mercoledì 23 febbraio 2011

che cos'è il miele

di lo Scorfano
Ieri stavo leggendo un passo famoso dell’Odissea con i ragazzini di prima. È l’episodio di Polifemo, io pensavo che tutti già lo conoscessero, ma ho capito dopo poche righe che, invece, la maggior parte di loro non aveva idea di come sarebbe andato a finire. Meglio così, ho pensato, staranno più attenti; e ho assegnato loro le parti da leggere, perché fosse un po’ più coinvolgente e non si annoiassero.

A un certo punto la traduzione del nostro libro di testo dice che Ulisse si rivolge al ciclope per placarlo e usa «parole di miele». Un ragazzino, Patrizio, ha alzato subito la mano e mi ha detto: «Prof, cosa vuol dire “parole di miele”?» Io allora ho provato a spiegare a Patrizio che era una metafora. Ulisse usa parole dolci, gli ho detto, ma anche ingannevoli, genitli ma anche false, come se fossero appiccicose, proprio come il miele: vedi, ho insistito, Ulisse sta cercando di placare Polifemo e quindi usa frasi che lo ingannino un po’, che non gli facciano capire quanto il greco sia astuto. E alla fine ho aggiunto: «Esiste anche l’aggettivo “mellifluo”, sai, che vuol dire più o meno la stessa cosa e che ha la stessa etimologia, viene dal latino mel» (anche se loro non studiano il latino, perché sono tecnologici…).       
            Ma Patrizio mi guardava perplesso, come se la spiegazione non fosse stata chiara. «Hai capito?» gli ho chiesto io. Lui annuiva, sempre perplesso, e mi guardava e io vedevo che faceva solo finta di avere capito. «Sei sicuro di avere capito, Patrizio?» gli ho chiesto io.

E lui: «Non so che cos’è il miele».

*   *   *

La storia finisce qui.

(Insomma, più o meno finisce qui. Perché poi ci sono stato io che sono rimasto pietrificato, senza sapere cosa dire; e che ho dovuto subito fermare anche tutti gli altri, che ridevano e si davano di gomito; mentre non sapevo come si fa a spiegare che cos’è il miele. E avrei voluto tanto essermene portato da casa un barattolo, per sbaglio, e avercelo in borsa. Per fargli assaggiare il miele e poi spiegargli quanto è bello l’aggettivo “mellifluo” e quanto è dolce, appunto, come il miele. Ma Patrizio, che studia italiano e scienze e fisica e informatica e storia e scienze motorie, Patrizio, che ha quindici anni, non sa cos’è il miele. E allora gli ho detto: «Oggi pomeriggio, quando vai a casa, chiedi a tua mamma di farti assaggiare un po’ di miele. Così domani mi dici se ti piace».)

Eppure, a prescindere dal finale zuccherino, quello che a me interessa è un altro aspetto della faccenda. Che mi pare simile al fatto che se chiedo agli stessi ragazzi come si chiama il maschio della capra, loro mi rispondono «il bue»; e se chiedo di che sesso sia un pollo, nessuno di loro lo sa e qualcuno dice che è il «figlio del tacchino»; o se chiedo quando fioriscono i mandorli, loro tirano a indovinare. Fino a che, un bel giorno, uno di loro arriva a non sapere cosa sia il miele.

Mi viene in mente il Pasolini delle Lettere luterane (ma anche don Milani faceva discorsi del genere) che scirveva che la scuola non sapeva valorizzare la cultura contadina da cui provenivano i ragazzi, la mortificava, li voleva omologati a una cultura scolastica che li avrebbe spiritualmente assassinati. A me piacevano quelle pagine di Pasolini (e anche, in parte, quelle quasi simili di don Milani); ma oggi mi trovo a pensare che mi piacevano inutilmente.

Perché la cultura “popolare” che i ragazzi portano in classe è tutt’altra ormai: è Striscia la Notizia, sono le formazioni dell’Inter e del Milan recitate a memoria, è il nome della fidanzata di Cristiano Ronaldo o le figuracce dei concorrenti di Amici o dell’Isola dei Famosi. E attenzione: io insegno in una scuola di paese, e tutti i ragazzi vengono da piccoli paesi, in mezzo alla campagna, dove ci sono gli oratori e le gite in montagna, dietro l’angolo. Non è nemmeno una realtà cittadina, insomma. Ma sono tutti ragazzi piuttosto benestanti, figli di piccoli imprenditori, o di impiegati, o di medici o anche di operai.

