domenica 19 giugno 2011

Cose che ci fanno sentire bene

del Disagiato

Perché per conoscere spesso ci si affida al romanzo e non al saggio? Perché un cliente che vuole sapere chi erano gli antichi greci rifiuta il saggio di Canfora o Lane Fox e preferisce un romanzo di Manfredi? Preferisce il romanzo perché il saggio storico è noioso? Non so, la risposta potrebbe essere questa ma ne ho in mente un’altra. Secondo me il romanzo, la finzione e tutto ciò che si trasforma in narrazione, dice quello che noi vogliamo sentirci dire. I dati, collocati dentro una prosa fredda, non ci danno calore, se mi passate l’espressione. Capita anche per la cronaca: imparare quello che è successo per mezzo della narrazione. Ad esempio Romanzo Criminale per conoscere la Banda della Magliana e gli anni nei quali questa esisteva. Niente di male, ci mancherebbe. Però sarebbe utile comprendere che il romanzo sacrifica la verità e che il saggio sacrifica il calore e il coinvolgimento. Ecco, ho trovato la parola: spesso noi vogliamo sentirci coinvolti, anche quando si tratta di imparare, capire o semplicemente rispolverare. Vogliamo partecipare e il romanzo, se di buona fattura s’intende, questo lo fa.

Ho letto recentemente A sud di Lampedusa di Stefano Liberti, che scrive reportage di politica internazionale, che scrive per Il manifesto e che in questo caso ha scritto sulle rotte intraprese dagli uomini africani per raggiungere l’Europa. Non solo, però. Il giornalista ha scritto anche perchè mosso da una fissa: dimostrare che parole come “sbarchi”, “esodo” e “scafisti” sono parole utilizzate dalla stampa per allarmarci e non per comprendere. La realtà, ci dice, è più complessa. Il primo capitolo, ad esempio, tenta di dirci che la tratta Senegal- Spagna non è gestita dalle reti mafiose o da scafisti senza scrupolo.

Tutta una balla, quindi, e io, che non voglio sentirmi dire le balle mi sono subito schierato dalla parte di Dauda, che è un ragazzo che ha provato l’attraversata, che ha raggiunto la Spagna e che, con l’inganno, è stato rispedito indietro. A Mbour, città costiera del Senegal, in molti ci hanno provato. Ma in molti sono anche stati rispediti a casa. Dauda, ci dice Liberti nel suo reportage, “ha una faccia stanca da pugile suonato, un sorriso greve solo leggermente addolcito da un paio di guance rotonde”. Bene, questa faccia da pugile suonato mi ha convinto a stare dalla parte di Dauda e a contestare i poliziotti spagnoli che rispediscono indietro i senegalesi. Dauda ci dice anche che ha fatto tutto da solo e che le mafie e gli scafisti non hanno avuto alcun ruolo nella sua attraversata,

A me Dauda, ripeto, è stato simpatico sin da subito. La faccia da pugile, le guance rotonde, la disperazione eccessiva nella voce ma anche una voglia di evadere e di riprovarci dopo il fallimento. Sto dalla parte di chi cerca un futuro migliore e non dalla parte di chi questo futuro lo nega. Però, a questo punto, mi ricordo che non sono tanto le guance rotonde che mi interessano ma le prove che la mafia e gli scafisti scrupolosi non c’entrano niente. Sto leggendo un “reportage esemplare, accurato, partecipe, onesto e pieno d’informazioni preziose”, mi dice Filippo La Porta in quarta di copertina. Ora a me, che sono sdraiato in poltrona con il libro in mano, mancano l’accuratezza e le informazioni preziose.

Liberti ci racconta a questo punto che a portarlo in quella città era stato Gaoussou, il capo di un sindacato di pescatori e che lo stesso Gaoussou, indicato anche come uno dei massimi esperti di emigrazione dal Senegal, lo ha accompagnato a Mbour, dove incontra Dauda e dove si può comprendere il fenomeno dell’emigrazione. Allora, per mezzo del sindacalista, veniamo a sapere che il mare è povero di pesci per colpa dei pescherecci spagnoli e inglesi, che i giovani non potendo pescare scappano e che le mafie e gli scafisti sono un’invenzione. Bastardi, penso io, però ora voglio le prove.

Vero che questo è un reportage, però vorrei anche dei numeri, delle statistiche per confermare a me stesso che, come ci dice Liberti, l’Europa si inventa la mafia e gli scafisti per nascondere la realtà. Però in tutto questo capitolo i numeri non ci sono come non ci sono l’accuratezza e l’informazione preziosa, decisiva. C’è solo un racconto che mi fa arrabbiare e commuovere, che mi rende partecipe e che mi dice, di questo me ne accorgo solo alla fine, quello che volevo sentirmi dire: la raltà è complessa, si dicono tante bugie e l’Europa finge di non sapere.

Alla fine del capitolo e dopo aver incontrato a Dakar il responsabile dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (che secondo l'autore non dice la verità circa la pesca di frodo e che sostiene che le reti mafiose e gli scafisti esistono), Liberti ci dice:
Mi chiesi poi se non fosse tutta una mia proiezione, se il responsabile dell’OIM in realtà non avesse ragione e se non fossi io a essere nel torto, accecato dalla mia empatia per gli emigranti, che mi impediva di vedere il marcio che tutti vedevano dietro il presunto business delle partenze”. Fine del capitolo.
Allora ho capito, o penso di aver capito, che quella di Liberti è stata una bella narrazione e che questa narrazione ha toccato la mia empatia. Senza numeri e statistiche e senza uno straccio di prova per poter accusare qualcuno di non voler vedere una realtà più complessa. Perchè la realtà è più complessa, non può essere altrimenti.

5 commenti:

  1. Per lo stesso fenomeno vende di piu` il perennemente giusto, buono ma ribelle Saviano rispetto al grigio, professionale Gratteri?
    variabile

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  2. Ecco, questo è un buonissimo esempio.

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  3. Ricordavo che non avessi tempo per le recensioni ;^)

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  4. Per il blog il tempo lo trovo. E poi questa non è una recensione, dai ;)

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)