lunedì 30 maggio 2011

fare italiano

di lo Scorfano

Alla fine dell’orario di lavoro scolastico, alle 13, mi chiudo dentro un’aula vuota e, cercando di resistere al caldo e ai morsi della fame, aspetto Carlo, un mio studente di quinta. Carlo è uno dei migliori studenti che io abbia mai avuto: in diciassette anni di lavoro credo di aver conosciuto solo un altro studente bravo come lui; ma Carlo ha 10 in tutte le materie, anche in matematica e fisica, quell’altro studente era bravissimo soprattutto con me. Quando, dopo pochi minuti, Carlo arriva, stanco anche lui come me della mattinata di lezioni,  tira fuori il materiale informativo necessario e cominciamo a guardarlo insieme.

Si tratta di un paio di opuscoli che spiegano come si svolgerà l’esame di ammissione alla Scuola Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia. Ci sono esempi di prove scritte, programmi per l’orale, letture consigliate, saggi critici considerati imprescindibili: io leggo, gli dico quello che ne penso, provo a dargli qualche consiglio su cosa e come leggere, gli dico che, se davvero deciderà di provare, lo aspetta un’estate di studio e fatica; che quando sarà finito l’esame di Stato sarà come se per lui fossero finite le vacanze. E comincerà lo studio vero. Carlo mi sorride: vuole a tutti i costi provarci, vuole scommettere su questa possibilità, ma è anche visibilmente preoccupato.

«Perché sei così preoccupato?» gli chiedo io. «Perché immagino che ci sarà gente molto più brava di me» mi dice lui.          
                 «Non è mica detto, guarda» cerco di confortarlo io, «a volte ci dipingiamo i nostri concorrenti in un modo che non corrisponde per niente alla realtà…» Ma lui ci ha già pensato molto, in queste settimane, e finalmente mi dice quello che lo tormenta e che è ovvio che lo tormenti (e stupido io che non ci ho pensato). Mi dice: «Ci saranno tutti quelli che vengono dal liceo classico…»

Eh già, è vero. Carlo ha studiato qui con me, Carlo ha fatto il liceo scientifico. E lì, al concorso per entrare alla Scuola Normale di Pisa, ci saranno quelli del classico. «Saranno senz’altro molto più preparati di me» aggiunge lui. «Sì, è probabile» gli dico io, «però non credo che l’esame misuri proprio una preparazione specifica… Magari cercano di valutare le abilità, la capacità di orientarsi, non è detto che tu parta così svantaggiato, dammi retta. E hai anche tutta l’estate per approfondire». Lui esita un po’. Capisce che sto cercando di dargli conforto, e proprio per questo non si fida molto di quello che gli sto dicendo. Io penso che sarebbe un vero peccato che questo ragazzo non riuscisse a realizzare il suo progetto per una scelta sbagliata compiuta cinque anni fa, quando era troppo piccolo per sapere, compiuta forse soltanto per ragioni familiari. Lui sta già ricominciando a parlare del programma di filosofia, quando a me viene in mente la domanda: «E perché tu non hai fatto il classico, Carlo?»

E lui comincia un discorso lungo, che forse non mi aspettavo: «Vede, prof» mi dice «quando ho finito la scuola media, io pensavo di odiare l’italiano, davvero. Non sapevo che i libri e la letteratura mi avrebbero cambiato la vita, non potevo saperlo. Alle scuole medie “fare italiano” consisteva nel prendere dei brani dal libro di antologia, dei brani mescolati senza un vero senso; e poi bisognava sempre dividerli in sequenze, rispondere ai test che c’erano sul libro, i quali chiedevano qual era il “punto di vista” dell’autore, e poi chi era il personaggio principale e chi invece i personaggi secondari, e se la fabula e l’intreccio coincidevano e una serie di altre incredibili stronzate che erano contemporaneamente facili e idiote, e io davvero non avrei mai pensato che mi sarei potuto innamorare della letteratura, di quella roba lì che pensavo fosse la letteratura. Non l’avrei mai detto, perché odiavo “fare italiano”. E poi invece sono arrivato qui, ho incontrato la prof del biennio, ho cominciato a leggere davvero, ho capito cos’è la poesia e non ho più smesso di leggerla. Per questo non ho fatto il classico, prof.»