Eppure la cultura che i ragazzi portano in classe è questa, ben lontana da quella “contadina”; anzi non sanno nemmeno cosa sia il miele, altro che contadini. E io, è questo che volevo confessare, faccio tantissima fatica a valorizzare la cultura di cui oggi i ragazzi sono portatori; anche quando penso che, pasolinianamente, dovrei. Il mondo forse è cambiato proprio nella direzione che paventava Pasolini e oggi mi prende alla sprovvista e mi mette alle corde.

«Egemonia subculturale», la chiama un saggista di quelli bravi: un frullato di gossip e cattiva informazione e luoghi comuni e distrazioni di massa. Io non so come chiamarla, francamente: ma so che valorizzarla mi viene difficile, so che mi pare più giusto contrastarla e che a volte mi sento che a scuola facciamo (io e loro) tutto il contrario di quello che accade fuori. E magari è anche sbagliato, non so; ma a me pare che quello che accade fuori sia davvero troppo, troppo stupido, tutto qui.

38 commenti:

  1. Non voglio sapere con quali alimenti è cresciuto quel ragazzo. Sei sicuro che non sia un alieno proveniente da Alfa Centauri?

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  2. E' un ragazzino che, all'apparenza, ha un aspetto sano. Certo, è anche un ingenuo: ma ha un suo entusiasmo che me lo rende caro. Sai quanti, al suo posto, avrebbero taciuto piuttosto che ammetter un'ignoranza del genere?

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  3. Se è così curioso e coraggioso, allora viene sicuramente da Alfa Centauri! :-)

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  4. sono perplessa. Nel senso che stiamo parlando, se ho capito bene, di un ragazzo di... 14 anni? che ha una carriera *almeno* scolastica in cui sarà venuto fuori una volta che le api fanno il miele. Avà visto uno spot dei cereali per la colazione. Mi auguro che quel non sapere cos'è il miele significhi solo che non ne conosce il sapore e che quindi non riesca a comprendere la metafora, ma dell'esistenza di una cosa che si chiama miele e che ha un certo colore spero che fosse a conoscenza. (io ho un figlio che vive in un mondo un po' tutto suo, per certi versi, ma non arriva a questi livelli). Io spero che sua madre gli abbia allungato un cucchiaino, almeno per l'esperienza, poi :-)

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  5. In realtà, dopo molte incertezze e molte questioni, due giorni dopo (questo episodio è accaduto sabato mattina) è venuto fuori che lui conosceva la parola "miele" ma non sapendola associare a nessun sapore, gli risultava impossibile capire di cosa stessimo parlando. E infatti la sua obiezione è stata proprio quella: "Non so che cos'è il miele".
    (Happy end di ieri mattina, martedì: la mamma gli ha comprato un po' di miele e lui lo ha assaggiato; mi ha detto che non gli piace.)

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  6. Io sono cresciuta in periferia, mai visto un bue, ma so che è un toro castrato. Sulla fioritura di mandorli, o zucchine, o pomodori, avrei qualche difficoltà, avendo sempre acquistato la frutta e la verdura al supermercato.
    Il miele è una di quelle cose che ormai o compri al supermercato o non conosci, un po' come il latticello, o la pappa reale, o la melassa. Mi sembra assurdo che un quindicenne sia passato indenne attraverso anni di asilo, di elementari, di ape maya, senza sapere cosa sia il miele. E avvaloro l'ipotesi che sia un alieno. :-) O che sia vissuto tutti questi anni in una torre molto molto alta. Vedi se le leggi di Asimov sulla robotica si applicano a lui (http://www.youtube.com/watch?v=ZPU-NlX2iFA) :-D


