Quando ero piccolo, bambino di tre o quattro anni, aspettavo la domenica mattina, perché mio padre mi portava tutte le domeniche mattina alla stazione, a veder partire i treni. Non mi ricordo che cosa mi piacesse e perché mi piacessero i treni che partivano, così bambino; ma mi ricordo la mano di mio padre che stringeva forte la mia, quando il treno cominciava a muoversi e sferragliare. E mi ricordo quel misto di paura e desiderio che quel movimento mi metteva nel corpo, e il vibrare della mia mano stretta a quella di mio padre.
Poi lui comprava il giornale e le sigarette e tornavamo a casa. E a casa io avevo altri treni: quello elettrico, con cui non potevo mai giocare da solo; e quello di legno, che portavo avanti e indietro per le stanze del mio appartamento, facendomi sgridare da mia madre.
Passati gli anni, ho cominciato a pensare che da bambino mi piacevano i treni perché già allora intravvedevo la possibilità di andare via, l'altrove.
Perché già da piccolo pensavo con ansia alla fuga. E infatti, una domenica sera di quando avevo 19 anni e non ero più bambino (o forse pensavo soltanto di non esserlo più), ho preso un treno per Milano con la sensazione di partire finalmente io, di andarmene via per sempre, di lasciarmi indietro quella città in cui ero nato e che ormai odiavo; e di lasciarmi indietro soprattutto mio padre, a cui, in quei giorni, non avrei per nessuna ragione stretto nessuna mano.
Poi Milano fu Milano, e cioè soltanto una città più grande, da cui andare via dieci anni dopo, anche se in auto, con lo stesso schifo nella testa; e la fuga non fu una fuga, perché a casa ci tornai presto; anche se ci misi degli anni per imparare di nuovo a stringere la mano a mio padre.
Ma i treni restarono i treni, da sentir passare nella violenza degli spostamenti d'aria, nell'urto del metallo che pare portarsi via le cose del presente e del passato. E così ho sempre pensato che continuassero a piacermi i treni per quello stesso motivo di quando ero bambino (non si cambia poi tanto, dicono i proverbi): perché nel treno che parte c'è l'eventualità, l'ignoto, il luogo che non si è mai visto, il luogo in cui tutto potrà ripartire, il luogo che attende di essere finalmente trovato e amato, il luogo in cui essere rabbiosamente trasportati.
Oggi non so. Oggi il treno è passaggio a livello che sbarra la strada quando ho fretta e vorrei tornare a casa, dopo il lavoro; il treno è frecciarossa, prenotazioni online, attesa della prossima stazione per fare due tiri di sigaretta prima che le porte si richiudano. Oggi non c'è più fuga possibile né altrove: ma la sensazione che ogni luogo sia lo stesso luogo, e che muoversi sia un atto che non vale la fatica del pensarlo.
Ma nonostante tutto, ogni tanto, mi fermo ancora a guardar passare i treni, come quel bambino che ero e che non sapeva che sarebbe diventato me. E vorrei, ogni tanto, un trenino elettrico anche in casa mia, per poterci giocare da solo, guardarlo muoversi nel suoi percorso circolare, incantato dalle rotaie e dal lieve sordo rumore del suo girare. Perché è come se avessi solo ora capito che non è la gioia del partire, quella che mi ha sempre dato il treno; ma piuttosto quella del restare lì, mentre gli altri se ne andavano. Come se avessi capito, dopo anni di viaggi inutili, andate e ritorni sempre uguali, che era la mano che restava lì, e non i treni che se ne andavano, il motivo per cui la domenica mattina mi piaceva andare alla stazione, a vedere e sentire, ad occhi chiusi, i treni che si muovevano. La mano grande che stringeva la mia, più piccola, che sarebbe presto cresciuta e andata via.
Hemingway scrive in "Fiesta" qualcosa come: "Io ci ho provato. E' inutile cambiare città per sperare di stare meglio." Forse non è la prima volta che cito questa frase, ma mi piace molto, forse perché la vivo in prima persona.
RispondiEliminaHo cambiato città parecchie volte. Ho intrapreso l'ultimo viaggio per lasciarmi alle spalle situazioni spiacevoli. Ma alla fine credo che si scambino problemi vecchi con nuovi. Restando mi sarei sempre chiesto: "Perché non l'ho fatto?".
Adesso però mi domando: "Perché l'ho fatto?"
Bel post, Scorfano. Non so, certe volte mi sembra che abbiamo un po' di cose in comune ;^)
Mi sembra di cogliere parecchia malinconia nel post, e anche aria di cambiamenti di ogni genere: tu che cresci, che cambi idea sul "senso" del treno, sullo stare e sul partire... Bello, bello! Ci sta, si cresce e si cambia: mica siamo Peter Pan (anche se a volte vorremmo esserlo!)
