martedì 3 maggio 2011

Come siamo fatti

del Disagiato

La gente che entra in libreria per comprare romanzi è mossa da una passione spesso decifrabile. “Voglio un romanzo leggero, che mi distragga”, mi dice la maggior parte dei clienti e ho imparato con il tempo che chi dice così, in realtà, è una persona che sta mentendo, “E’ un momento brutto”, “la ragazza mi ha lasciato”, “sto nei casini”, questo, detto volgarmente, mi sta dicendo. Mi sta raccontando che le cose non filano via lisce, non vanno come dovrebbero e per questo hanno voglia di evadere e di non pensare a se stessi. Ma è troppo tardi, io ho capito che no, che da come parlano, da come mi guardano, da come si sistemano i capelli, hanno voglia invece di leggere la storia di qualcuno che soffre le loro stesse pene. Così, e magari suona presuntuoso, io so consigliare il libro adatto, quello che racconta l’amore o la mancanza di soldi, quello, insomma, dove “ci si rispecchia”. “Mi sono rispecchiato”, mi dice qualche cliente di ritorno e io, allora, suggerisco ancora e magari, stavolta, senza azzeccarci o senza arrivare al cuore di una questione.

Voglio, anzi, vogliono sentirsi un po’ feriti dai libri, nonostante tutto. Vogliono sentire che non sono soli al mondo, che non solo loro hanno toppato nella vita. E molte volte, per lo spazio e il tempo che la catena di montaggio mi concede, io sono contento di dire “ecco, questo libro ti farà un po’ male, stasera”, “ecco, stasera, quando sarai distesa a letto e con la luce della lampada sulle pagine del libro, sentirai, forse, un brivido, una lieve vertigine”. La nostra storia d’amore è finita? Allora vediamo di leggere di uomini abbandonati e sofferenti. La mia vita va a rotoli? Bene, vediamo di leggere di uomini e donne che si ritrovano con le gambe all’aria. Altro che evasione. 


Che poi, quando si evade, quando si smette di raccontare, si finisce per dividere la vita in bello e brutto, buono e cattivo ma si finisce anche per spiare la vita e l’amore dal buco della serratura, per vedere cosa stanno facendo, come si comportano là fuori nel mondo, senza di noi. Ma il buco della serratura è per definizione un buco, è piccolo, taglia le prospettive e soffoca la vista. Allora succede, come ricorda Beniamino Placido in un bel libro, che le cose vanno come vanno nelle Mille e una notte, quando il sultano scopre che la moglie l’ha tradito e allora lui la punisce e non si da pace. E cosa fa poi il sultano? “Le donne non cambieranno mai, le donne sono tutte uguali”, dice e pensa. Allora decide di punirle tutte, le donne, di passare ogni notte con una donna diversa per poi ucciderle al mattino dopo. Le donne danno dispiaceri, tanto vale eliminarle.

Però poi arriva la bella Shahriyar che decide di fermare il piano del sultano raccontandogli ogni notte una storia. E così avviene per mille e una notte, grazie all’astuzia e al racconto. Ogni racconto è uno spargimento di sangue in meno o, se volete, una vita in più. Si racconta anche nel Decamerone ma i racconti, se non sbaglio, devono essere occasione di evasione, non devono mai parlare di peste. Forse i racconti di “Le mille e una notte” parlano di uomini traditi? Forse la bella donna è così spericolata da ricordare al sultano pazzo la causa della sua pazzia?

Sì, la narratrice sfodera anche racconti di mariti traditi e di mogli bugiarde. La narratrice fa questo, mette il dito nella piaga. Lo fa non per imprudenza o perché si è scordata della situazione, no, lo fa perché vuole rieducare il sultano, raccontargli il proprio dolore e farglielo comprendere. Questa, anche, è la letteratura: raccontare la forma e la profondità delle nostre ferite. E’ vero, ci sono donne che tradiscono, ma è il caso di perdere la propria umanità? E’ il caso di perdere il senno? No, non è il caso. Allora vediamo di capire cosa è successo, come vanno le cose e quali sono i limiti di noi poveri esseri umani. Vediamo di capirlo attraverso il racconto. Così il sultano abbandona i suoi folli propositi e si innamora. Di nuovo. Ancora.

E allora, forse, abbiamo la possibilità di smettere di guardare la vita dal buco della serratura e allora, forse, abbiamo la possibilità di comprendere che raccontando o leggendo racconti non abbiamo la possibilità di capire come siamo (che questo l’abbiamo capito, dai) ma invece, accidenti, di capire come potremmo essere.

2 commenti:

  1. "Mi scusi, mi consiglia un libro per una donna di 40 anni?"
    "ok, mi da qualche indizio sul genere?"
    "Ama la natura e si e' appena separata".
    "..."
    Cosa direbbe sempreunpo'?

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  2. "Ristorante nostalgia" di Anne Tyler o "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore" di Raymond Carver o "L'amore è sopravvalutato" di Brigitte Giraud. Questo il disagiato consiglierebbe.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)