    Quanto alla cultura contadina: non esiste perché i contadini, come li ricordava Pasolini, non esistono quasi più. Come non esistono più un sacco di cose: i cardatori, gli spazzacamini, i costruttori di bighe, i suonatori di sistro, il culto di Cibele.
    Un Pasolini di oggi direbbe che la scuola tenta di soffocare la cultura dei ragazzi, fatta magari di nozioni legate all'azienda di famiglia, se ce l'hanno, o all'infanzia passata a giocare a Prince of Persia.
    Il mondo è sempre cambiato, sarebbe cambiato anche se Pasolini non avesse scritto nulla. E non so, da un punto di vista biecamente materialista, perché conoscere come si produce il miele dovrebbe avere, culturalmente, maggior valore che, non so, conoscere come si produce un televisore al plasma, o un I-phone? Scommetto che tu accendi il tuo televisore molto più frequentemente di quanto tu non apra un vasetto di miele...
    E' una domanda molto provocatoria, la mia, ma vorrei che riflettessimo su questo: perché diamo valore alla cultura contadina, e non a quella industrial-hi tech che ci circonda e ci pervade? Quanto c'entra il desiderio di valorizzare la cultura popolare e quanto, invece, c'entrano le rimembranze virgiliane, carducciane, pasoliniane, che fanno parte di una cultura, questa sì, ora come ora tutt'altro che popolare?

    IpaziaS

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  7. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  8. Vedi, Ipazia, tu scrivi cose sensate, molto sensate, ma che non corrispondono alla realtà che vedo io. Di cultura hi-tech i miei ragazzi (poi magari sono solo i miei, non so) ne sanno meno, assai meno, che del miele o di un bue.
    Certo, tutti avranno il televisore a cristalli liquidi a casa e il cellulare in tasca, ma non è che siano in grado di parlarne. Quello che si portano dietro, culturalmente, l'ho scritto nel post e non posso aggiungere nient'altro perché non ho omesso proprio nulla. Sono io che , ai miei alunni di quinta (non di prima) cerco di spiegare che parlare male di una loro insegnante su Facebook (dire che puzza, per fare un esempio reale) può essere un suicidio. E loro mi guardano stupiti. Cultura hi-tech prevederebbe consapevolezza hi-tech, il che sarebbe un ottimo punto di partenza. Ma quello che io riscontro è solo e soltanto sottocultura televisiva, però.
    (il commento precedente è stato cancellato perché mi ci era sfuggito il tuo nome di battesimo...)

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  9. Ho trovato stimolante quello che ha sottolineato Ipazia (da brava provocatrice spesso ci becca): anche a me, a volte, dà un po' fastidio l'onnipresente rimpianto alle vecchie, sane, tradizioni contadine, ed anche io penso, sempre a volte, che sia meglio sapere come si caricano delle foto su FB che quando fioriscono i mandorli. Del resto, il mondo cambia e trovo giusto cambiare con lui.
    Però quello che precisa Scorfano è altrettanto giusto: il problema non sta nel conoscere o meno il miele, ma nel non porsi domande sulla conoscenza e sul funzionamento di niente, rimanendo passivi utilizzatori di una cultura hi-tech che invece potrebbe svelare mondi bellissimi, più ancora del miele, appunto.
    Il segreto sta, io credo, nella CURIOSITà, dote che certa televisione e certa sottocultura odierna tende a passare in secondo, anzi decimo piano. Da questo punto di vista, però, il nostro Patrizio rappresenta una luce in fondo al tunnel, perché lui, il coraggio e la curiosità di scoprire il miele, li ha avuti, e alla fine ha imparato qualcosa che, probabilmente, per la buffa maniera in cui è accaduto, non si dimenticherà più.
    Saremo salvi finché ci saranno ancora dei Patrizio in grado di fare domande, fossero anche domande come "non so come arriva la luce alla lampadina" o "non so come mai gli alberi fanno i fiori".
    quanto al nome di battesimo di Ipazia: suggerimento, fai come me, chiamala Ipazia in QUALUNQUE circostanza della vita!!!

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  10. Differentemente dalla cultura hi-tec il miele e' un elemento primario. Il miele non lo crea l'uomo, ma le api: l'uomo ha imparato ad essere apicultore rispettando questi insetti, assecondando la natura. Un televisore al plasma cose'? E' l'insieme di pezzi e pezzettini, viti e cavi. E' un mobile Ikea montato con le istruzioni. Ora, sapere fare qualcosa con una lista di azioni calcolate in mano e saper fare qualcosa con passione, rispetto e armonia, bhe' culturalmente io direi che cambia. Che poi questa generazione, che pensa di avere una cultura hi-tech, non sappia cose' un tubo catodico conferma le perplessita' dello Scorfano.

