venerdì 30 settembre 2011

Il mio numero

del Disagiato

Siccome qualche settimana fa mi sono accorto di aver smarrito la tessera sanitaria, ieri sono andato all’Asl di Iseo per denunciare lo smarrimento della tessera e, naturalmente, per rifarla. Ieri allora mi sono messo in macchina, ho percorso la manciata di chilometri che mi separano da Iseo, sono entrato nell’edificio, ho preso il bigliettino con il mio numero e mi sono seduto. Poi mi sono alzato, poi mi sono seduto di nuovo e poi mi sono alzato ancora. Non era tanto l’attesa a inquietarmi, ma più che altro l’attesa con quella cinquantina di persone che stavano con me nel corridoio. C’era chi tossiva, c’era chi si lamentava, c’era chi blaterava e c’era chi fissava il pavimento o il soffitto. “Non è bello per nessuno stare qui”, ho pensato, “ma ci tocca”.

A un certo punto un signore è entrato spedito in un ufficio dove stava una donna (una segretaria, presumo) ed è scoppiato a piangere. Lei si è avvicinata, gli ha stretto un braccio e poi, tra le lacrime, il signore ha cominciato a raccontare di qualcuno che il giorno prima era morto, del fatto che questa persona avesse dei figli, della vita ingrata e lei allora gli ha detto che tutto ciò era terribile e poi sono rimasti muti e dopo lui ha ripreso a singhiozzare, in piedi, appoggiandosi allo schienale di una sedia in legno e con la faccia rivolta verso il basso. Io, triste e pietrificato, li guardavo e guardavo pure tutta quell’umanità sofferente in un corridoio ad aspettare il proprio numero. Tutto questo ieri mattina, alle undici circa. Un uomo che piange disperato in un ufficio e una fila di persone vulnerabili.

Quando il signore ha ripreso a lamentarsi, ho notato che il suo viso, il suo profilo, era incorniciato da una finestra aperta. E la finestra era toccata da un albero. Ecco, siccome la pianta era mossa dal vento, ogni tanto nel loro ondeggiare i rami lasciavano intravedere il blu del lago, l’azzurro del cielo. Visto questo, quasi di corsa, ho fatte le scale che mi separavano dall’uscita, mi sono allontanato dall’edificio, ho sorpassato un giardinetto, poi ho attraversato la strada e infine mi sono messo davanti al lago, attaccato con le mani ben strette alla ringhiera. Ho guardato l’azzurro, il cielo terso, le increspature dell'acqua, un battello là in fondo e poi ho riempito i polmoni di aria, di tantissima aria e poi ho buttato fuori tutto pensando che era bello essere lì, che era bello essere vivi, essere aggrappati a una ringhiera davanti a un lago come quello.

Sono rimasto immobile ancora un minuto e poi me ne sono ritornato dentro l’edificio. Mancavano ancora cinque numeri prima del mio. Mi sono seduto.

1 commento:

  1. Accade così: ci rendiamo conto di una cosa che abbiamo con noi da sempre soltanto quando ci viene sottratta, ci viene tolta, quando ce ne dobbiamo separare.

    Oppure quando come nel caso della storia ci possiamo specchiare in qualche situazione toccante.

    Ci accorgiamo della buona salute quando per un pò ci viene sottratta, ci accorgiamo delle cose belle quando per un pò conosciamo anche quelle meno belle.

    Apprezziamo la bellezza della vita quando guardiamo da vicino la sua mancanza.

    Come potevamo apprezzare la bontà della luce se non ci fosse stata anche la tenebra?

    Forse un pò come anche la mancanza del bene.

    Marco

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)