Io lo ascolto e so che è vero. Perché, per esempio, so come è fatto il libro che abbiamo adottato nel biennio del nostro liceo, e che è fatto esattamente come dice Carlo: brani sparsi, test di “comprensione”, divisioni in sequenze, punti di vista; e mi immagino che siano così anche i libri delle medie. So che è vero, anche perché mi sono dato una gran bella occhiata ai test Invalsi di quest’anno e ho visto che sono fatti allo stesso identico modo, con lo stesso tipo di domande; e che finirò anch’io per insegnare quel tipo di “comprensione” del testo, prima o poi. Senza contare che la stessa “Analisi del testo” che viene assegnata ogni anno all’Esame di Stato è fatta più o meno seguendo quei medesimi criteri. So che è così, che funziona così. E so che ha ragione Carlo: che è un modo idiota di “fare italiano”, ma so anche che non ci si può fare molto, se non far leggere libri e sperare che agiscano loro, per conto loro.

E sperare che nessuno tra quelli che è destinato a innamorarsi della letteratura non debba un giorno rimpiangere di aver “fatto italiano” così, senza capire che ci sono anche altri modi, tanti altri bellissimi modi. E sperare che Carlo ce la faccia, anche.

29 commenti:

  1. alura:
    almeno nel lontano passato e dal punto di vista opposto (classe di scienze) non c'erano problemi: pigliavano gente da classico e scientifico anche se al classico di matematica non ne fa poi così tanta. Puoi insomma rassicurare un po' Carlo da questo punto di vista.

    Entrando più nel merito del post, e sempre visto dall'altra parte, mi sa che quello che dici sia purtroppo necessario. In matematica, soprattutto fino alle medie ma anche in parte alle superiori, devi fare una quantità di cose assolutamente noiose ma che ti servono per avere a disposizione i mattoni per poi poter fare davvero matematica; non necessariamente come professione, ma giusto per apprezzare quello che ti può dare. Però questi mattoni servono eccome; e credo che anche in italiano ci sia questa necessità di capire come funziona una lingua, prima di avere la possibilità di apprezzare quello che ti dà.

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  2. @.mau.: Temo che il tuo discorso non sia adatto al caso dell'italiano (per la matematica mi fido ciecamente :) ), che per quella che è la mia (poca) esperienza è esattamente come lo racconta lo scorfano: le cose che si fanno alle medie (sequenze, attanti, personaggi etc.) non sono una base noiosa ma indispensabile di conoscenze (tant'è che, nella stessa scuola media, praticamente non si fa più grammatica, che sarebbe invece fondamentale per davvero). Spesso questo modo di leggere è presentato come unico approccio ai testi, il che svilisce moltissimo la letteratura, ma soprattutto scoraggia chi ama non gli esercizietti, ma la letteratura.
    Mi dispiace per Carlo, anch’io sono passata per lo stesso errore e lo stesso abbaglio. Sono uscita dalle medie che odiavo “fare italiano”, sono uscita dal liceo scientifico rimpiangendo di non aver fatto il classico.

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  3. @gliuommero: il mio ragionamento è un po' più generale, anche se ammetto che quando le ho fatte io eravamo più o meno nel Triassico, quindi le cose erano parecchio diverse.

    Quando io scrivo le mie stupidaggini sul blog (a volte persino quando commento) uso una serie di artifici retorici di cui spesso non mi ricordo assolutamente il nome. Questi artifici li ho imparati sul campo: però mi sembra più semplice prendere e tagliuzzare pezzi di letteratura italiana perché la gioventù li possa vedere "quasi" dal vivo senza essere spiazzata da troppo materiale.

    A me quello che preoccupa di più è che la scuola non insegni a scrivere in maniera almeno comprensibile...

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  4. A me pare invece lo stesso discorso per la matematica: per anni ho fatto solo esercizi e calcoli senza alcuna cornice teorica e storica, pensando che la matematica fosse solo quello.

    Invece la matematica é fondamentale per capire il mondo moderno e contemporaneo, anche da un punto di vista filosofico, solo che nessuno te lo dice (a meno di quei pochi che fanno facoltá scientifiche) e se penso a quanto tempo ho perso a studiare Marx e Nietzsche e fare i conti a mente senza sapere perché mi mangio le mani a pensare tutto quello che mi sono perso.

