I ragazzi di quarta mi guardano come mai mi avevano guardato prima: non male, non con odio, però molto perplessi, questo sì, dubbiosi e incerti, e forse anche un po' delusi. Io non capisco subito perché, quale possa essere il motivo, cosa io abbia detto di tanto grave per provocare quell'unanimità di sguardi delusi... Ma poi mi ricostruisco mentalmente la storia e forse capisco: e forse mi fa anche piacere.
È successo un quarto d'ora fa: ero appena entrato in classe e hanno bussato alla porta. Quando ho detto «Avanti», sono comparsi sei studenti, sei facce di ragazzi e di ragazze ventenni appena usciti dal liceo, che venivano a salutare il loro vecchio professore di italiano e latino, che ero io. Li ho fatti entrare, naturalmente: non li vedevo da giugno, e in realtà non erano più miei alunni già da tre anni, visto che lo sono stati soltanto nel primo biennio. Poi, negli anni successivi, solo qualche parola nei corridoi, qualche incontro nel cortile, prima di entrare o mentre si usciva, ma mai più nemmeno una lezione.
Quando i sei ragazzi entrano, comincio a chiedere loro cosa fanno, a quale facoltà si sono iscritti, se andranno a vivere lontano o se staranno a casa loro.
Cerco di essere gentile ma anche simpatico; cerco di coinvolgere quelli di quarta ancora seduti al loro posto, che guardano un po' curiosi un po' felici che qualche minuto di lezione se ne vada via così; cerco di fare qualche battuta, perché l'atmosfera sia piacevole e rilassata; cerco di fare il mio lavoro, insomma.
Ma dopo che ho chiesto loro cosa studiano all'università, non ho obiettivamente più nient'altro da chiedere; domando qualcosa su fidanzati e fidanzate, ma è ovvio che così, davanti a tutti, le risposte sono monosillabiche; dico loro di portare i miei saluti ai genitori, ma è naturale che a loro non freghi niente di questa gentilezza. Devo farli uscire, insomma, ma non voglio essere scortese; mi fa molto piacere vederli, davvero, ma loro non mi dicono niente, io non so cosa dire loro, insomma, tutto è inutilmente imbarazzante. Finché, alla fine, se ne vanno.
E io mi siedo. È andata bene, nel complesso: sono stato piacevole e divertente. Tiro un sospiro. Finisco di compilare il registro e poi guardo i ragazzi di quarta. Ed è a quel punto che dico la frase; ed è a quel punto che loro cominciano a guardarmi male; ed è a quel punto che io li vedo con uno sguardo che non avevo mai visto prima. E la frase che dico è questa: «Ragazzi, vi va se facciamo un patto? Quando avrete finito la quinta, e avrete passato l'esame di maturità e vi sarete iscritti all'università, mi promettete che non verrete mai a trovarmi? (e sorrido) Mi promettete che ci basterà ricordarci gli uni dell'altro e viceversa, senza che voi veniate qui a non dirmi niente? Mi promettete che ci legherà quel po' di affetto silenzioso che non ha bisogno di essere dimostrato con questo strano pellegrinaggio settembrino? Me lo promettete?»
Ma loro non mi promettono niente, anzi.
Loro mi guardano come mai mi avevano guardato prima: non male, non con odio, però molto perplessi, questo sì; dubbiosi e incerti, e forse anche un po' delusi. Anzi, sicuramente molto delusi. E io so che devo semplicemente cominciare la lezione, che tutto passerà alla svelta, che le loro facce si abbasseranno sul testo di Dante o sul quaderno degli appunti, che ho detto (forse) una cosa sbagliata, ma che se la dimenticheranno presto. E comincio la lezione, infatti, che poi finisce e si torna tutti a casa e va benissimo così.
Ma, tornando a casa, mi chiedo il perché di quegli sguardi delusi: e mi viene in mente che forse, per una volta, hanno visto (i ragazzi di quarta) i fili del burattino: ed è stato questo a lasciarli interdetti. Hanno visto il prof gentile e simpatico e affettuoso e anche divertente (come cerca sempre di essere), ma subito dopo hanno capito che stava lavorando, che era un mestiere, che in realtà stava pensando tutt'altro. Che stava infatti pensando: «Ma perché vengono a trovarmi, se non hanno niente da dirmi?» E quello che hanno visto non gli è piaciuto: perché«lavoro» è per loro ancora una brutta parola; perché «mestiere» significa che non è spontaneo, e se non è spontaneo allora, a loro, non piace.
