martedì 13 settembre 2011

L'educazione scozzese

del Disagiato

Una cosa che in Scozia, tempo fa, mi impressionò parecchio fu il fatto che nei luoghi pubblici, nei negozi, nelle tavole calde, nelle segreterie delle università, da Zara, da McDonald's, nei pub per afferrare una birra, nei localini squallidi per prendere un fish and chips, nelle stazioni dei treni, dei bus e dei taxi tutti quanti, dicevo, facevano la fila ben allineati, composti, dritti e pazienti. Quando dico tutti quanti significa tutti quanti e cioè anche il punk con la spilla con la scritta "vaffanculo". Insomma, in Scozia (e chissà in quante altre parti del mondo) fa la fila anche colui che dovrebbe odiare l’ordine e l’organizzazione. Fa la fila anche chi dovrebbe odiare la fila, appunto. Da quel momento, dentro di me, chissà dove, tengo con cura un’unità di misura, un paragone eccellente, un riferimento che si esprime con questa formuletta: come in Scozia. Bisognerebbe essere ordinati come in Scozia, bisognerebbe essere calmi come in Scozia, bisognerebbe essere composti come in Scozia e bisognerebbe stare in fila come in Scozia.

Già, la fila. E sulla fila ho già speso qualche parola in passato. Anzi, sulla non fila. Da quando lavoro in libreria ho capito che se davanti alla cassa, per pagare, non ci sta una fila (espressione, penso, di educazione e rispetto) non è solo colpa di chi non sta in fila ma anche dei cassieri che non la fanno rispettare. Perché non la fanno rispettare? Perché sa, il cassiere, che nessuno la rispetta, che la gente davanti a lui non è allineata ma sparpagliata e perché il cassiere è stanco di dire “state in fila, per favore” a gente oramai cresciuta da un pezzo. Però io sono stato in Scozia e a me, la gente, non mi frega. 



Da quando ho messo piede in questa libreria, dico a me stesso e talvolta ai colleghi: “Bisogna far rispettare la fila. Come in Scozia”. Perché in Scozia, non si capisce bene il perché, tutti quanti fanno la fila e tutti i commessi fanno sì che nessuno esca dalla fila. Se qualcuno non è in fila neppure lo considerano. Chi non sta in fila, davanti alla cassa, è come non ci fosse e il commesso non si fa venire strane ansie. Mica come noi, che pur di sbrigarci diciamo: “A chi tocca?”. Bisogna fare come in Scozia, quindi. E non importa che in Scozia il tempo faccia perennemente schifo e non importa che la frutta sia acquosa e non importa che il cibo sia pessimo. Non importa. In Scozia sanno stare in fila e questo deve bastare. Deve bastare, a un commesso come me, aver visto che altrove le cose filano lisce e deve bastare avere un termine di paragone. Perché sapere che altrove le cose funzionano regala speranza e ottimismo. Si può sempre dire: “Gli italiani dovrebbero fare come in Scozia”. Imparare da loro o, per altre questioni, da qualcun altro.

Ecco, è importante sapere che c’è un qualcun altro nel mondo che può sempre dirti come fare o perché fare. Ieri, per esempio, un bambino è uscito dal negozio con un libro in mano per ben cinque volte, facendo così suonare l’allarme, disturbando me, i clienti, i negozianti vicini e richiamando inutilmente l’attenzione delle guardie. Al quinto (inconsapevole e innocente, dai, diciamolo) tentativo di furto sono andato dal padre e gli ho chiesto scocciato se per caso quello fosse suo figlio (certo che era suo figlio, lo sapevo benissimo) e lui mi ha risposto così: “Sì, è mio figlio, però devi capire che ha solo cinque anni. Cosa ci posso fare?”. “E che razza di risposta è questa?”, mi sono detto.

Allora ho provato a ripetermi la formuletta: “Bisogna fare come in Scozia”. Ma la formuletta non ha funzionato, visto che in Scozia non so come i padri educhino i figli (magari li educano a fare la fila e basta). E ho provato a cercare su una mappa mentale un posto in cui i padri sono ansiosi, un luogo che potesse illuminarmi, istruirmi, confortarmi, regalarmi una risposta interiore o sociale, una reazione per poter concludere al meglio quella vicenda del figlio che ruba e del padre che dice “dai, ha solo cinque anni”. Ma niente, mi sono sentito vuoto e privo d’esperienza, senza alcun riferimento a cui aggrapparmi (ecco perché bisognerebbe viaggiare di più). Allora ho detto al padre: “Vabbè” e me ne sono andato.

“Vabbè”, quando si è disarmati, funziona sempre. Vabbè.