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  5. @Tommy: ti assicuro che mi sono laureato in matematica (dalle parti della foto...) senza aver fatto una iota di filosofia della matematica.

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  6. Per la matematica non sono in grado di valutare, ma per l'Italiano, l'approccio un po' arido che si propone alle medie mi sembra, come si è già detto, un male necessario. Non tutti purtroppo sono come Carlo: ci sono un sacco di ragazzini che leggono pochissimo, leggono senza capire di che si parla, senza avere nemmeno l'idea di dove trovare le informazioni utili per capire un testo di qualsiasi tipo. Non è che a loro gli esercizi di comprensione piacciano, ma sono per loro molto meno banali che per Carlo, e più utili. Certo, sarebbe necessario variare l'approccio ai testi per permettere che anche i ragazzi come Carlo non si ammalino di noia, ma è già difficile fare il necessario, alle medie...

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  7. .mau. non intendevo che bisogna fare filosofia della matematica, ma studiare la matematica come materia di analisi teorica che risponde a delle domande e a dei problemi che via via si sono presentati nella storia del pensiero.

    Voglio dire, come é possibile vivere nel mondo dell'informatica e insegnare la matematica come fosse quella cosa che fanno le calcolatrici...

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  8. @.mau.
    Grazie del conforto. Come puoi ben immaginare, ho scritto il post anche aspettando che tu venissi a dirmi: "No, meglio che lasci perdere". Oppure: "Sì, ce la può fare". Per cui grazie.

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  9. Il tuo studente non parte affatto svantaggiato. Se ha 10 anche in matematica, gli servirà anche in filosofia e viceversa. Gli esami per l'ingresso alla Normale puntano a valutare il potenziale dell'individuo e non la sua preparazione attuale (che lascia sempre il tempo che trova). Per esempio, il voto di maturità non entra per niente nella valutazione perché non significativo.

    L'altra cosa che devi dirgli è che se non verrà ammesso non sarà la fine del mondo. Dispiace perdere un'estate a studiare, è vero. Ma nella vita ci vuole anche fortuna. La Normale è una opportunità fantastica, ma un esame è un esame, e la componente "fortunosa" ha sempre un larghissimo impatto. Comunque vada, se lui è in gamba e non si scoraggia, prima o poi emergerà, con o senza borsa della Normale.

    Infine, se qualcuno avesse bisogno di qualche "dritta" dall'interno (cosa aspettarsi e cosa no, mica raccomandazioni, sia chiaro), può scrivermi che lo indirizzo verso le persone giuste.

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  10. Per quanto riguarda il resto, mi tengo molti miei dubbi. In fondo, quel che si fa spesso di italiano quando non si studia la "storia letteraria" è il frutto di una scuola critica particolare e dei suoi epigoni: lo strutturalismo. Ma non c'è solo una scuola critica, ce ne sono altre, sempre trascurate. Io, per esempio, ritengo che la StilKritik spitzeriana potrebbe essere molto più utile (e molto meno noiosa) come approccio ai testi, anche quando i ragazzi sono molto giovani. E, dato non secondario, credo (ma è solo mia opinione) che aiuterebbe molto di più anche nella scrittura.

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  11. @Knulp
    Grazie davvero. Non credo che approfitterò peché non saprei nemmeno per cosa, ma ti ringrazio per tutta la prima parte del tuo commento che mi conferma nelle mie supposizioni. Io in effetti ho provato a spiegare al mio studente le cose che tu scrivi (nel post ho un po' tagliato, per ovvie ragioni di brevità): immaginavo (e speravo) che così fosse. Tu mi hai rincuorato.

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  12. sulla parte strutturalismo/StilKritik mi taccio. Non sono così tuttologo :-)

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  13. Beh, semplicemente ho un carissimo amico che è stato studente Normalista in filosofia, sia per la laurea che per il perfezionamento (dottorato). Adesso lavora come assicuratore, ma nel tempo libero si diletta a scrivere ancora qualcosa di filosofia. Se credi li mettiamo in contatto e magari lui gli darà qualche dritta migliore.

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  14. Curiosamente, leggendo di come Carlo descrive i libri di testo (e ha perfettamente ragione) non ho potuto fare a meno di pensare che per domande molto meno sterili l'Invalsi viene messa in croce, mentre per le fesserie tipo sequenze o piano zero o che so io nessuno dice un'acca agli autori dei libri di testo.

