giovedì 10 febbraio 2011

non credere a Laura

di lo Scorfano

Improvvisamente, Laura.

E i ragazzi di terza (sono meravigliosi i ragazzi di questa terza: non c’è classe in cui io entri così volentieri), i ragazzi di terza fanno fatica a capire: Beatrice era più facile, mi dicono. O meglio, non me lo dicono,  ma io vedo benissimo che lo pensano. Beatrice era l’amore che conduce a Dio, alla salvezza, Beatrice era una strada, era difficile e impervia, ma era comunque una strada verso la felicità: e loro, soprattutto le ragazze, non dovevano fare stroppi sforzi per saperlo; molte, tutto sommato, lo pensavano già da sole. Che l’amore porta alla felicità.

Ma Laura, però, Laura è tutt’altra orribile faccenda, molto più spinosa, molto più labile e indicibile. Perché Laura è il “lauro”, l’alloro, ed è quindi il successo, la fama, l’immortalità che si sogna, la bella vita, quello che in fondo desiderano tutti, desideriamo tutti. E poi è anche «l’auro», l’oro, vile denaro ma non abbastanza vile, la ricchezza, il benessere, la felicità per come tutti (tutti: dalle aspiranti veline dell’Olgettina a quelli che le guardano sui calendari) pensiamo che la felicità possa essere. E Laura è infine, e terribilmente, anche l’amore, «aura» che trema, che percuote, dolce brezza giovanile che lascia credere al futuro, vento leggero che porta dov’è facile e bello essere portati, senza pensare.

È Laura, il mistero. A Beatrice è facile credere, a Beatrice è quasi facile affidarsi,  a Laura molto meno: è lei quella che stride con i tempi nostri, molto più della sua sorella maggiore.      
      Sembra strano, sembra che il mondo di Dante e Beatrice debba essere assai lontano, molto lontano dalla sensibilità di un adolescente di oggi. Ma non è del tutto così: Dante si capisce, Dante è monolitico, Beatrice è l’amore che salva ed è Beatrice ed è l’amore… Tutto chiaro. Non facile, magari no, ma senz’altro chiaro e comprensibile.

E Laura invece non ha nulla di chiaro, né di comprensibile, per i ragazzi di terza: donna che non esiste, gioia che è anche perdizione e sofferenza, leggerezza che è terribile e spaventoso peso terreno di cui non ci si può mai liberare. La tentazione folle di credere che sia possibile, qui e ora, una felicità che neghi quella eterna, che la renda inutile e quasi risibile. E poi naturalmente il fallimento: perché Laura non può, Laura è ostacolo ed è zavorra, bisogna liberarsi dell’amore e del denaro e del successo: e forse, soltanto allora, si potrà sperare di essere felici. Vai, abbandona tutto quello che hai, e seguimi. Abbandonare l’amore, non credere a Laura: questo è Laura.

I ragazzi si stupiscono e mi chiedono: fanno domande superflue molto spesso, sono ossessionati da quel: «Ma esisteva davvero, questa Laura?» «È importante?» dico io; «Perché dovrebbe essere importante, che sia esistita o non sia esistita? Parla di noi, no? Parla comunque di quello che siamo o che cerchiamo di essere…» Ma loro insistono, preferirebbero che fosse esistita, lo dicono chiaramente. Di Beatrice lo davano per scontato; di Laura è molto più difficile farlo, è impossibile. Ho quasi l’impressione che mi chiedano aiuto, questi così simpatici ragazzi di terza, che non vogliano accettare che sia così, che l’amore sia un peso, una strada sbagliata, l’infelicità. E fanno finta di non capire, che è meglio.

(E infatti Petrarca non lo legge mai nessuno, né in pubblico né in privato, Petrarca non lo cita mai nessuno, Petrarca è giusto un nome che si deposita in un luogo remoto della memoria; e Petrarca si fa finta di non capirlo, che è meglio.)

Ma io mi sono innamorato di Laura, dico a un certo punto. È successo il giorno in cui ho letto dei suoi occhi «spenti» e della vita che passa e ho creduto di avere capito che cosa sia Laura, questa terribile delusione di tutto. Ma, dico ancora, so che voi non potete innamorarvi di Laura, non adesso, non dovete; so che ogni amore ha il suo tempo ed è giusto così. Però guardatela bene questa donna, che è il ritratto di un errore giovanile che compiamo tutti: fate attenzione ai suoi movimenti, al suo apparire e scomparire, al suo invecchiare, al suo essere aria e carne e ossa che, nel tempo, si sgretolano. Perché forse, quando avrete bisogno di Laura, potrete trovarla.

Laura è la sorpresa di invecchiare, provo a dire. La più sorprendente e inattesa delle esperienze umane: sentire i decenni che passano, lasciarli emettere il loro sibilo terrificante, anche quando abbiamo paura. E, infatti, Laura mette paura, quasi un terrore. Che la vita sia un’aura leggera e senza senso, che sia un vano e breve sogno, che successo e denaro non siano nulla, che il passare lieve dei giorni sia una navigazione con un solo possibile porto. E che tutto sia vanità e il nostro inseguirlo sia soltanto un insensato vaneggiare.

Poi, alla fine, li guardo e dico: «Leggiamo un altro sonetto, vi va?» Loro mi dicono «Va bene», ma io vedo benissimo che non va bene, che sono stanchi, che aspettano l’intervallo. E allora «Lasciamo perdere, che siamo stanchi» dico. «Facciamo pure una pausa, continuiamo domani». «Domani non abbiamo lezione perché c’è l’incontro con i calciatori del Brescia» dicono loro. «Va bene lo stesso» dico io «leggeremo un’altra volta... Laura può benissimo aspettare».

7 commenti:

  1. ma lo sanno tutti, che Laura non c'è!

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  2. ho capito perchè la mia memoria non va mai oltre ai "capei d'oro a l'aura sparsi"

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  3. Eh già, è così: la memoria tiene pochissimo di Petrarca. Forse perché è letteratura nel complesso un po' senile, non fa presa.
    Ma è un peccato.

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  4. Credi che Laura si possa incontrare solo dopo una certa eta', o che si possa riconoscerla solo dopo?
    I versi del Petrarca, aprono il cuore.

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  5. Io penso (ma è opinione personale, per definizione opinabile) che sia un incontro del dopo. Che la si riconosca soltanto dopo anni. Proprio in quanto "errore giovanile" come dice Petrarca stesso.
    Proprio per questo non insisto troppo con i ragazzi: resto convinto dell'utilità di certi errori di gioventù (sempre se lo sono).

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  6. Pensa che io presento sempre ai ragazzi di seconda media, al posto del solito Erano i capei d'oro a l'aura sparsi, che secondo me è troppo lontano dalla realtà dei dodici/trtedicenni, il sonetto Solo e pensoso e insieme discutiamo di come Petrarca sia riuscito perfettamente a descrivere gli stati d'animo dell'innamorato che rifugge da tutto e da tutti, e che allo stesso tempo teme che tutti scoprano il suo sentimento. Per i miei preadolescenti è una situazione comprensibilissima e, incredibilmente, di solito finiscono per amare quel poco di Petrarca che gli propina (talvolta anche a memoria) la loro prof.

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  7. Non a caso, prima di studiare meglio Petrarca all'università, Solo e pensoso era l'unico suo sonetto che credevo di amare. Poi, per fortuna, ho cambiato idea.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)