15 commenti:

  1. Un giorno io e la mia Lei eravamo in un negozio di elettrodomestici e chiacchieravamo con un commesso nostro conoscente. Di fronte a noi un bambino si divertiva a togliere il cellophane dalla tastiera di un PC. Ogni tanto il commesso, pur proseguendo nei discorsi, fissava il vandalo, poi noi. A un certo punto ci ha chiesto: "Scusate, ma è vostro figlio?" e noi: "No.", realizzando che lo aveva lasciato fare per equivoco :^D

    RispondiElimina
  2. se i miei giovini fanno qualcosa che non devono li sgrido molto pesantemente, e freguntubo che sono duenni.

    RispondiElimina
  3. L'estate scorsa sono andato a Bristol con un amico per 2 settimane. Atterrati a Orio, al ritorno, ci siamo ammassati nei pullman che ci avrebbero portato dalla pista in aereoporto. La prima cosa che mi ha fatto dire: "Siamo in Italia"? La mandria di persone che si accalcavano agli sportelli per il check-in. Vergognoso! Bastava che mettessero delle transenne per creare una coda ordinata e sono sicuro che tutti l'avrebbero accettato. Ma le transenne non c'erano, come non c'è stata la strigliata che si sarebbe meritato quel bambino.

    RispondiElimina
  4. "Ha solo 5 anni"??? Dico, ma stiamo scherzando?
    Passi che lo fa la prima volta (e intendo la prima volta in assoluto, non la prima volta in un negozio), passi la seconda, ma poi gli spiego che la cosa non si deve fare...
    E se continua gli arriva anche un sonoro schiaffone!

    RispondiElimina
  5. Avere cinque anni non significa non capire che facendo scattare l'allarme 5 volte si disturba tutto il negozio. Avresti potuto rispondergli: "Puoi spiegare a tuo figlio di 5 anni che così disturba tutti: è un bambino, non un deficente."

    In Scozia, come in Germania si sta in fila. In Germania i bimbi sono liberi di giocare e non vengono rimproverati se vogliono farlo. Quando c'è da stare composti, però, si sta composti. Senza discutere.
    Ci sono anche in questo sistema molte pecche, ma almeno un po' di educazione c'è.

    RispondiElimina
  6. Ho vissuto un anno a Londra e, tra le tante cose che mi sono riportata nel cuore, ci sono le ordinate queues londinesi, alla fermata del bus, davanti ai cinema, davanti ai teatri e ovunque....che altra storia!

    RispondiElimina
  7. ..e sei stato fortunato a non sentirti rispondere: "ma mio figlio a casa queste cose non le fa!" :-))

    è che io invece.... spesso! :-(

    g

    RispondiElimina
  8. @.mau.
    Il tuo "molto pesantemente" mi auguro non contempli la tortura cinese (scherzo eh).

    RispondiElimina
  9. @Alessandro
    Ogn volta, a Orio, la stessissima esperienza tua. Uguale uguale.

    RispondiElimina
  10. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  11. Come ti capisco...
    Leggendo l'esperienza di Alessandro mi ricordo il viaggio a Parigi nel 2009: volo di andata con mandrie di italiani furbetti per accaparrarsi un posto sul volo Ryanair! Per giunta con bagagli in eccedenza che hanno fatto ritardare la partenza. Appena arrivati a Parigi, il mio ragazzo e io abbiamo fatto di tutto per seminarli: chiassosi, maleducati, cafoni e furbastri. Poi i giorni seguenti abbiamo fatto file chilometriche anche sotto la pioggia: per l'Orsay, il Pompidou, la Tour Eiffel e il campanile di Notre Dame... Tutti ordinati e pazienti e gentili... Era quasi un piacere! Tornare a casa è stato traumatico (e anche imbarazzante quando noi e i francesi diretti in Italia venivamo sorpassati dinanzi al gate con maleducata disinvoltura). E se poi lo fai notare, sei tu quello strano e maleducato... e tu, forse, come commesso, non hai la libertà di chiedere un po' di ordine, anche con le dovute maniere. Tutta la mia solidarietà!

    I bambini? Per carità, se li sgridi o punisci si traumatizzano!

    ohana, prolissa come sempre ;)
    Ciao!

    RispondiElimina
  12. Mi torna in mente una frasetta letta tanti anni fa' in una raccolta di racconti familiari di Guareschi (divertentissimi, e poco conosciuti): "Educare i figli degli altri è facilissimo. Il difficile è educare i propri...".
    Comunque è una battaglia persa: nel mio lavoro si fa la coda col numerino, e i clienti riescono lo stesso a incasinare tutto. Perdono il numero, fanno finta di averlo buttato via per passare prima, arrivano belli belli come se non si fossero accorti dei vistosissimi numeracode, dei display luminosi e dell'ululato di avviso... I marmocchi, ovviamente, mentre si cerca di capire che diavolo vuole il tipo che sta davanti a te, iniziano a urlare, scorrazzare, tirare giù per terra tutto quanto sia alla loro altezza. I genitori? Manco li vedono, sospirano al massimo un "bravo cicci, bravo" flautato ad un volume cosi basso che il frugolo non lo percepisce nemmeno, e avanti così...

    RispondiElimina

(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)