    Mah.

    Poi Ipazia, scusa la franchezza, ma io non riesco ad immaginare qualcuno che si innamora del Piccolo Principe, o di Lord Jim o di Marcovaldo perché lo ha diviso in sequenze. O uno che dica: "Beh, da quando ho capito che il punto di vista è quello esterno, ho visto la meravigliosa e poderosa bellezza di una pagina di Hugo...

    FR

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  15. Neanche io credo che il percorso medie-liceo per Italiano e Matematica possa essere confrontato.

    Anzi, la matematica è uno dei campi in cui la costruzione della conoscenza è più graduale, a mio parere. Tant'è che basta odiarla un anno per non uscirne più.

    Con l'Italiano non è così. Con l'Italiano si rischia di studiare tante di quelle puttanate, alle medie, che poi ti serve un bravo professore per convincerti di quanto sia importante avere un libro sottomano.

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  16. @Mr.Tambourine
    Inutile dire che condivido la perentorietà delle ultime tre righe di questo tuo commento.

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  17. Anche io apprezzo molto Spitzer (et similia). Anche perché mi sembra che dire "stile" sia appunto dire "personalità". E una personalità non si compone o scompone: si osserva e si interroga, e la si accosta con rispetto, finché non diventa familiare, e comincia lei stessa a porre a noi delle domande... E' per questo che servono bravi prof: perché credo che lo sia chi sa accostare un testo e il suo autore così, da uomo a uomo.
    Fai bene a non mollare col tuo alunno (e in bocca al lupo a lui, quindi!).

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  18. Comunque non dimenticare la parte importante: se il ragazzo è intelligente e brillante come dici, convincilo a non fare Lettere e Filosofia.

    Le persone più intelligenti che io conosca hanno fatto come lui, e ora sono tutti a fare lavori da poco, senza soddisfazioni e sottopagati.

    Uno spreco di intelligenza assurdo: digli di fare qualche facoltà seria, che di menti eccezionali ne abbiamo bisogno e non possiamo lasciarcele scappare così.

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  19. @Tommy
    Sai che, nella media, sono d'accordo con te, e l'ho anche scritto più volte: che non abbiamo bisogno di laureati in Lettere buttati via.
    Non in questo caso, però. Proprio perché è molto intelligente e brillante, Carlo può essere uno studioso straordinario di letteratura; uno di quelli di cui, a mio parere, abbiamo ancora bisogno. O almeno io mi auguro che sia così.

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  22. di' a Carlo di provarci, assolutamente.
    io non lo feci (colpa di un fidanzato stronzo) e non ho mai smesso di pentirmene.

    sulla preparazione in latino, digli di stare tranquillo: io, diplomata allo sciantifico, agli esami di latino andai molto ma molto meglio di tanti classicisti.

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  23. Suggerisco una terza via (forse influenzata dal fatto che a suo tempo la Normale mi ha respinto agli scritti): una bella laurea all'estero. E' una cosa che costa, ma forse non tanto di più che muoversi da Brescia a Pisa.

    Respiro europeo, lingue straniere, ambiente cosmopolita (anche se sicuramente la Normale da questo punto di vista ha pure lei molto da offrire).

    Tanto i titoli sono riconosciuti anche in Italia, col vantaggio di avere un piede fuori dalla nostra palude accidiosa.

    FR

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  24. Per quello che vale, anche io voglio mandare il mio incoraggiamento a Carlo: sono ancora una studentessa e posso assicurare nella classe di Lettere prendono anche ragazzi che vengono dallo scientifico (ne conosco alcuni davvero bravi) purché preparati e appassionati della disciplina che hanno scelto. Sulla laurea all'estero, alla fine dei cinque anni, sento di concordare con l'Anonimo FR qui sopra., con una precisazione: il vantaggio della Normale è che è tutto spesato e ci sono numerose borse di scambio con l'estero.

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  25. Grazie per il tuo incoraggiamento, Flora. Lo riporterò a Carlo, come ho già fatto con le parole di chi ha commentato prima di te. Credo che gli potrà servire.

