mercoledì 18 maggio 2011

le mani di suo padre

di lo Scorfano

Mentre l’ora finisce e sto per uscire dall’aula, mi si avvicina Marcello e mi dice: «Mio padre mi ha detto di chiederle scusa, per l’altroieri…» «Per l’altroieri che cosa?» gli dico io, piuttosto incredulo. E quando lui mi dice per cosa suo padre si scusa tramite il figlio, ecco, in quel momento io ho voglia contemporaneamente di dare un pugno in faccia a Marcello ma anche di fargli una carezza. E non so cosa fare. E poi gli faccio un gesto che significa «Ma piantala!» e me ne vado, e mi viene da ridere, o da commuovermi, o forse anche da arrabbiarmi un po’, non so.

Perché quello che è accaduto «l’altroieri» è stato che il papà di Marcello è venuto a colloquio con me, per parlare della situazione scolastica (difficile) del figlio. Il padre è arrivato con una decina di minuti di ritardo, e si è subito scusato; ma già il giorno prima Marcello mi aveva avvertito che il padre doveva lavorare e che sarebbe arrivato con un po’ di ritardo e io gli avevo detto che non c’era problema. E anche mezz’ora prima che il padre arrivasse, Marcello era di nuovo venuto a dirmi che il padre sarebbe arrivato un po’ in ritardo: «È passato a casa un minuto per lavarsi e cambiarsi, era a lavorare», mi ha detto. E io gli ho ripetuto che non c’era nessun problema.

Poi il padre è arrivato, si è scusato, si sono seduti tutti e due, lui e Marcello, davanti a me. E abbiamo cominciato a parlare.    
            Io guardavo le mani del padre di Marcello, mentre gli dicevo che, insomma, questo ragazzo non sempre ha studiato come doveva e che, in particolare in latino, la situazione è molto difficile. Le mani del padre di Marcello sono molto diverse dalle mie: io ho preso in mano solo la penna, nella mia vita; e poi ho premuto i tasti di una tastiera di un computer, al pomeriggio. Il padre di Marcello ci ha lavorato, con le sue mani, e si vede, e mi sa che ci ha lavorato tanto; e ha mani grandi che si stringevano piano una all’altra, mentre mi ascoltava parlare del latino, ha mani che vorrei avere io quando devo montare una libreria dell’Ikea.

Io guardavo le mani del padre di Marcello e intanto dicevo che «Non so, a volte non capisco perché Marcello faccia così… all’ultimo compito, per esempio: come mai ha preso 3 in una verifica così facile?» E il padre di Marcello, stringendo un po’ le mani, mi rispondeva: «Non avrà studiato, no?» E Marcello, lì vicino, diceva: «Sì, è vero, non ho studiato». E mi erano simpatici tutti e due: perché le risposte semplici sono simpatiche, forse non esauriscono, ma è bello che ci sia ancora qualcuno che le dà, con franchezza, senza nascondersi, senza provare altre strade tortuose e inutili.

Poi ho spiegato quale fosse la situazione dei voti, cosa si potesse ancora fare, come Marcello avrebbe potuto in qualche modo dare qualche segno importante per lo scrutinio finale e per l’anno prossimo. E gli ho detto che il ragazzo è educato, e che scrive bene, e che questo è importante. E il padre di Marcello mi rispondeva e a volte diceva qualcosa al figlio, girandosi di lato; e a un certo punto lo ha guardato e gli ha detto una brevissima frase in dialetto, per dirgli che si svegliasse. E Marcello, ho visto bene, gli ha dato un colpo con il gomito, che significava: «Non parlare in dialetto davanti al prof». E io, che avevo comunque capito benissimo, sono andato avanti con quello che dovevo ancora dire. E poi ci siamo alzati, il padre di Marcello mi ha detto: «Comunque quest’estate lo mando a lavorare, che magari capisce qualcosa», ci siamo salutati, era forse l’una passata, siamo andati fuori dalla scuola e io ho preso la mia macchina, Marcello e suo padre hanno preso il loro furgone per tornare a casa.

