venerdì 2 settembre 2011

Stanze vuote

del Disagiato

Ieri pomeriggio sono andato a casa dei miei genitori per portare il cane a fare una passeggiata. Me lo hanno chiesto loro un paio di giorni fa. Stavo cenando e a un certo punto il telefono si è messo a squillare. Papà, diceva lo schermo del telefono. “Io e la mamma staremo fuori casa per un paio di giorni. Domani pomeriggio puoi venire qui da noi per portare a spasso il cane?”, mi ha chiesto mio padre. Certo che posso. Allora ieri pomeriggio ho finito il mio turno in libreria, sono salito in macchina, ho percorso una decina di chilometri, ho parcheggiato e ho preso da una tasca della portiera il mazzo di chiavi di casa loro, un mazzo di scorta che tengo sempre in macchina (“non si sa mai”, mi ha detto mio padre qualche mese fa). Poi ho aperto il portone del condomino, ho fatto le scale, ho aperto la porta di casa e sono entrato. 

La casa era in ordine, le tapparelle abbassate a metà e la stanza d’ingresso, la sala, arieggiata, visto che i miei genitori hanno il vizio di lasciare le finestre spalancate. Il cane mi si è avvicinato e poi è andato a prendere una pallina da tennis da portare fuori con noi, al parco, per giocare un po’. Da quando si sono trasferiti lì era la prima volta, pensavo in quel momento, che vedevo l’appartamento dei miei genitori senza i miei genitori. Poi sono andato in cucina e mi sono riempito un bicchiere di acqua. E mentre bevevo pensavo anche che era la prima volta che stavo in quella cucina senza mia madre. Poi sono andato nello studio di mio padre, ho guardato il suo disordine, le sue penne e la sua sedia. La sedia di mio padre non l’ho guardata, in realtà, ma l’ho fissata. Per qualche secondo, in piedi, rigido e con il fiato imprigionato in gola. Uscito dallo studio sono andato nella loro camera da letto. 


Ho guardato la fotografia sopra il comodino di mia madre, una fotografia di me e lei abbracciati, a Capri, quando io avevo otto o nove anni. Poi ho guardato la fotografia sopra il comodino di mio padre, lui seduto sull’erba con alla sinistra me e alla destra mio fratello. Ho preso in mano una fotografia sopra un cassettone: mio padre e mia madre abbracciati a Venezia. Li ho fissati in mezzo a un grappolo di piccioni, spettinati, sorridenti. Poi ho posato la fotografia, sono tornato in sala, dal cane, e siamo usciti.

Ho fatto un allenamento, ieri. Mi sono allenato a vedere quella casa vuota, quella sedia vuota, quella cucina vuota e quella camera da letto vuota. Perché presto quella casa sarà irrimediabilmente vuota. La mia vita è in attesa di una telefonata in cui si dirà “non ce l’ha fatta”, “è finita” o cose simili. E dopo quella telefonata ne attenderò un’altra. L'ultima di quel genere. 

Ecco, pensavo a queste cose mentre lanciavo con rabbia una pallina da tennis in mezzo a un prato. 



19 commenti:

  1. Provo anche io ad allenarmi così, a volte.
    Forse in quella circostanza usciremo dal mondo dei puffi.
    variabile

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  2. (Io però se fossi in tuo padre farei qualche scongiuro). Fatti dare un consiglio da uno che ci è già passato: tutto l'allenamento del mondo non ti servirà a niente in quel momento, quindi lascia perdere, pensa ad altro.

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  3. quoto Knulp. e avrei altre cose da dire ma mi viene un groppo in gola...

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  4. A me manca una sola telefonata. E poi, penso spesso, non avrò più "radici".

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  5. mah, le radici sono lì... è il cordone ombelicale che si taglia definitivamente...

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  6. Dipende cosa intendiamo per radici. Comunque, nel bene e nel male, io tengo i miei genitori sempre dentro di me, come ho scritto qui.

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  7. epperò D. ...
    come Lucia mi viene un groppo.
    Mi trovo, mi ritrovo ...
    come spesso in ciò che scrivi. A ragione mi è subito piaciuto leggerti! :-)
    g

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  8. Quoto anche io knulp, non ci sono ancora passato ma l'ineluttabile è così. Puoi fare tutti gli allenamenti che vuoi, è una partita persa in partenza (non credo di essere mai stato così retorico...)

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  9. @SpeakerMuto
    Il tuo post lo trovo bellissimo, davvero.

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  10. @plus1gmt
    Parlare della morte è già di per se retorico. Questo post, infatti, voleva essere retorico.

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  11. Grazie, Disagiato, sei molto gentile.

    E il tuo post mi sembra tutt'altro che retorico, inteso come "privo di validi contenuti" (definizione).

    E poi lo penso pure io, per cui... ;^)

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  12. Il mio post (che il tuo è di altro genere) voleva essere immediatamente efficace. Spesso la retorica è utile per questo motivo.

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  13. Non la penso come altri che hanno commentato, nel senso che dico che l'allenamento ha una sua logica difensiva che potrà tornare utile. Il tuo breve ma diretto pezzo mi ha fatto pensare a qualche scrittore statunitense. Gli americani son bravi a descrivere senza fronzoli ciò che spesso gli scrittori italiani nemmeno osano pensare, figuriamoci a scrivere!

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  14. Magari ti ha fatto venire in mente un racconto di Raymond Carver, in cui il personaggio si trova da solo in casa di sconosciuti e si mette a frugare per cassetti e armadi. A me è venuto in mente questo racconto mentre scrivevo il post. Il racconto è stato preso anche da Altman per il suo film "America oggi".

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  15. Sì, ecco, il film di Altman mi era piaciuto molto. Di Carver non ricordo il racconto a cui ti riferisci, dovrò rileggere. Io pensavo anche a Zadoorian nel suo "Second hand".

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  16. Non lo conosco, ma lo prendo come un suggerimento. Grazie.

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  17. se vuoi capire il groppo in gola...
    http://weareallinthegutter.splinder.com/post/15355636/il-vecchio-e-il-bambino
    giusto per condividere. se no lascia perdere.

    (sapevo di averne scritto. è nel vecchio blog, nel quale ci sono molte più paturnie. l'ho usato per liberarmi di un po' di magoni. in questo post e in quello dopo parlo di loro due)

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  18. Quando prima dicevi che avresti voluto dire di più, io non ho insisto per delicatezza. Ma delicato, invece, è quello che hai scritto tu.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)