di Sempre un po' a disagio
A un certo punto sono andato a vivere da solo, abbandonando i miei genitori a un destino che ritrovo nelle domeniche stanche e sciatte di ogni maledetto mese di ogni sventurato anno. Suono il campanello, loro mi aprono la porta condominiale, io salgo le scale due a due, il cane invecchiato esce sul pianerottolo, mia madre invecchiata mi abbraccia, mio padre invecchiato mi saluta e poi, sempre, cala il silenzio. Allora tra la mia entrata e il pranzo si allargano immobili secondi di mutismo, secondi in cui le mani vanno a lisciare i pantaloni o a spostare un soprammobile, in cui i piedi seguono strani percorsi e in cui la lingua non vuole saperne di raccontare, fare somme, diminuzioni o bilanci. Quelli sono pochi secondi che però sembrano tanti.
Poi però il cane fa una scoreggia o il gatto tenta di rubare una fetta di salame e così tutti e tre allentiamo la tensione, ci riprendiamo una cosa che assomiglia alla vita, usciamo dall’imbarazzo di esserci messi al mondo a vicenda e finalmente, tra i vapori della cucina e il rumore delle posate delle case affianco, qualcosa di non essenziale e necessario riusciamo a dirla. Diventiamo allora come i pugili quando finiscono di massacrarsi di botte, che si danno un leggerissimo colpo di guantoni o un stretta finale e poi in mezzo al ring si guardano in faccia come due che hanno fatto solo dello sport e fanno sbucare dalla bocca qualche insanguinata parola di saluto o rimprovero. Ma mica tante parole, però. Già, perché si ritorna sempre allo stesso punto, la libreria come va, la gatta come sta, la macchina funziona ancora, tuo fratello è stato qui ieri sera, hai più rivisto Francesca, perché non chiedi un aumento e punto. Mica tanto altro da raccontare.
Allora mia madre, una volta seduti a tavola, comincia a parlare di Silvio Berlusconi. Lo fa sempre con la stessa premessa, che poi è una domanda: “Hai sentito?”. Io so già dove vuole arrivare, però le dico lo stesso: “Cosa?”. Mia madre allora mi racconta delle minorenni che Silvio Berlusconi frequenta, ad esempio. O dei processi che vuole evitare. Lo fa per condividere quelle cose che abbiamo in comune, per raccontarci gli stessi fastidi e le stesse prese di posizione. Per questo tutte le domeniche mi parla male di Silvio Berlusconi: utilizza, questa è la parola esatta, Silvio Berlusconi per ritrovarmi.
Ultimamente, sarà che sono diventato più cinico, io do corda solo con cenni di capo o brevi sussurri, come a dire che sono d’accordo con lei, che condivido tutto ma che però non servono altre parole. Allora è mio padre a cercare, come direbbe Franco Fortini, la rosa che esita dentro il sasso. Sapendo che a me, almeno fino a po’ di tempo fa, piaceva Fazio e la sua trasmissione, comincia a parlarmi di Fazio e della sua trasmissione, della Littizzetto e delle sue battute esilaranti, di Saviano, del suo impegno e poi di Antonio Albanese e del suo film bellissimo che c’è al cinema.
Ecco, fanno questo per strapparmi un sorriso o un grammo solo di complicità; per vedere loro figlio sorridere, niente di più. Ma loro figlio, da quando se n’è uscito da quella porta, quella rosa che esita dentro il sasso l’ha nascosta molto bene. Per difesa. Per paura di qualcosa. Per eccessiva serietà. Non so. Sta di fatto che vorrei tanto sorridere, ma non mi riesce più. Non mi riesce più a dar loro quel tipo di complicità, a pensare che Fazio sia un brillante conduttore, a pensare che Saviano sia un bravo e intelligente scrittore e Albanese un bravo comico. Non mi riesce più.
