Un paio di giorni fa Leonardo ha scritto un bel post (in larghissima misura condivisibile) sulle vacanze lunghe degli insegnanti. Ne ha avuto voglia, diciamo; e ne ha avuto anche il coraggio. Perché, si sa, l'argomento è di quelli spinosi, che attirano commenti e osservazioni di ogni possibile fatta e tono, che degenerano facilmente in flame e luoghi comuni e osservazioni maccheroniche sulla «missione » degli insegnanti e il loro essere, allo stato attuale, dei veri e propri «privilegiati».
Non entro nel merito dell'argomento "vacanze lunghe", perché non ne ho voglia e perché molte cose sono state appunto già dette da lui (e anche da me, in altra occasione: e le penso ancora). Voglio però riportare qui parte di un commento che quel post ha attirato. Il commento è di Luca, a cui metto il link proprio perché non voglio parlare male di nessuno e soprattutto alle spalle di nessuno (è per gentilezza, insomma). E il commento è questo:
Sai cosa ne facciamo dei figli quando le scuole sono chiuse e noi siamo al lavoro? Li mandiamo ai centri estivi, che molte volte vengono tenuti proprio nelle scuole chiuse. Certo, non in aula, ma a scuola. Ecco, questa sarebbe una buona soluzione: a luglio e dal 1 al 10 settembre gli insegnanti, invece di fare scuola, fanno gli animatori dei centri estivi, da tenersi nelle strutture scolastiche. Tipo andare a scuola, ma facendo solo intervallo (organizzato come si deve). Vedila dal nostro punto di vista: ci sono migliaia di professionisti dell'educazione (gli insegnanti) a spasso a spese nostre, e noi dobbiamo anche pagare strutture private per intrattenere i bambini d'estate. Non ha senso.
Se vi viene da sorridere, trattenetevi. Perché non c'è proprio niente da ridere.
Perché questa è esattamente (e ormai da molti anni) la considerazione professionale che, in Italia, si ha degli insegnanti (cioè di quelle persone che insegnano ai vostri figli a leggere un libro, a capire le leggi della termodinamica, a risolvere un'equazione di secondo grado, a interpretare un testo, a riconoscere la bellezza e la bruttezza del mondo, a diventare uomini consapevoli di sé e della realtà, a costruirsi un futuro): un ruolo, nella mentalità comune, che sta a metà tra il baby-sitter e l'istruttore di nuoto di un villaggio vacanze; un personaggio, diciamolo alla carlona, che intrattiene la prole sfaccendata mentre i genitori portano a casa il pane (o il caviale) quotidiano. Uno così, che è bello chiamarlo «professionista dell'educazione» (che non vuol dire nulla, peraltro; o che almeno non significa «insegnante»), ma fa poi comodo trattarlo come un domestico qualunque. E pagarlo di conseguenza.
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RispondiEliminaPiù che da ridere, mi viene da piangere.
RispondiEliminaNon solo per la scarsa considerazione del corpo insegnante, ma anche per la scarsa considerazione dei figli.
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RispondiEliminaHo eliminato il primo commento perché ho fatto un errore. Quello corretto è: "Una persona che esordisce scrivendo 'sai cosa ne facciamo dei figli...' in un commento ha già di per sé qualche problema personale da risolvere sulla questione 'essere genitore', ma è una mia personale opinione. Si può anche non condividere."
RispondiEliminaMi scuso per il macello provocato.
Nessun macello, Giuliana. si era capito cosa intendevi: donna o uomo, naturalmente, non fa proprio nessuna differenza.
RispondiElimina"sai cosa ne facciamo dei figli.."
RispondiEliminaespressione significativa.
variabile
ho appena lasciato da Thu' un commento che potrei mettere paro paro anche qui, se fossi certa che anche questo blog apprezza i francesismi...
RispondiEliminaVado a leggermelo di là. Però la prossima volta non esitare ;)
RispondiEliminadai, che poi vi accusano anche di mancanza di flessibilità
RispondiElimina... e di non pensare abbastanza a Lady Gaga, anche.
RispondiEliminaCaro prof,
RispondiEliminama a tuo parere quale è stato l'anno della "svolta" nel modo di intendere e di ritenere il corpo insegnante delle scuole?
Io che ho frequentato la scuola dell'obbligo nei lontani anni 70-80 ricordo che a quei tempi i prof erano ancora rispettati.
In bocca al lupo!
Marcolino
@marcolino
RispondiEliminaIo ho frequentato la scuola negli stessi tuoi anni. Sono uscito nel 1986 e poi sono rientrato, come insegnante, nel 1994. Quando sono rientrato era già tutto molto cambiato. E poi è andato sempre peggiorando. Forse non c'è stata una svolta ma un lento degrado.
Professore,
RispondiEliminahai ragione.
Basta guardare l'atteggiamento di certi genitori nei confronti degli insegnanti. Mi riferisco a udienze scolastiche di cui sono stato, mio malgrado, imbarazzato testimone.
Il figlio-alunno ha sempre ragione, a prescindere. I suoi comportamenti vanno difesi ad oltranza, anche se oggettivamente indifendibili, quasi fosse in discussione l'onore della famiglia. Il maestro, il professore è sopportato a malapena, guardato dall'alto in basso; non capisce mai, sbaglia sempre atteggiamento, spaventa, non è mai preparato, mai disponibile...
Scusate il disturbo.
Il tale Luca ha detto una cosa molto irrispettosa, ovviamente, e che non sta nè in cielo nè in terra.
RispondiEliminaPerò, avoglia a dire "sarbbe meglio spalmare i giorni di vacanza" o cose così, gli insegnanti sono dipendenti pubblici, e i normali dipendenti pubblici hanno 30 (trenta) giorni di ferie, gli insegnanti cinquanta, secondo il tuo calcolo.
Che poi è parziale: un insegnante fa vacanze molto più lunghe a Natale, Pasqua, e cose così.
Francesco, non bisogna confondere le ferie con i giorni di "vacanza".
RispondiEliminaOvvero, non è che ad ogni giorno in cui le scuole sono chiuse corrisponda un giorno libero per il personale scolastico (sia esso insegnante o non insegnante)...
Non ho sottomani i CCNL, ma credo che le ferie loro corrispondano alle ferie degli altri dipendenti pubblici.
Dire che il personale scolastico è in ferie ogni volta che la scuola è chiusa è come dire che un dipendente dell'anagrafe lavora solo negli orari di apertura al pubblico dello sportello.
(Oh, Sco', io per l'attività di avvocato della difesa voglio essere retribuita a parte... ;) )
(sottomano, ovcors)
RispondiEliminaSì, leggevo una volta (forse proprio su questo blog?), che se c'è da, chessò, rimettere a posto la biblioteca possono chiamare l'insegnante senza pagare lo straordinario.
RispondiEliminaMa sono casi limite, molto molto al limite, ammettiamolo.
Badando alla sostanza, vi sentite di equiparare i giorni fuori dal lavoro di un insegnante con quelli di un altro dipendente pubblico?