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  11. Prima che si vada troppo lontano con la discussione, vorrei pacatamente ribadire una questione: i ragazzi quattordicenni che conosco io, a parte qualche sparuta eccezione che però non è un’eccezione di classe prima, non sanno nulla di cultura hi-tech, non portano nulla della cultura hi-tech a scuola, non propongono nulla che assomigli alla cultura hi-tech. Se lo facessero, non avrei scritto il post.
    L’esempio della cultura contadina era un esempio anni ’60, tratto da Pasolini e don Milani; chissenefrega dei polli e dei tacchini, lo dico anch’io. L’esempio serviva (a me) da contraltare alla cultura che invece i ragazzini portano oggi a scuola: che è quella televisiva e calcistica, largamente egemonica.
    Mi piacerebbe assai valorizzare la cultura hi-tech, se la possedessero. Ma non la possiedono (se vi fidate, naturalmente; se non vi fidate delle premesse, be’, è inutile leggere le conclusioni). E quindi quello che mi trovo a dover valorizzare è tutt’altro. Solo che non so da che parte si possa valorizzare. E neppure so se ne valga la pena, francamente.

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  12. @Professo'
    @Ipazia

    Siete stati molto generosi ed avete offerto, come sempre, una opportunità per riflettere.
    Però è tempo di allontanarsi dal portatile: s'è fatto tardi.
    Torno a costruire bighe.

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  13. Secondo me veniamo da quasi due secoli in cui le punte più avanzate della società spingevano per migliorare le condizioni della popolazione, convinte che una volta offerti pane e istruzione a tutti, avremmo visto enormi cambiamenti in meglio nelle persone.

    Oggi stiamo scoprendo che una volta che hai dato pane e istruzione a tutti (o quasi), sostanzialmente alla maggioranza interessa il calcio, striscia la notizia ed il vipparolume assortito.

    Personalmente ormai sono convinto che, mentre è doveroso fornire un'educazione di base a tutti, è del tutto inutile sforzarsi con chi non vuole andare oltre un certo limite.

    Tu hai fatto bene a spiegare ai ragazzi che FB non si deve usare in un certo modo. Se il 99% di loro non capisce di cosa stai parlando, pazienza: pagheranno per la loro stupidità, perché le risorse sono limitate e vanno indirizzate verso quell'1% che vuole capire e sapere.

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  14. mi hai suggerito una riflessione off topic.

    E anche una on topic che però farò in un altro momento :-)

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  15. "Chissenefrega dei polli e dei tacchini"?! Non sono cose da dire, queste, in un blog che si rispetti!.
    La cultura popolare non e' piu' cultura contadina, come una volta, e questo impedisce di capire, o per lo meno di trovare familiari, certe espressioni usate dai grandi scrittori classici. Solo per questo motivo (rispondendo a Ipazia) varrebbe la pena reintrodurre nozioni agresti e dare piu' valore alla cultura contadina.

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  16. @ipazia
    Scusate l'OT, ma mio cugino (non "cugggino", è proprio il figlio di mio zio) fa il pittore e lo spazzacamino e guadagna bene (come spazzacamino, ovviamente). Per dire, gli spazzacamini esistono ancora. :-)