E poi è arrivata questa mattina. E questa mattina, due giorni dopo, Marcello si è avvicinato a me, quando l’ora era ormai finita, e mi ha detto: «Mio padre mi ha detto di scusarlo, per l’altroieri…» E io gli ho chiesto: «Per l’altroieri che cosa?» E Marcello mi ha detto: «Per aver parlato in dialetto». E io in quel brevissimo istante, con la borsa già sulle spalle, ho immaginato il ritorno di questi due, padre e figlio, verso casa, con il padre che sgrida Marcello perché non studia e minaccia di mandarlo a lavorare, e Marcello, che è studente liceale e sa (un po’, poco) di latinorum, che sgrida il padre perché ha parlato dialetto, che a scuola non si fa, che ci facciamo riconoscere, che «te lo avevo detto di stare attento».

Ed è stato pensando a quello che avevo voglia di dare un pugno a Marcello, pensando a quel rimprovero fatto al padre, a quel padre che dopo gli dice di portarmi le sue scuse, perché pensa che magari sì, poteva evitare; e avevo voglia di dire a Marcello: «Cretino che sei, cretino… Tuo padre ha tutto il diritto di parlare dialetto, cretino. Sei tu che hai il dovere di studiare, piuttosto, cretino di un cretino…» Ma avevo voglia di dargli anche una carezza affettuosa, però; perché «ti ricorderai, tra qualche anno, della fatica di tuo padre, del suo lavoro, del suo volere a tutti i costi che tu studiassi e ti commuoverai a ricordarlo. E ti dispiacerà di non aver studiato quanto lui voleva. E sarà tardi e mi dispiace che ti succederà, davvero. Anche se sei un cretino».

E alla fine però, lo sapete già, non ho detto niente. Gli ho fatto un gesto, e spero che abbia capito lo stesso. E se non ha capito stamattina capirà più avanti, quando sarà grande. Quando forse avrà le mani come le mie e non come quelle di suo padre, e saprà parlare italiano sempre, quando si deve parlare italiano, e doserà meglio i suoi doveri e i suoi rimproveri, speriamo.

25 commenti:

  1. Tutte le volte che leggo le tue storie di genitori e figli mi viene da piangere, chissà perché.

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  2. Io, una teoria, ce l'ho: e dipende dal fatto che io non sono padre, e quindi guardo questi eventi come eventi misteriosi, con un occhio stupito. E tu, che sei padre, ti commuovi soprattutto del mio stupore, secondo me. (Secondo me, magari sbaglio: perché non sono padre, appunto.)

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  3. In questo post ci sono pure io, pensa tu.

    Però devi smettere di tirare fuori le tue storie così, senza un minimo preavviso! Perché poi uno arriva qui, si commuove, pensa che vorrebbe ringraziarti ed invece si trova con l'occhio lucido davanti al monitor, magari col collega che gli chiede "Tutto bene?".
    E buona giornata, professo' :)

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  4. Vado leggermente fuori tema, rarlando di dialetto. (Premessa: io non parlo nessun dialetto, non il piemontese perché la mia famiglia è veneta, non il veneto perché i miei genitori decisero di parlarci sempre in italiano. Poi il veneto in versione patavino-trevisano lo capisco perfettamente, e il piemontese non troppo patois pure).

    Io capisco Marcello che si sente in dovere di richiamare suo padre perché ha parlato in dialetto. Non lo approvo affatto, ma non sono ancora così smemorato da non ricordarmi più di cosa pensavo del lavoro di mio padre quando avevo la sua età (con la fregatura che mio padre è morto che non avevo ancora diciott'anni). Da adolescenti non si è affatto in grado di capire queste cose.

    Però mi dispiace che il padre di Marcello si sia sentito in dovere di chiedere scusa. Ecco, io forse avrei detto a Marcello di riportare a suo padre qualcosa del tipo "non si preoccupi, se io non fossi riuscito a capirla le avrei chiesto di ripeterlo". Insomma, l'unico problema che vedo nel parlare in dialetto con un non autoctono è appunto la possibilità di non farsi comprendere; ma per il resto perché farsene una colpa? Mica era arrivato lì con l'intenzione di mostrare come si deve parlare coi foresti, no?

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  5. Che tenerezza questo padre con le mani grandi. Che tenerezza le mani dei papà.

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  6. Anche a me è dispiaciuto quello, infatti. E mi è dispiaciuto che le scuse siano arrivate dopo un intuibile rimprovero del figlio. E spero che il mio gesto abbia fatto capire al ragazzo che il padre non si deve affatto scusare per una cosa del genere. Però non so, questo è il punto.

