domenica 11 settembre 2011

Poesie

del Disagiato

La poesia non gode di ottima salute. Anzi, vedo di dirla meglio questa cosa: la poesia non vende. Nella mia libreria, il reparto dedicato ai versi si restringe sempre di più e i titoli residui, quelli che insistono a rimanere seduti sugli scaffali, sono più o meno sempre gli stessi: Montale perché i professori danno da leggere Montale agli alunni, Neruda, Hikmet e Lorca perché, con tutto rispetto, questi sono i poeti che leggono anche quelli che solitamente non leggono, Bukowski perché, insomma, “dai, Bukowski è troppo forte e beveva un sacco” e poi Alda Merini perché…perché… perché non lo so. Insomma, questi sono i poeti salvati, quelli che dicono addio ai sommersi che fanno ritorno nei magazzini polverosi. Magari in un’altra libreria le cose vanno in modo diverso, magari il centro commerciale attira una clientela tutta particolare, però voglio pensare che l’andazzo sia questo e cioè che di poesia se ne legga davvero poca. Io stesso ne leggo poco. Ho molti amici, lettori forti come si suol dire, che ne leggono poca o non più come una volta.

La clientela è attirata dalla prosa, questa è la mia conclusione. La clientela, il signore o la signora che vuole leggere, è attirata da tutto ciò che fila liscio, che non si inceppa, che non ferma l’occhio durante la lettura. Sono anche dell’idea che i poeti che rimangono in libreria sono i poeti comprensibili, intuibili, immediati. Bukowski, appunto. Neruda e Hikmet, ad esempio. Sono poeti consumabili, che si possono leggere durante la pausa pranzo o che l’amata (o l’amato) alla quale si dedica la poesia capisce al volo e senza troppi sforzi. Sei la mia ebrezza / la mia ebrezza non è passata / non posso farmela passare / non voglio farmela passare. Tre versi di Hikmet (che, ripeto, è il poeta che va per la maggiore) che non hanno bisogno di postille o noticine; tre versi che parlano chiaro a una donna o a un uomo. Allora? Perché si legge così poca poesia? Una risposta, quindi, ho provata già a darla: si legge poca poesia perché la poesia non è così immediata, televisiva e intuibile, perché, al contrario dei vendutissimi libri gialli, non c’è una trama, una svolta, un colpevole. Forse è questo. Quanta poesia si scrive, invece? 


Non lo so. Io ne ho scritta tanta (ho una decina di diari gonfi di poesie) e so di amici e conoscenti che ne hanno scritta tanta, in passato. Poi abbiamo, forse, smesso per pudore o per pigrizia, chi lo sa. Sembra quasi che lo scrivere poesia abbia a che fare con l’ammissione della propria sofferenza e o di un proprio disagio. Cose troppo complicate da svelare, chissà perché. Tempo fa ho incontrato il fratello di una mia cara amica che so essere scrittore di poesie. L’ho incontrato con la sua ragazza, in libreria, e quando gli ho detto in modo innocente “tua sorella mi ha detto che scrivi poesie”, lui è diventato rosso e ha negato assolutamente. “Chi, io?”, mi ha detto lui. “Me l’ha detto tua sorella che scrivi poesie”, “No, non è vero”, ha ribadito lui. Quando ho incontrato la sorella, tempo dopo, le ho raccontato di suo fratello e della mia domanda indiscreta e lei mi ha dato questa risposta: “Ti ha detto che non scrive poesie perché c’era lì la sua ragazza. In quel momento si vergognava”.

E allora io ho sorriso ripensando a quanto mi vergognerei io a farvi leggere le mie brutte poesie, a quanto sarei imbarazzato a svelarvi i miei sentimenti in questo modo, tramite versi e rime e parole che non si usano tutti i giorni in negozio, con i vicini di casa, con gli amici e i nemici. Per il semplice fatto che scrivere poesie è un po’ ammettere che le cose non vanno bene, che non tutto fila liscio e che non siamo poi così sereni come sembra. Ci si vergogna, ecco. E la vergogna mette parecchio in difficoltà e la difficoltà ha bisogno di parole, di termini e la difficoltà va analizzata, approfondita, discussa e ammessa. E a fare tutte queste cose si perde un sacco di tempo prezioso e si diventa un po’ brutti in faccia (poi la smetto con il mito del poeta brutto e gobbo) e quando si è brutti si è anche un po’ impresentabili e se si è impresentabili la gente ci sta distante e se la gente ci sta distante diventiamo improduttivi e infrequentabili.

Allora, forse, il settore Poesia della mia libreria (di tutte le librerie), sta dimagrendo anche perché ci vergogniamo in continuazione e perché siamo diventati un po’ complicati. Leggendo una poesia, a differenza dei vendutissimi libri gialli, abbiamo paura di scoprire che il colpevole siamo noi. Che il delitto l’abbiamo commesso noi. E questo è bene non farlo sapere in giro.