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  17. Dopo aver appreso con una certa sorpresa che esistono ancora non solo i costruttori di bighe (con tanto di pc portatile) ma anche spazzacamini, devo proprio dire che non si finisce mai di imparare.
    Devo anche fare una parziale auto-correzione alla mia provocazione: ho usato, probabilmente in maniera impropria, l'esempio della cultura hi tech come qualcosa che è, o dovrebbe, essere avvertita dai ragazzi come più attuali che non miele o discettazioni sulla coltura del mandorlo.
    Poi, ovviamente, si scopre che il problema è sempre la mancanza di curiosità, come dice Tinni, ad andare oltre a quello che ci si trova bell'e pronto in tv, oltre il GF, oltre le veline.
    Però mi permetto anche di notare che quando tu, Scorf, parli loro di Facebook, stai valorizzando il loro milieu culturale di partenza, se così si può chiamare, parlando di cose che a loro interessano: stai creando in loro una certa consapevolezza (di facebook, in questo esempio), mostrando che anche di questo la vita è fatta, che anche su questo si può imparare. Idem dicasi, per esempio, se parlassi di loro di quanto è cretino un programma come il GF, o altro. Certo, poi la scuola si deve occupare di altro, e io non dico certo di gettare dalla finestra le Georgiche solo perché parlano di miele, e non di social network. Mi conosci, almeno tu, Scorf: e sai perfettamente che non potrei pensarlo!
    La mia "provocazione" voleva semplicemente portare a riflettere su quanto anche una realtà apparentemente scontata come il miele possa non essere più percepita come tale, con il passare del tempo, e chiedermi, e chiedere, cosa vuol dire il messaggio di Pasolini ai tempi nostri.
    E io non dico che allora andrebbero valorizzate le veline e Striscia la Notizia, in quanto sostituti del miele e dei tacchini e dei polli: non c'è nulla da valorizzare. Semplicemente, si può provare, per quel che si può, nel tempo che si può, a provare a insegnare ai ragazzi a come rapportarsi in maniera critica anche alla cultura che li circonda.
    Poi, lo sai tu meglio di me, io vedo, e sempre vedrò, la scuola da lontano, e quindi magari queste mie righe sono un pindarico volo di utopia.

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  18. Ho scritto "si può provare a provare"... potreste pensare che sia un refuso, ma in realtà è un omaggio al cantore che scrisse "ma chi l'ha detto che non si debba provare a provare?" che fa parte del mio personale bagaglio culturale....



    Non è vero, in realtà è un refuso! W l'Off Topic!

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  19. "e chiedermi, e chiedere, cosa vuol dire il messaggio di Pasolini ai tempi nostri."

    Ecco, ora capisco quello che intendi (prima no, lo confesso).
    La domanda indiretta che poni tu è peraltro la stessa che ponevo io nel post. Cosa c'è da valorizzare e come posso valorizzarlo. Mentre insegno anche Dante, l'analisi logica, la nascita delle poleis in Grecia, la ricchezza artistica della Toscana, i carmi di Catullo, l'epica omerica... (sì, anche questo è OT, me ne rendo conto; e tutti lo sanno già, lo so, e quindi sono pure noioso, ma so anche questo; e però lo voglio dire, per completezza).

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  20. @Professo'
    noioso e pirla. Così, per puntualizzare :P

    @Ipazia
    Mi servo del portatile per cercare, accedendo alla internet, immagini relative alla biga ('sta frase suona male assai).
    Adesso, comunque, ho capito anche io la tua domanda.
    Però, dopo aver letto "milieu culturale", ho avuto la seguente visione: gli alunni dello scorfano, in doppio petto e con un bel borsalino in testa...
    Cose da marsigliesi, insomma.

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  21. Secondo me Ipazia ha fatto la riflessione "giusta". Pure Lo Scorfano ha ragione a lamentare la scarsa conoscenza scientifica (o hi-tech, uguale) dei ragazzi.

    Insomma, cosa ci mettiamo al posto del pastorello zufolante, senza però diventare alieni ai nostri studenti (dobbiamo valorizzare il loro mondo, no?)

    La cultura scientifica proposta da Ipazia è già una risposta (la Mastrocola trasalirebbe).

    Ste dice che un televisore al plasma è solo un insieme di pezzettini, viti e cavi. Dissento. Come ci si è arrivati a quell'accrocco miracoloso?

    Gli ingegneri passano la vita a capire "come fare le cose", ci vuole un gran testone, ché non sono problemini.

    Nello stare stravaccati davanti a uno schermo piatto non c'è molta gloria, nell'averlo inventato sì. Far capire questo attiverebbe molte energie, perché effettivamente la scienza fa parte del loro mondo (nostro, ok).

    Io poi aggiungo un'altra cosa, per quanto banale: la possibilità di contatti e di scambi.

    Noi viaggiamo, vediamo, conosciamo quanto mai prima. Non c'è mai stata epoca nella quale fosse più facile e più utile imparare una lingua straniera della nostra.

    I nostri studenti non sembrano rendersene conto, e talora neanche i genitori. Allora noi prof. dobbiamo buttarli nel mondo e fargli provar gusto dell'esperienza, che può avvenire sulle LORO basi, i LORO strumenti: fb, google, tv satellitare, tante cose.