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  26. Caro Scorfano,
    causa settimana di turismo arrivo solo ora a leggere questo post molto interessante. Non voglio però entrare nel merito del discorso sul "fare italiano" quanto piuttosto condividere con te e altri quanto io so della Scuola Normale di Pisa e degli esami di ammissione. Ci sono sicuramente persone che leggono questo blog e che hanno superato gli esami, e io non li ho nemmeno mai provati (nessuno mi aveva mai detto che esistessero), però conosco la realtà in maniera indiretta e devo dirti che, per quanto ho appreso, passare ai test per Lettere è davvero complesso e non dipende nemmeno dall'aver o meno fatto il classico. A Carlo verranno poste domande del tipo "parlami di Wilamowitz" o dati temi stile "confronta la produzione di petrarca e dante citando passi a memoria" (esempi realmente accaduti): fatti salvi alcuni casi di fortuna, credo che passare questo test dipenda dal fatto di avere avuto un professore che per TRE anni ti ha preparato in maniera mirata a quello, magari qualcuno che da quel test ci è passato già. Conosco tantissimi ragazzi che ci sono rimasti malissimo rendendosi conto che, nonstante un'estate sui libri, non avevano fisicamente i mezzi per riuscire in quell'esame. Secondo me questo a carlo va detto, in modo che non prenda un'eventuale bocciatura come una sconfitta personale. Sicuramente poi la Normale è una bellissima opportunità e ti dà un accesso al mondo del lavoro che NESSUNA università può concederti, però dal punto di vista umano è molto dura e impegnativa, anche questo bisognerebbe spiegarglielo...
    Boh, non so se sono stata chiara, anche perché vado di fretta...insomma, io alla fine sono contenta di non aver nemmeno saputo dell'esistenza della SNS fino all'età di 22 anni. Ecco, l'ho detto.

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  27. Cara Tinni, grazie delle tue osservazioni e dei tuoi racconti. Riferirò anche questo al mio alunno: non voglio che si faccia troppe illusioni e ci rimanga poi troppo male, se le cose non dovessero andare come lui desidera.

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  28. Caro Scorfano,
    che Carlo si giochi le sue carte, senza (troppa) paura. Io ne ebbi troppa, ahimè, e invece di provare l'esame (cui mi ero iscritto) me ne fuggii a Parigi, con la ragazza che segnò i miei vent'anni e con sotto il braccio l' 'Education sentimentale', che leggemmo a due voci alle Tuileries. Ma dire paura è forse troppo generico. Fu piuttosto lo stesso, sacrosanto e pericolosissimo senso di inadeguatezza che pare ora abitare la mente di Carlo. Nel mio caso, però, la radice non affondava nel percorso di studi compiuti al liceo (liceo classico, concluso più o meno con la media di Carlo) ma in un incontro, troppo precoce, con una figura di studioso che mi fece una tale impressione, tra la fascinazione e l'annichilimento, da gettarmi in una condizione di autocritica permanente e furiosa (che quando si è giovani non è cosa buona). Non so come sarebbe andato l'esame (è vero, l'alea in questi frangenti gioca una parte imponderabile e decisiva), ma so di essermi privato quanto meno di un'esperienza non troppo comune, ormai: quella di misurare sè stessi in una prova impervia, di fronte a una commissione esigente e, a quanto ne so (in grazia di molti racconti), capace di saggiare i talenti con rigore ed equanimità. E' già stato detto da qualcuno qui sù, ma vale ripeterlo, perchè è un punto essenziale: classico o scientifico, conta poco, lì guardano soprattutto alla capacità di valutare criticamente i 'materiali' (che vanno posseduti con ampiezza, beninteso) e di impostare con metodo una discussione, alla curiosità intellettuale. E se posso permettermi di spendere ancora due parole su di me, direi che, tra le altre cose, a me mancò quello che sembra non mancare a Carlo (e per cui lo invidio di invidia retrospettiva): un incoraggiamento concreto (non generico e 'retorico', chè quello non mancò neanche a me) da parte di un professore intelligente, disposto a dare indicazioni e suggerimenti, capace di dissipare le paure inessenziali lasciando agire soltanto le inquietudini più autentiche, il senso della sfida e la consapevolezza delle difficoltà 'oggettive'.

    Un caro saluto

    Professor Kien

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  29. Le mie scuse all'autore di quest'ultimo interessante commento, che Blogger aveva messo in moderazione a mia insaputa e che ho trovato solo dopo più di dodici ore. Niente di intenzionale, insomma.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)