RispondiEliminaIo, ad esempio, vorrei essere ancora bambino perchè anch'io quand'ero al mare, a 5 anni, mi facevo portare alla stazione a vedere i treni, e quando passavano cominciavo a saltare e ad urlare come un pazzo... E quando li vedevo dalla spiaggia interrompevo qualsiasi cosa per mettermi a contare i vagoni (ne avrò contati a migliaia, ho fatto questa cosa fino a 18 anni!). E ogni tanto, quando vedo un treno che non sia in stazione a Novara o Milano, mi piacerebbe ancora guardarlo come quando ero piccolo e contare i vagoni ma, purtroppo, non mi viene... E la cosa mi dispiace! Ma si cresce e, anche senza volerlo, si cambia!
Grande!
RispondiEliminaMio padre (con il quale peraltro solo ora comincio ad avere un rapporto men che pessimo e mi fa ancora imbizzarrire, talvolta), tra le poche cose buone che ha fatto durante la mia infanzia, faceva questa stessa cosa.
RispondiEliminaPoi mi ri-raccontava la giornata appena trascorsa facendo finta che fosse capitata a qualcun altro, ad un ragazzo di nome Crodegango.
Uqbal
Ah, il treno di cui hai messo l'immagine credo che sia cinese.
RispondiEliminaA me continua a piacere tutto quello che si muove su rotaia.
Non so cosa mi affascini. Non è l'idea del partire, ché l'immagine di un pullman che lascia la stazione e si perde nel traffico e nella confusione del mondo mi piace di più.
Mi piace forse l'idea di una rete percorribile in tutti i sensi ed in tutti i modi, tenendo insieme luoghi che altrimenti non si incontrerebbero mai. Forse è per questo che mi piacciono le mappe delle metropolitane.
Uqbal
Sei sempre un maestro, Scorfano. In tutti i sensi.
RispondiEliminaMi tocca particolarmente questo post, dopo aver fatto la Transiberiana quest'estate.
Grazie.
@Speaker
RispondiEliminaE' che si cambia città ma si finisce per portarsi dietro l'unica cosa che davvero ci dà fastidio: noi stessi, temo.
@Uqbal
RispondiEliminaAnch'io amo molto le mappe delle metropolitane e tutte le carte stradali. Credo sia un modo di guardare il mondo.
@Mr Tambourine
RispondiEliminaBe', la Transiberiana è davvero più di quello che, anche da bambino, mi sarei potuto immaginare...
Ma non è che i treni piaccioni a tutti?
RispondiEliminaSoprattutto da bambini :-)
O forse è una cosa più da maschi: mio figlio adorava i treni quando ancora non sapeva parlare, e si incantava a guardarli.
Pensa che un paio di ragazzi della mia ex quinta quest'estate sono andati in giro con l'Inter-rail...
Infatti, i treni piacciono a tutti. Il post si chiedeva il perché di questo amore. Poi mi sono un po' perso, lo ammetto...
RispondiEliminaCiao! Non so se a me i treni "piacciono" nel vero senso della parola... Forse si confanno soltanto a un mio modo di essere e di sentire o a dei ricordi...
RispondiEliminaAltrimenti non mi spiego il perché non mi piacciano i treni superveloci di oggi.
ohana
Nel mio totale fanatismo, io amo anche quelli...
RispondiEliminaAdoro questo blog e la semplice leggerezza con cui raccontate i pensieri dei cuori sensibili...
RispondiEliminaForse perché sono donna, a me son sempre piaciuti di più gli aerei, mi affascinano...
RispondiEliminaMentre mio marito entra in ansia e "tontogna" a partire almeno dalla settimana prima di partire (è giocoforza che andiamo in Italia almeno una volta all'anno, a vedere i figli), per me pur con la stanchezza del lungo volo e la preoccupazione di perdere la coincidenza a Madrid è sempre un viaggio piacevole, soprattutto quando ho tempo di vedere atterrare qualche aereo. Quando abitavamo vicino a Linate andavamo di tanto in tanto a vedere qualche atterraggio, con l'aereo che ti passa sulla testa che sembra quasi di sfiorarlo...
Anche a me piacciono i treni, anche se viaggio davvero poco e, da bambina, mio padre non mi portava lì.L'amore per i treni l'ho scoperto da sola e di essi, come delle stazioni, non avevo paura. Mi sentivo libera dentro una stazione, il treno che partiva era una possibilità, che poteva essere mia oppure no.Quando oso, i treni mi riportano la stessa emozione. Nel tuo post, però, quel che mi colpisce è la figura di tuo padre, scusa, non il tuo amore per i treni. Voglio dire che non ho capito se tuo padre ti portava alla stazione perché a TE piacevano i treni oppure ( ed è quello che penso) piacevano a LUI. Allora ci sarebbe da chiedersi cosa significava per lui quell'accompagnarti alla stazione. Mi sa che mi sono incartata...
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