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  7. da vent'anni lavoro in progettazione in aziende che fanno anche produzione. non voglio fare l'operaista, ma tra gli operai mi sono sempre trovato meglio che tra i miei colleghi impiegati. hai l'impressione che nel lavoro manuale, nella fatica, nel sudore e nel grasso che unge e sporca le mani e che non riescono mai a togliere completamente, imparano a parlare direttamente, francamente, senza doppi sensi o falsamente. magari in dialetto, in tanti dialetti e oggi anche tante lingue straniere ed questo sembra il contrappunto al rumore delle macchine.

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  8. Tu devi finirla, che io qui non ho una riserva di rimmel ...

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  9. Spero che Marcello possa giungere ad avere la tua sensibilità e la tenerezza del padre. Ha tra le mani un tesoro inestimabile.

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  10. Sempre bella e' la tua prospettiva dei rapporti famigliari. Sempre mi fai commuovere e riflettere, grazie professore.

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  11. Uffo Mi fai commuovere.
    Perchè avrei potuto essere quel prof. ma non lo sono.
    E perchè amo il dialetto.

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  12. @frank
    Grazie: è bellissimo il tuo miniritratto.
    @paolos
    Non so, magari riesci ancora a esserlo, chissà.

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  13. e niente eh, solo che secondo me
    1) se usato bene, il dialetto è una ricchezza
    2) i tuoi racconti di genitori sono bellissimi, ma secondo me soprattutto coi padri ti scappa la lacrimuccia...

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  14. C'è che credo di identificarmi con i padri. Però senza essere padre, il che rende i racconti un po' strani. O forse, ma è un segreto, sto parlando un po' di mio padre, ogni volta un po'.

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  15. insegnante anch'io. com'è che mi capitano più spesso madri virago o rocchettare con chewingum, padri imperativo-assoluto e fauna varia che non impressiona il rullino? eppure non insegno in un liceo, il censo dell'utenza ( scusa il francesismo) somiglia in linea generale a quello del mitico padre che hai descritto.
    sono invidiosa? uhm.................................................................................................................
    SI
    Annurka

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  16. Secondo me bello il tuo silenzio nonostante il moto dei pensieri. Che spesso le parole non sono latte buono come vorremmo mentre il silenzio e' saggio e leggero. Vorrei avere un ricordo del genere di mio padre.

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  17. Comunque, riflettendoci meglio, ho pensato che non credo che il padre si sia scusato, bensì che Marcello abbia detto che il padre si è scusato.

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  18. naturalmente, dato che siamo nel campo della metafisica lacustre

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  19. @m.fisk
    Il primo capitolo della metafisica lacustre prevede che ci si fidi degli studenti. In genere non ci si azzecca, ma l'onere della prova spetta ancora a chi non si fida...

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  20. eh, ma mica siamo in Corte d'Assise: non è che dobbiamo ricercare la verità.
    Dico che mi sembra più verosimile pensare che il ragazzo si vergogni del padre che parla dialetto, sia pur per un momento, piuttosto che il padre (un concreto, operoso operaio bresciano) si vergogni di aver parlato dialetto per un momento.
    Poi ben sappiamo che il vero è nemico del verosimile, e viceversa.

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  21. però, mentre mi immagino la scena del ragazzo che a caldo si vergogna del padre che parla dialetto e gli tira una gomitata, mi pare meno probabile che a freddo venga nuovamente a scusarsi, considerando che lo stigma non gli può restare così a lungo.
    D'altro canto il padre, pur trovando naturale parlare dialetto, a mente fredda potrebbe essersi convinto che parlare dialetto con l'Autorità non è corretto, e quindi ha chiesto al figlio di scusarsi.

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  22. Lei, seppur torinese, è assai meno deamicisiano di me.

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  23. Secondo me avete tutti ragione ma contemporaneamente torto!!! Per me Marcello era sincero , ma non è questo il punto.. bisogna capire perché si sia vergognato del padre che parlava in dialetto !!! Secondo me ha fatto questo per un motivo molto semplice.... Scorfano non è un professore qualunque (lo abbiamo capito tutti leggendo ciò che scrive) probabilmente Marcello non voleva sfigurare davanti al suo insegnante che magari ammira!!!

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)