    E curiosamente, è proprio in questo che trovo ancora un senso nell'insegnare materie classiche, o genericamente afferenti all'antico: per una sorta di contrasto che offre categorie d'analisi per il presenta, ma allo stesso tempo restituiscono al passato il suo fascino: mettersi nella testa di uno che doveva costruire piramidi senza ruspe, curare gente senza il disinfettante, controllare interi imperi senza telefoni...è intrigante.

    Come è intrigante notare le risposte che si davano gli antichi: la letteratura, la religione, le leggi. E la loro stessa scienza: se si riesce a comunicare la grandezza intellettuale, il senso della sfida e la sagacia di Isidoro e Antemio, costruttori della cupola di Santa Sofia quando non c'erano neanche le penne biro, beh, allora avremo reso ai nostri studenti un ottimo servizio, senza renderli classicisti forzosi.

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  22. Ecco, io sono contento quando riesco finalmente a farmi capire. E sono contento quando arrivano proposte e idee, espresse in forma anche decisa ma garbata, che non è detto che io riesca ad avere (essendo, come noto, un pirla).
    Del mio vecchio blog era esattamente questo che mi mancava.

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  23. Potrei aver decodificato male, ma il dramma non mi pare la scarsa coscienza "scientifica" di Patrizio, bensi' la scarsa esplorazione di quello che -nel piccolo recinto degli alimenti- il mondo contemporaneo gli offre. Se l'orizzonte è talmente ristretto da escludere per 14 anni un alimento ampiamente disponibile su tutti gli scaffali di ogni negozio di alimentari e supermercato occidentale, questo rappresenta un limite alla curiosità che spaventa. Però, però.

    Non è che, semplicemente, stiamo deducendo una tendenza culturale da un caso isolato, in fondo "scientificamente" inattendibile? Leggendo i commenti mi pare che il terrore per la scomparsa dell'"egemonia culturale pasoliniana" sia più una proiezione di noi commentatori che una realtà dimostrabile nella vita di Patrizio. Magari ai genitori di Patrizio il miele non piace e per questo non l'hanno mai comprato. Patrizio al contempo ha una passione per gli insetti e conosce a menadito la fauna terricola del suo giardino di casa e noi non lo sappiamo.

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  24. Allora avevo capito male il senso del post. Perché se, come credo di aver capito ora, si pensa di paragonare la cultura popolare delle georgiche o quella di Pasolini, con la cultura popolare con cui conviviamo noi, allora mi permetto di far notare che sia Virgilio che Pasolini non parlavano di cultura popolare, ma dell'immagine di essa che loro si erano creati.

    Né la vita dei campi reale né la vita delle borgate erano o sono come ce le descrivevano i Due. Pasolini vagheggiava di questa presunta purezza primigenia dei borgatari, e poteva farlo perché lui nelle borgate non ci viveva. Il sottoproletariato di Pasolini non esisteva, e se scorfano si trovasse ad insegnare a quei ragazzi non ci troverebbe un briciolo di quello che Pasolini descrive. Fatta la tara alle ovvie differenze di classe, si troverebbe ad aver a che fare con gli stessi ragazzi che si interessano di cose futili, il cui orizzonte intellettuale era limitato alla punta del proprio naso.

    Pasolini era una sorta di reazionario compassionevole, era una versione molto sofisticata del "si stava meglio quando si stava peggio".

    A chi è nato e cresciuto negli ambienti del popolo che piace tanto a Pasolini i suoi discorsi suonano del tutto fuori dalla realtà. Non è mai esistito il buon selvaggio corrotto dalla modernità...

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  25. Detto che non ho mai citato Virgilio, perché credo non c'entri nulla, provo a dire quello che mi sta a cuore (poi vi lascio in pace, prometto).
    Pasolini, a torto o a ragione, e don Milani (che li vedeva però in prima persona) sostenevano che i ragazzi arrivano a scuola con una "loro" cultura; e che la scuola (cioè io, visto che non si tratta dei muri) non dovrebbe mortificare tale cultura ma valorizzarla. Ora, i ragazzi di P. e don M. erano portatori di una cultura "contadina" o "borgatara" (guarda Tommy, non mi importa quanto fosse autentica o proiettata: voglio prenderla per buona, come se fosse un teorema); i miei ragazzi invece sono portatori di una spaventosa (questo lo dico io) sottocultura televisiva e gossipara. Posso ricavarci qualcosa? Come faccio a non mortificarla?
    Sono domande vere, non del tutto retoriche: anche se, francamente, a me piace pochissimo quello che arriva da quel mondo e che ha impregnato la vita dei quattordicenni; e l'unica soluzione che mi viene è insegnare uno sguardo critico su quel mondo e una consapevolezza che assomiglia molto alla negazione, alla fine dei conti.
    Spero di aver detto qualcosa di sensato.