12 commenti:

  1. O forse anche perché i generi vanno a periodi oppure perché molta poesia è di un intellettualismo difficile da seguire...

    Uqbal

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  2. Hikmet integra versi lineari, "ramazzottiani" (e scusatemi se scomodo Eros), con un nome esotico. E questo fa vendere.

    Pero`, Disgiato, il web e` pieno di poesie che avrebbero potuto tranquillamente rimanere chiuse nei cassetti. In tema ti segnalo questa iniziativa abbastanza in vista, a Firenze.

    http://mep.netsons.org/

    Il mio giudizio: non so.

    variabile

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  3. Infatti è quello che cerco di sostenere io: si scrivono tante poesie e se ne leggono poche.

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  4. se ne leggono poche? non so
    la poesia, e sono un profano, la lego alla lentezza, al gusto di far decantare i versi e di filtrare con calma per vedere quale emozioni mi restano.

    Oggi siamo drogati di velocita` e di attualismo.
    Un argomento messo in piazza oggi domani e` gia` vecchio (vale anche per i blog con i loro aggiornamenti frenetici).

    forse per i classici il web ha un po'ammazzato le vendite.

    variabile

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  5. Forse pechè scrivere è terapeutico.

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  6. Ottimo post, da aggiungere alla mia comprensione sul perché la poesia non va più per la maggiore - ma vi è mai andata? Il resto della riflessione sul mio blog e grazie Disagiato dello spunto.

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  7. La poesia una volta aveva fini e ruoli differenti da quelli di oggi e fare un confronto mi pare cosa audace. Grazie a, te.

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  8. A quel che mi risulta, i poeti classici "blasonati" godono di ottima salute (lirici greci, Catullo, Shakespeare -teatro ma anche sonetti- poeti maledetti di inizio novecento).

    Va malissimo la poesia contemporanea.

    Amen.

    Penserei piuttosto a cercare di capire dov'è oggi la bellezza. Io la vedrei in molta buona narrativa, nel fumetto, in parte del cinema e nei momenti migliori della fiction televisiva (non italiana). C'è molto di buono anche nel cantautorato (oggi meno di ieri? Non saprei, non conosco abbastanza, e per me la perdita di De André è rimasta ancora irreparata).

    E ovviamente anche nella poesia. A me i versi di Benni piacciono, per dire.

    Ma forse sulla poesia c'è un fraintendimento di fondo, che spiega la sua anoressia. Oggi la poesia è ipso facto lirica. La si intende automaticamente come rarefatta e delicata, ma profonda e intimamente vera, espressione di un io sepolto.

    Beh, la poesia, come tutta l'arte, non è questo. La poesia è un consumato artigianato che lascia l'illusione di questa intimità.

    Oggi invece l'autore di poesia, non abbastanza esperto per capirlo, finisce per essere anche l'oggetto della sua poesia, e il corto circuito è stucchevole.

    I poeti veri sono cinici manipolatori, anche quando non credono di esserlo. Il fine non è il sentimento, ma una bella poesia, e sono due cose diverse.

    Dopotutto: "I poeti, ogni volta che parlano, è una truffa".

    Uqbal

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  9. Non si legge poesia perchè non c'è alcuna poesia nella vita delle persone. Quel minimo bisogno di "spessore" ( o di vita interiore) è ampiamente soddisfatto dalle telenovelas o dalle canzoni di Vasco Rossi. Per i più bisognosi di "coccole" consolatorie poi ci sono Anne Tyler e roba del genere (o magari Alice Munro ma qui siamo a livello di casi umani...)

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  10. La stragrande maggioranza dei "poeti" moderni scrive in modo poco comprensibile, cioè poco poetico. I grandi e veri poeti sono comprensibili ed emozionano. Montale si vende anche e soprattutto perchè è comprensibile e quindi riesce ad emozionare.
    ( Una poetessa italiana che inviterei a leggere, perchè comprensibile ed emozionante è V. Lamarque).
    Credo che tutto o quasi tutto il resto che in merito si puà dire è vaniloquio,

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  11. Vedo che si cade ancora nell'errore di voler definire la poesia e darle dei limiti ben precisi.
    Manipolatori? De Gregori citato alla "ipse dixit"? Comprensibilità e immediatezza?

    Vedo che il tono è piuttosto forte e non ho perso un attimo ad adeguarmi, mi sta bene.

    Non scomodiamo De André e la sua (eccessiva?) semplicità e facilità di comprensione. A me vengono in mente i Cantores Euphorionis e Rimbaud e chiunque abbia portato una ventata di oscurità e innovazione nel panorama letterario.
    Si concedesse meno tempo al giudicare e di più all'assaporare saremmo tutti peggiori giudici e/ma individui appagati.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)