E vorrei quindi dir loro che niente è spontaneo e che tutto è mestiere: anche le battute a metà di una lezione, anche l'osservazione buttata lì solo per farli un po' divertire, anche lo sguardo arrabbiato quando si mettono a parlare con il compagno di banco: tutto è mestiere, tutto è lavoro, e tutto, proprio per questo, vale molto di più.
Ma non glielo dirò, in realtà. Un po' perché forse non capirebbero; un po' perché capirebbero benissimo, visto che la scuola è anche per loro un «lavoro»; un po' perché non è del tutto vero. E forse non è nemmeno vero che loro abbiano visto i fili del burattino; forse è soltanto il rito, a cui non vogliono rinunciare. Il pensiero che un giorno potranno venire qui, da diplomati, a scandire il nome della facoltà a cui si sono iscritti e a chiedermi come sono le mie nuove classi (che sono come quelle vecchie, ogni anno).
È un rito, non significa altro, non significa né affetto né gratitudine né avere qualcosa da dirsi: solo l'ultimo atto di una lunga teoria di giorni che stiamo passando lavorando insieme. A volte ci sembra una cerimonia del tutto inutile, una liturgia priva di senso; ma sotto sotto ci piace che sia così: perché i riti ci danno sicurezza, ci fanno sentire parte di un tutto che non cambia, ruote di un ingranaggio oliato, ci fanno sentire a posto in un mondo in cui le cose funzionano come devono funzionare. A volte ci stano strette, le liturgie, ma poi, alla fin fine, ne abbiamo bisogno.
E quindi anche loro, tra due anni, compiranno quell'ultimo rito e poi se ne andranno e non si faranno più rivedere. E ci tengono a farlo; e non hanno accettato di promettermi che non lo faranno. E forse, se ci penso bene, gliene sono anche un po' grato, di sapere che li rivedrò ancora per quella volta.
Premetto che non so (e non posso sapere) come ci si può sentire nei tuoi panni, ma sono rimasto esterrefatto dall'insensibilità ammantata da un velo di cinismo di queste tue affermazioni.
RispondiEliminaNon posso biasimare i tuoi ragazzi di quarta.
Stavolta mi sento a disagio io.
Deluso.
secondo me stai sopravvalutando i tuoi studenti (di quarta).
RispondiElimina(epperò noto che l'hai postato nel tuo giorno libero, il che potrebbe voler significare che vuoi monitorare i commenti - nostri, non degli studenti - al volo...)
RispondiEliminaL'esimio matematico, secondo me, ci ha ragione.
RispondiEliminaSecondo me hai sbagliato a dirgli quella frase... Perchè magari per qualcuno è un qualcosa di obbligato, ma magari qualcuno ha davvero piacere a tornare a trovarti e fare due chiacchiere al volo... Io fossi un alunno che ti trova simpatico ci rimarrei un po' male dalla tua richiesta!
RispondiEliminaUh, ma allora sono cinici anche i prof?
RispondiEliminaEpperò io ho detto e scritto a chiarissime lettere: "quel po' di affetto silenzioso che non ha bisogno di essere dimostrato con questo strano pellegrinaggio settembrino"... E anche il finale era fin troppo sentimentale, altro che cinismo...
RispondiEliminaMi sa che alcuni, anche qui, sono un po' troppo attaccati ai riti... ;)
(.mau. magari avrebbe avuto ragione... se non che la mia ragazza mi ha costretto ad andare a fare la spesa e il tutto è stato vanificato)
Caro prof,
RispondiEliminanon potrei credere senza rimanere incredulo che la stragrande maggioranza dei tuoi alunni amino questa liturgia del venire a trovarti in classe a Settembre.
Va bene che una percentuale dei tuoi ex-studenti ti vengano a trovare, mi sembra una cosa più che normale e fisiologica, ma potresti essere maggiormente dettagliato? Che percentuale dei tuoi ex-studenti ti verrebbe a trovare? Più della metà? La stragrande maggioranza?
Sicuro che rimane sempre il legame invisibile di affetto e di simpatia che lega anche a distanza (mi fa ricordare il volumetto di Richard Bach "Nessun luogo è lontano") ma è anche vero che il piacere della nuova stretta di mano, della conferma di "avercela fatta", del rivedersi nei volti degli studenti più giovani ancora alle prese con le interrogazioni ed i compiti in classe lascia un sapore di "volevo da sempre sapere il sapore che avrebbe avuto"!
I riti, come tutti i riti, sono seguiti da alcuni ma non da tutti. E se non vado errando (sbagliando) mi sembra che gli affezionati ai riti vadano gradualmente diminuendo.
Almeno spero.
