sabato 14 maggio 2011

faccia in fretta, signor ministro

di lo Scorfano
Sono in classe che faccio lezione, sento bussare alla porta, dico «Avanti». Si affaccia nell’aula un giovane uomo sui venticinque-trent’anni, elegante, quasi senza capelli, di bell’aspetto, con gli occhi azzurri e un grande libro in mano. Lo guardo con aria interrogativa, dico «Buongiorno», aspetto che chieda ciò di cui ha bisogno: lui mi sorride.

E appena lui sorride, io capisco: «Dario!» gli dico e mi avvicino a lui, a Dario, mio ex alunno uscito dal liceo otto anni fa, che non sapevo nemmeno più riconoscere, mio ex alunno di cui avevo saputo che si era iscritto a Lettere (aveva fatto bene, lui, non equivocate) ma che non si era mai più fatto vedere, né a scuola né altrove. E che un giorno, senza dirmi niente, mi aveva spedito via mail il pdf della sua tesi di laurea su Franco Fortini, qualche anno fa; e io me l’ero letta tutta ed era ben fatta.

«Cosa stai facendo?» gli chiedo, mentre usciamo un minuto in corridoio. Lui comincia a spiegarmi che ha trovato lavoro in una scuola privata a una cinquantina di chilometri di distanza da qui, che si trova decentemente ma che spera che parta presto, a settembre, il concorso per il tirocinio dei nuovi assunti nella scuola pubblica, che ci spera tanto. Poi si ferma e mi dice:       
         «Sono stato un paio di settimane in Svezia, in vacanza, la scorsa estate. Mi sono ricordato che lei fa la collezione delle edizioni della Commedia di Dante in tutte le lingue. La fa ancora, vero? Ecco, le ho portato la Commedia in svedese, spero che non ce l’abbia già».

Io prendo quel libro in mano: no, in svedese non ce l’ho, ho il norvegese, lo svedese no. Resto un po’ imbambolato, sono passati otto anni, non lo avevo mai più visto, chissà perché si ricorda di questa mia maniacale collezione, guardo questo libro di versi tradotti in una lingua incomprensibile, mi immagino che lui si sia tenuto questo stesso libro in casa da settembre a oggi, chissà perché, e chissà perché me lo ha portato proprio oggi, dopo così tanti anni e mesi. Poi lui mi dice: «Devo andare, ora. Ho lezione nella mia scuola tra mezz’ora, c’è tutta la strada da fare. Mi scusi per la fretta… E poi sa, nel pomeriggio corro a Brescia, seguo anche un master per la comunicazione d’azienda alla Camera di Commercio.» «Fai bene» gli dico io, «anche quella potrebbe essere una grande opportunità, un lavoro interessante, senz’altro più creativo…» Lui mi sorride, perché mi conosce, anche se sono passati tanti anni, questo giovane uomo così elegante che non avevo nemmeno riconosciuto, e mi dice: «No, professore. Io voglio insegnare italiano a scuola».

E me lo dice con una nettezza, con una sicurezza, con uno sguardo così perentorio e un’energia così limpida che io, non so, resto un po’ incantato; e, mentre lo saluto, penso «speriamo»; speriamo che ci sia l’anno di tirocinio, speriamo che Dario passi la selezione, speriamo che arrivi a insegnare qui, insieme a me, speriamo per lui, ma soprattutto per me, che ne ho bisogno, e soprattutto speriamo per i ragazzi, che ne hanno ancora più bisogno di me e di lui, che se lo meritano un giovane uomo che ha la voglia di fare questo mestiere sul serio, con questa limpida decisione.

E allora torno in classe con la mia edizione svedese della Commedia nella mano, la appoggio sulla cattedra, riprendo a spiegare quello che stavo spiegando. E penso che a volte, quando meno te lo aspetti, è possibile che alla porta bussi il tuo passato, o forse il tuo futuro, o forse niente: semplicemente un ragazzo che hai conosciuto, a cui hai spiegato un po’ di letteratura, e che ora, dopo anni e mesi, ti porta un libro che viene da lontano.

Ma penso soprattutto un’altra cosa. E cioè questa cosa: «Faccia in fretta, ministro Gelmini, faccia in fretta; lo so che ci sono i costi e le spese, lo so; ma faccia in fretta lo stesso, la prego. Perché noi abbiamo davvero bisogno di questi giovani uomini e donne che hanno voglia (voglia, desiderio, passione, tutto) di fare questo mestiere, la scuola ne ha bisogno, i ragazzi ne hanno bisogno. Perché non è possibile che uno come me, che ha già superato i quaranta, sia uno dei più giovani insegnanti di ruolo di una scuola dove gli insegnanti sono quasi duecento. Faccia presto. Si ricordi, quando si alza la mattina, di Dario, di me e dei ragazzi seduti sui banchi ad ascoltarmi. E li assuma, quelli bravi, quelli che hanno davvero tanta voglia di fare questo mestiere, mi raccomando: apra loro la porta, signor ministro, non li lasci scappare alla Camera di Commercio».

14 commenti:

  1. Per favore smettila di postare queste cose, specie di sabato mattina, che io poi sono qui in una biblioteca VUOTA e TRISTE e davvero mi scendono le lacrime, cavolo!!!!
    I love Dario.

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  2. altre due lacrime, ma solo perchè mi è piaciuto tantissimo!

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  3. due+due+due: oggi ci vuoi proprio far commuovere! Forza Dario e forza Scorfano!

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  4. Speriamo, professo', speriamo.

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  5. Ops, mi dispiace per tutte queste lacrime... ;) Però vi ringrazio tutti, lacrime o no.

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  6. Che bella Italia sarebbe con insegnanti come Dario!!

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  7. Vero, verissimo. Non che io faccia così schifo, però... ;)

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  8. Mi chiedo se ad avervi come insegnanti, te e Dario, avrei studiato letteratura italiana con più impegno, invece di abbandonarla al secondo semestre dell'ultimo anno perché non la portavo alla maturità.

    E naturalmente la prof di inglese mi chiese un parallelismo tra un autore anglosassone e uno nostrano.

    Bella pagina, prof. Certe volte mi chiedo anche se vivi in una realtà parallela, più bella, più romantica.

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  9. Rispondo alle tue nultime righe, perché è una questione che mi posi un bel po' di tempo fa, quando apriii il mio precedente blog. E mi diedi questa risposta: http://scorfano.wordpress.com/2009/03/30/tutte-le-cose-che-capitano/

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  10. I prof così sono quelli che ti salvano nella vita, solo che purtroppo spesso loro non lo sanno, se no, nonostante come vengono trattati, sarebbero un po' più contenti.

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  11. che senso ha, poi, un master per la comunicazione d’azienda, in un posto dove le aziende non ci sono più o, se ci sono, non hanno lavoro da comunicare

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)