, cari uomini di chiesa e fedeli e credenti, è quello di non dover leggere  “Uccidetelo e che sia finita”; è quello di non dare agli occhi dei bambini e degli ingenui la vista della faccia da colpevole e criminale di Feltri e di chi, come lui, lascia passare l’idea di uccidere e finire, come fosse un atto burocratico, una semplice firma da fare in calce a un foglio, una coperta da sistemare bene per pura estetica e eleganza. Io non voglio uccidere e non voglio lo facciano i miei fratelli. Ma soprattutto io non voglio finire, preferisco lasciare in sospeso, che finisca qualcun altro per me. Io voglio un paese che nasconda il suo passato fascista, che celi le menti peggiori della nostra generazione, che sappia vergognarsi delle proprie parole e ricominciare e sbagliare e poi ricominciare ancora. 

Non è stato compiuto nessun miracolo, non c’è festa da organizzare, non c’è uomo da santificare, oggi. “Uccidetelo e che sia finita” è movimento di labbra che circola ancora tra noi. Non c’è nulla da festeggiare, siate ancora tesi. Ancora all’erta, per favore.

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