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  26. @scorfano: non per fissarmi con la mia teoria di ciò che è Off Topic e ciò che non lo è, ma quanto hai precisato qui è esattamente quanto stava scritto nel post.

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  27. @marco: be' sì, diciamo che cerco di non andare OT da solo... ;)

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  28. (Virgilio l'aveva citato qualcun altro: cerco di stare nel flusso della discussione, non di fare le pulci al tuo post :-) )

    Comunque è esattamente quello che ho detto io: Pasolini idealizzava la vita di borgata e diceva che la modernità e la sua scuola obbligatoria la stava distruggendo.

    Secondo me se tu ti fossi trovato di fronte agli stessi ragazzi di cui parlava Pasolini, avresti pensato le stesse cose che pensi dei tuoi studenti di oggi (fatte salve le diverse condizioni socio-economiche, chiaro).

    Cosa devi fare nei confronti di quella cultura? Mostrare che fa schifo: cosa avresti fatto di fronte ad un ragazzino che di sera va a fare marchette? Gli avresti detto che ha una sua cultura propria da valorizzare, o l'avresti considerata una spaventosa sottocultura?

    Poi chiaro, se tu poni come assioma l'esistenza di questa cultura, allora automaticamente il mio discorso cade.

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  29. No, io non pongo come assioma l'esistenza di una cultura; anzi la chiamo sottocultura perché non riesco a chiamarla cultura.
    Non so cosa avrei fatto di fronte agli stessi ragazzi di cui parlava Pasolini, non lo so proprio. Davanti a quelli che ho adesso, cerco di mostrare loro che il calcio, Striscia la Notizia, ecc. non sono una cultura, ma non sempre credo di avere gli strumenti adatti.
    (Comunque tu vuoi fare le pulci al mio post, lo so ;) )
    (E in ogni caso ora esco per fare la spesa, che è tardi: sono rimasto senza miele, tra l'altro.)

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  30. (Poi, giusto per andare bel bello OT anche io, oggi pomeriggio ho corretto un tema di un mio studente di terza sulla "cultura sportiva" che mi è piaciuto tantissimo; tra qualche giorno, quando trovo il tempo, ve lo riassumo, perché merita e non è lontano da quello di cui stiamo parlando qui.)

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  31. ho avuto un'esperienza simile l'anno scorso, con una I media: spiegavo i settori produttivi e quando ho detto "ovini" (e loro sapevano cosa fossero gli ovini, l'avevano imparato alle elementari) è venuto fuori che molti non conoscevano la differenza tra una capra e una pecora. grazie al cielo, eravamo in aula LIm, con connesione web , e con un paio di immagini gugolata me la sono cavata.

    quello però che mi ha fatto riflettere è il fatt che la "cultura high tech", come l'hai chiamata, dia a lor grandi, enormi possibilità che però non vengono esperite. probabilmente Patrizio sa benissimo cos'è un marshmallow perché lo vede nei telefilm americani, ha sicuramente sentito parlare di miele alla tv (i cereali, ad esempio) ma non ha mai avuto la curiosità di sperimentarlo direttaemnte.
    francesco parla, ad esempio, della possibilità di comunicare e di viaggiare che lo sviluppo tecnologico ci offre; ecco, dal mio punto di vista, il viaggiare e il comunicare no sono dei beni in sé, ma lo è la loro qualità: se il mio viaggio è sempre lo stesso, se tutte le sante estati vado sempre nello stesso posto, nella stessa spiaggia, sotto lo stesso ombrellone, se la mia comunicazione con uno che sta a trecento chilometri da me è cm va? - tt ok, a dp!, mi chiedo quale sia il reale vantaggio di crescita - cognitivo, oserei dire - per i ragazzi.

    credo, sinceramente, che uno dei problemi di fondo sia che l'avere tutto a disposizione, facile, sottomano, svuoti le cose, le conoscenze, le opportunità, di valore intrinseco: se posso andare a Londra tutte le estati, quest'anno posso anche farne a meno, se invece è un'occasione unica...