Marco
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RispondiElimina@Marco
RispondiEliminaNOn so, onestamente, quale percentuale sia. Direi la stragrande maggioranza viene a scuola. Poi ci sono alcuni, pochi, che mi chiamano e vengono a casa mia: ma quello è un caso tutto diverso, che spesso si trasforma, con il tempo, in amicizia.
POi, sul piacere che spieghi tu degli ex studenti, immagino che tu abbia ragione: il piacere della nuova stretta di mano, della conferma di "avercela fatta", del rivedersi nei volti degli studenti più giovani ancora alle prese con le interrogazioni ed i compiti in classe lascia un sapore di "volevo da sempre sapere il sapore che avrebbe avuto"!; ma è visto soltanto dalla loro parte, non dalla mia. Dalla mia parte è un rito, a cui sono contento di non rinunciare (e l'ho scriutto, in fondo al post... e forse non tutti lo hanno letto), ma un rito.
non so perchè, ma anche io ho trovato il tono di questo post molto, troppo diverso da quelli che solitamente scrivi.
RispondiEliminasecondo me potrebbe essere perchè (ma così "insinuo" una cosa, dunque se non è liberissimo di replicarmi :)
dicevo è perchè in fondo su quei ragazzi cresciuti ormai non ha più quel "potere" (perdonami, non mi viene altro, forse ascendenza) tra il benevolo e il paternalista che uno ha avuto per diversi anni. come a dire, non sono più il vostro prof., che feedback può esserci tra noi che ormai siamo "allo stesso livello"?
ripeto perdonami la faciloneria delle espressioni, credo però di aver chiarito il concetto.
chi scrive è una laureanda in lettere che a volte si perde a sognare su come sarebbe insegnare. e quel tipo di "potere" che solo immagino è una delle cose più dolci, e gratificanti.
@laura
RispondiEliminaDirei che non è così, francamente. Primo perché prima di potersi mettere sullo stesso livello, passano gli anni. Per quanto un alunno sia fuori da scuola, io (o chiunque) resto sempre il prof, per molto tempo (te lo dico per esperienza: sai con quanti ho fatto fatica a farmi dare del tu, anche dopo anni). Secondo, perché quello che tu chiami "dolce potere" è una delle cose più odiose di questo mestiere, almeno per me: e sono pronto a firmartelo. Ci ho scritto anche un post, un po' di tempo fa. Ora lo vado a cercare.
Ecco il link di quel post:
RispondiEliminahttp://sempreunpoadisagio.blogspot.com/2011/04/la-differenza.html
mmm. ci ho pensato e credo di aver capito cosa intendi. forse hai ragione, però non credo sia possible neutralizzare completamente il narcisismo che c'è in ognuno di noi. penso a mestieri come psicologo, assistente sociale. immagino sia difficilissimo, soprattutto nei primi anni. anche perchè empatizzare troppo non è mai un bene. quindi ripeto, forse hai proprio ragione. però cmq il post mi ha lasciata perplessa. e non ne capisco il motivo. (la mail che ti ho mandato precede questa risposta).
RispondiElimina:)
Ritorno con la mente all'epoca in cui anch'io mi "macchiai" del pellegrinaggio settembrino.
RispondiEliminaL'immagine che ne scaturisce è stranamente nitida, pregnante; la stretta allo stomaco che mi prese nell'attimo in cui mi accinsi - unitamente ad altri ex compagni - a bussare alla porta, nell'attesa di sentir quell"avanti", la scalpitante voglia giovanile di dire al mio Prof. che avevo deciso di iscrivermi a giurisprudenza, nella speranza di diventare, un giorno, Avvocato. Ricordo l'imbarazzo di tutti noi tutti, davanti agli sguardi giudicanti di un'orda di nuovi alunni, che ci guardavano stupiti, nell'incapacità più totale di dare un senso alla nostra improvvisata presenza. Probabilmente, nemmeno dalle nostre bocche uscì chissachè, forse cercavamo solo di vedere nel nostro Prof. uno sguardo orgoglioso di noi, un placet, un ché anche di gratitudine di fronte alla nostra presenza lì in quell'istante. Perchè noi, potevamo essere bellamente altrove quel giorno (io di sicuro) ma, diversamente, eravamo lì, in piedi in un'aula ormai aliena, imbarazzati, forse un pò impauriti e, magari, dal desiderio di dire molto, dicemmo poco o niente, come i Suoi ex alunni.
Ma eravamo lì.
Il Prof., assunse più o meno, lo stesso Suo atteggiamento, ma trasaliva chiaramente la frettolosità con cui voleva disfarsi dell'incombente: alla fine, eravamo solo un mestire, del passato; ora lo comprendo.
