Siccome la libreria si trova in un centro commerciale, è inevitabile che i clienti entrino in negozio con il carrello della spesa. Che il carrello sia pieno o vuoto conta parecchio, perché un carrello pieno puzza di salumi, pesce e verdure, mentre un carrello vuoto no. Sta di fatto che alla domanda “Posso entrare con il carrello della spesa?”, noi commessi siamo obbligati a rispondere “Sì, può entrare”. Insomma, la libreria è invasa da carrelli, impedendo molte volte un normale svolgimento del lavoro, inzuppando l’aria di aromi poco gradevoli e, qui volevo arrivare, bloccando il passaggio nostro, che dobbiamo macinare chilometri di mestiere, e degli altri clienti. Il peggio è quando il carrello viene messo quasi in maniera calcolata davanti all’ingresso, impedendo così non il passaggio, ma addirittura l’entrata dei clienti. Allora, imprecando, vado a prendere il carrello e a parcheggiarlo un po’ più distante, là dove non dà fastidio a nessuno (anche se in una libreria che non ha le corsie di un supermercato, un carrello dà sempre fastidio).
Questa cosa del carrello la racconto perché forse mi ha insegnato qualcosa sul comportamento degli italiani e del loro senso civico. Infatti è capitata, e capiterà ancora, questa cosa. Una signora molla il proprio carrello stracarico proprio sull’ingresso, non prima e non dopo, e poi rivolgendosi a me dice: “Posso lasciare qui il carrello?”. Io allora rispondo “No, mi dispiace. Lo lasci un po’ più avanti per favore”. “Ah, non si può”, dice delusa e allora io ribatto con un “Non è che non si può. Non si deve”. Vabbè, lo ammetto, dico questa cosa con un tono provocatorio, poco gentile, stanco e tante altre cose che fanno di me un commesso antipatico ma sta di fatto che a scuotere la cliente (dico cliente perché la maggior parte delle volte sono clienti donne) non è il fatto di dover spostare il carrello ma quel “non si può”. E qui, più di una volta, si è aperta quella che i politici chiamano “questione morale”. La cliente reagisce in questo modo: “Se non si può è un conto, ma se non si deve, beh, allora questo è da vedere”.
La follia, la mia intendo, mi porta a spiegare alla cliente maleducata che non esiste una legge sui carrelli, che il centro commerciale non ci ha dato un foglio con un regolamento da far rispettare circa i carrelli della spesa e che, in questo caso, dovrebbe essere quello che si chiama “buon senso” a far sì che un carrello non impedisca l’entrata e l’uscita degli altri. Io dico “buon senso”, però potrebbe benissimo essere “educazione” e “rispetto”. Dopo queste parole divento, appunto, un commesso folle. La cliente reagisce ancora con qualche parola, sposta il carrello più in là (comunque sempre in una posizione che dà enormemente fastidio), e se ne va in giro per il negozio balbettando e pensando cose brutte.
“Non è che non si può. Non si deve”. Un carrello non è che non può dare fastidio. Non deve dare fastidio. E a me, che non sono un poliziotto, questa sembra una buona soluzione, un attrezzo efficace per rimuovere la maleducazione. Però mi è capitata di raccontarla, questa cosa del carrello e del “non si deve”, e chi mi sta ad ascoltare, un amico o un parente, fa la faccia un po’ accartocciata, muove la testa a destra e a sinistra, come a dire “sì, tu hai ragione però…”, e io ribatto che in assenza di regolamento deve essere il buon gusto o l’educazione a prevalere. “Sì, hai ragione, però…”, risponde ancora con la faccia il mio interlocutore e io a questo punto, sempre disteso ben comodo nella mia follia, chiedo nervoso se non ho per caso sbagliato qualcosa, se per caso non mi sono preso una licenza che era meglio se non mi prendevo. “Non hai sbagliato niente”, mi risponde la faccia accartocciata che mi sta davanti, “però….” Però cosa, cazzo.
E allora mi viene in mente anche questa cosa e che l’italiano medio (mi ci metto pure io per non sembrare presuntuoso), oltre a lasciare i carrelli della spesa all’ingresso e rompendo così le palle a tutti, hanno pure il vizio (lo dice anche Italo Calvino non ricordo più dove) di non finire le frasi. Di dire le cose con i puntini di sospensione, tra virgolette, lasciando in sospeso un concetto o un’idea. Le cose sbagliate non si possono o non si devono fare? Su, forza, rispondimi, dico. “Non si devono fare, hai ragione. Fai bene a dire che un carrello della spesa non deve stare all’ingresso. Però….”.
Hai ragione.
RispondiEliminaQuello che mi dà più fastidio degli italiani (in questo caso inteso come terza persona plurale e non mi ritengo presuntuoso) è totale la mancanza di rispetto e considerazione per il prossimo.
Del resto cosa possiamo pretendere da un sistema che ci educa a "panem et circenses" ?
Però... signora mia, lei non ha idea dell'impennata di furti di merce dai carrelli che si è verificata da quando, in Italia, c'è sempre più gente che non arriva a fine mese. Il carrello traboccante di leccornie in offerta speciale, abbandonato a sé stesso in una libreria, è facile preda, se non è costantemente monitorato. Per non parlare della moneta da un euro che si usa per sganciarlo. Dia retta a me, signora mia, se lo tenga ben stretto e sotto controllo.
RispondiEliminaE le torte lasciate incustodite nei carrelli? E le focaccine? Molte volte ho avuto la tentazione di fregare qualcosa dai carrelli, soprattutto verso le otto di sera..
RispondiElimina...che poi, a dirla tutta, l'odore dei libri in libreria è così buono!
RispondiElimina@Marco
RispondiEliminaIo non so esattamente cosa sia un sistema, però la cosa che chiedo è l'educazione civica. Che, mi pare, non si insegni neppure più.
plus1gmt
E per questo si trascinano il carrello pure in bagno, oltre che in libreria.
@nonunacosaseria
Chi abita in montagna chissà se sente ancora l'odore puro della montagna. Per dire che l'odore dei libri non ricordo più com'è. Sic
@Ste
RispondiEliminaIo i sacchettoni di patatine unte. Prima o poi ne frego uno e poi ce lo mangiamo.
Ma se rispondessi qualcosa del tipo "per favore, lasci il carrello vicino a quello scaffale. Li vicino troverà degli ottimi libri di educazione civica in offerta speciale..." dici che si offendono? :-P
RispondiEliminaTemo di sì. E poi non tornano più e gli incassi si abbassano e il negozio chiude e io sono costretto a cercare un altro lavoro. No, non mi convine dirglielo.
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