Perchè è da un po’ di tempo che ho l’impressione che Fazio e Antonio Albanese siano lì in televisione per renderci, appunto, complici. Per tenerci uniti, sorridenti e magari silenziosi. E’ da un po’ di tempo che penso che se i monologhi in studio di Saviano, la satira della Littizzetto, le discussioni dotte di Umberto Eco con Fazio possano dirsi cultura, allora penso che questa sia cultura di scarsa qualità e per il semplice fatto che ci è data in pasto, che ci viene calata dall’alto, passivamente, con grandissima puntualità. Papà, vorrei dirgli, Michele Serra se ne approfitta del fatto che te in vita tua hai letto tre libri in croce e così ti tratta come un ingenuo. Fabio Fazio in realtà ci dice quello che vogliamo sentirci dire, ogni settimana, come Maria de Filippi fa con i suoi telespettatori. Pensiamo di essere forse più intelligenti?
Ma a tavola queste cose non le dico perché un poco ho la presunzione di essere più intelligente di Maria de Filippi. Ma anche perché a tavola, di domenica, voglio far credere ai presenti che non sono cambiato, che sono rimasto lo stesso telespettatore di sempre e che, più che altro, dentro questo maledetto sasso la rosa ci sta ancora. Ben nascosta, al riparo, in fondo.
Io, invece, per far sapere ai miei che sono cambiato, ho dovuto affrontare dei duri momenti di scontro. Te li consiglio, valgono la pena. Cambiano le prospettive. Però sappi che non ne basta uno, ce ne vogliono tanti.
RispondiEliminaPerò un po' penso che i miei genitori l'abbiano capito che sono cambiato. Per i miei silenzi, appunto. Sono anche sicuro che pensano "è solo un momento".
RispondiEliminaPero' son bravi, questi tuoi genitori, che ti cercano usando il tuo frasario.
RispondiEliminaTutto e' solo un momento, anche se questo ti sembra un po' lungo.
Non credi che sia arrivata l'ora di provare a fare qualcosa come un investimento per il futuro, che resterà a te che resterai?
RispondiEliminaCioè l'ora di prendersi cura dei tuoi genitori? Cioè non più loro di te, ma tu di loro?
Credo che ci voglia un po' di sforzo, appena un po', e di parole magari anche meno.
E non è una domanda retorica. E' perché non so quanti anni hai, o meglio quanti anni ti senti.
@Lele
RispondiEliminaMi sembra giusto prendermi cura di loro e infatti l'ho sempre fatto. Però non capisco perchè mi dici questo. Da sempre mi sento 34 anni. Ne ho 31, ora.
Sono arrivata al tuo blog attraverso lo Scorfano (avevo trovato in rete il suo vecchio blog!). Ho letto di te solo questo post.
RispondiEliminaHo trovato molto vero quello che dici sull'imbarazzo iniziale del cominciare la conversazione. E poi sullo scioglimento della tensione (a sprazzi). Anche io ogni tanto vivo questo imbarazzo e quei momenti in cui la tensione si allenta, quando vado a trovarli (la vita è più grande di quello che già sappiamo!). E poi spesso i tentativi dei miei di farmi riemergere mi commuovono, e capisco che vale la pena raccontare una cosa in più.
Per questo penso che, per riconquistare il senso del rapporto col loro, valga la pena scommettere ancora quando vai a trovarli.
Altrimenti il rischio non è che, della domenica, resti solo il grigio, o la nostalgia per quello che con loro non hai voluto giocarti...?
Ciao, buon week-end! Monica
E dire che io volevo parlare soprattutto di Fazio e di Saviano.
RispondiEliminaIl rapporto tra me, mamma e papà è stato cemnentato per molti anni dalla televisione e più o meno era questo il senso del post. Poi non è detto che guardare insieme un programma televisivo non sia condividere qualcosa, anzi. Solo che il collante, adesso che sono diventato grande, non funziona più e paradossalmente è sempre la televisione a farmelo notare. Come fosse un gioco di specchi, quello che moltiplica le immagini e ti puoi accorgere dei difetti, dei lati nascosti, e delle proporzioni.
Rimanendo un po' più attaccato all'osso del tuo discorso, direi che sì, che è giusto scommettere su questi incontri domenicali. Mi sembra la cosa più intelligente ma soprattutto delicata di questo mondo (e la delicatezza è l'atto più rivoluzionario che esista).