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  32. La noisette ha colto quella che era un po' una mia forzatura, ma non troppo grossa.

    E' vero che i viaggi dei nostri ragazzi sono di una piattezza esasperante (a cominciare da quelli scolastici), ma è pur vero che l'istinto a togliersi lo sfizio di cercare una foto su internet, l'idea che puoi commentare il link buffo di uno che sta dall'altra parte del mondo, che le informazioni siano facili da trovare (e DEBBANO esserlo...il passaggio è importante), la vaga idea che tutto il mondo è dietro l'angolo, insomma, un pochino ce le hanno 'ste cose. E non sono negative: sono un punto di partenza.

    Quella che viene ancora rimpianta (ed era anacronistico 40 anni fa) era la cultura contadina, scarpe grosse e cervello fino. Ora le scarpe grosse non ci sono più e Lo Scorfano si chiede: "ma il cervello fino, in altre forme, resiste?".

    Ovviamente qui semplifichiamo, però sì, esiste: in una cultura urbana di cui ho vagamente e remotamente accennato qualche "tendenza" e in cui le menate televisive, secondo me, sono soltanto fatto superficiale (mi rifiuto di dire epifenomeno) che nasconde realtà più profonde o che fa da supplenza (balorda) quando si sta ai margini. Ma pure la cultura contadina aveva margini, e piuttosto duri.

    Se poi in Italia a volte questa cultura urbano-digitale ci sembra sgangherata, ricordiamoci che altrove funziona meglio. Le serie TV sono un buon esempio: in America e in Inghilterra, e un po' in Francia, ci sono telefilm che hanno piena dignità intellettuale, valgono quanto un libro, e sono "modernissime". Noi siamo attardati..

    PS: IO ho difficoltà a distinguere una pecora da una capra.

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  33. Mea culpa: io citai virgilio, non perché c'entrasse qualcosa con Pasolini, bensì perché nelle sue Georgiche si tratta anche dell'apicoltura.

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  34. A me sembra che per valorizzare una cultura, o subcultura, bisognerebbe avere dei valori condivisi. Se questi ci sono, gli strumenti culturali possono essere più o meno efficaci, in ogni caso che lo spazio per fare un tentativo di prendere "il meglio" o orientarlo verso ... qualcosa. Ma mi sembra anche che il motivo per cui la subcultura televisiva ci (posso dire ci? vabbe', l'ho detto) sembra così lontana è che non riconosciamo in quella cultura nessuno dei valori in cui crediamo. Non c'è margine.

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  35. Devo essermi mangiata qualche mezza frase nel commento :-/
    Credo che il senso si capisca lo stesso.

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  36. Si capisce perfettamente, LGO. Si capisce che secondo te non c'è alcun margine.

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  37. Ecco, no. Volevo dire che se non si condivide qualcosa, allora non c'è margine :-)
    Quindi, che se si vuole avere margine, bisogna trovare qualcosa da condividere. A quel punto, poco importa che si parli di miele o stelle o modelli di scarpe.
    Poi, nella vita vera, io a volte ci riesco e a volte no.
    LGO

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  38. Sì, anche a me sembra spesso "sottocultura" quella che tu definisci così. Comunque, non penso ci sia altro modo di stare in classe che quella di proporre l'esperienza di una cultura diversa; e siccome confido nell'intelligenza dei miei studenti (e, ne sono certa, anche tu!) dico subito che la cultura vera si riconosce lontana un miglio; ricordi, nel tuo vecchio blog, quando citavi il tuo alunno che aveva zittito tutta la classe parlando di una sua esperienza personale? Tu stesso avevi detto che nessuno aveva più voglia di scappare dalla lezione, perché quel ragazzo parlava di una sua esperienza vera. Ecco, così penso debba essere una lezione. Ed è una bella fatica essere sempre a questi livelli, lo so ... Ma altrimenti, perché insegnare?! Monica

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)