Oggi, a 33 anni, sono un Avvocato.
Chissà che direbbe il mio Prof.
P.s. lo Scorfano acrebbe saputo cosa dire ;-)
Mah. A me piace quando vengono a trovarmi. E di solito passano dalla classe. E poi mi aspettano. E poi mangiano insieme. E, no, non mi sembra un rito. E, sì, anche se lo fosse io ritualizzo solo con gli spiriti affini...
RispondiEliminaMa infatti: io non ho parlato di quelli che mi chiamano, mi scrivono, vengono a trovarmi, di quelli con cui esco a mangiare qualcosa o a bere qualcosa, o di quelli con cui sono diventato amico, dopo anni o dopo solo pochi mesi; non parlo di tutti questi, perché sarebbe troppo facile e forse pure un po' vanitoso.
RispondiEliminaChiedo a miei alunni di quarta non obbedire al rito ma di fare altro, appunto: di scrivermi, parlarmi, ecc. Anzi, no: alla fine non glielo chiedo nemmeno (o meglio: li ringrazio di non avere accettato il patto) perché capisco che il rito eccetera... (la prossima volta scrivo bene il post, prometto)
(ah, quello di domani sarà peggio, ci metto pure le parolacce per gli alunni, per non farmi mancare niente: prometto anche questo)
Io non sono diventata amica di nessuno di loro. E, lo ripeto, non tutti vengono a trovarmi, in classe o ovunque. Perché ritualizzo solo con gli spiriti affini...
RispondiEliminati capisco, e molto. non ho mai più rimesso piede nel mio liceo, eppure lo ricordo con amore, e mantengo la venerazione per i professori che venerai. quest'anno ho avuto il pellegrinaggio settembrino: li ho liquidati con un po' di imbarazzo... ho avuto uno che per tutta la prima settimana di scuola si presentava comunque alle 7.30 ai cancelli e poi pencolava intorno alla mia cattedra sino al primo suono, come l'anno scorso. L'ho cacciato scherzando per poi pregare i suoi antichi compagni in pellegrinaggio settembrino di spiegargli che la scuola è finita. a me sembra che tale pellegrinaggio sia segno di una difficoltà della crescita. li capisco, ma mi danno fastidio.
RispondiEliminaAh ... (è sospiro di sollievo :-)
RispondiEliminaPerché lo tirato via via che leggevo il post!
Non è del tutto vero che è 'mestiere': bene. molto è mestiere ma non tutto!
E poi, a pensarci bene, fa piacere rivederli.
Da noi (dopo III media) non rinunciano al rito settembrino soprattutto quelli che ...non andavano bene! Quelli che più odiavano la scuola. Ma perché ora vengono rilassati, sanno che non devono stare attenti, "partecipare attivamente", seguire... (ma è successo anche che qualcuno si trattenesse poi a seguire la lezione! :-) - Non si decideva ad andare via e io: vuoi restare ? Sì, voglio restare, ma non mi chieda nulla, prof!')
E ovviamente ti raccontano: sì, prof, tutto bene, vado bene, sììì, so rispondere... mi ricordo le cose (!)
Quelli che invece stavano bene con noi, bè, quelli vengono a trovarmi a casa, anche dopo anni .... e, dopo anni, ti chiedono l'amicizia di Fb, e ti raccontano ecc.... :-)
g
Scorfanoooo:
RispondiEliminaecco è destino che qui faccia figuracce da morire!
Ho visto ora!
>>lo tirato !
Ma mi tirerei ...! :-( :-(
Vabbè, ora è fatta! Ma mi vergogno da morire!
g
@Giovanna
RispondiEliminaGuarda che qui un refuso si perdona a chiunque ;) E tieni conto che abbiamo un capo, là al ministero, che non si limita ai refusi...
Ma per carità, non mi consola proprio per niente!
RispondiEliminaNemmeno in chat, dove si scrive velocemente e si perdonano gli errori, mi è mai successo di far partire un "orrore" così!
g
Consiglierei a chi non ha capito lo spirito del post, e ne è rimasto stupito, di leggere il post «Una lunga fila di ex alunni» del 2009: http://scorfano.wordpress.com/2009/03/23/una-lunga-fila-di-ex-alunni/
RispondiElimina(colgo l'occasione per ringraziare Davide: quel suo racconto del 2009, che ho trovato nell'e-book "Voci di corridoio", mi ha subito attratto, e da lì non ho più dimenticato di leggerlo…)
Marco
Grazie a te, piuttosto. Quel post del 2009, in effetti, diceva già tutto.
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