sabato 11 giugno 2011

turandomi il naso

di lo Scorfano


Posso dirlo? Io domani andrò a votare solo perché do a questi referendum un significato politico (e perché, sotto sotto, ce lo danno tutti, il significato politico, altro che no). In sostanza io andrò a votare pur essendo molto pessimista sul raggiungimento del quorum (e non da solo), per votare Sì al quesito sul legittimo impedimento, che pure mi pare svuotato di molto valore, dopo la sentenza di gennaio della Corte costiuzionale. Perché spero che il 51% di Sì, faccia passare la voglia al premier di riprovarci (benchè io dubiti fortemente anche di questo).

Per il resto votero due Sì e un No (alla scheda gialla). Lo farò perché mi fido di alcuni amici che dicono sia giusto fare così (e anche perché alla fine conta solo il quorum, chissenefrega dei No). Ma, onestamente, posso dirlo?, non ci ho capito niente.     
          Sull’acqua non ho capito niente, davvero, nonostante abbia letto tutto il leggibile di questi giorni. E sul nucleare ho capito che ci sono esperti che sono per il Sì, esperti che sono per il No, ed esperti che sono cautissimi nell’esprimersi (figuriamoci). E quindi vado a votare solo perché spero che questo dispiaccia al governo in carica (come il governo in carica dispiace a me): ecco il mio significato politico.

Però il fatto che io (che pure non sono analfabeta) non ci abbia capito niente, mi fa essere totalmente d’accordo con quanto scrive oggi Marta Dessù (anche a proposito della legge elettorale):     
Quando la democrazia rappresentativa fallisce, subentra la democrazia plebiscitaria. Cosa che non certifica affatto lo stato di salute dell’Italia (è il popolo che finalmente decide, dicono i referendari) ma ne certifica la patologia: quando il popolo decide sulle politiche, la politica non funziona.
Ci sono cose che non succedono a caso. Non è un caso che la Costituzione americana non preveda referendum federali. E quindi escluda dai referendum la politica estera e le tasse del governo centrale, come del resto la Costituzione italiana.
È evidente, infatti, che su questioni cruciali per la solidità di uno Stato (la ratifica dei trattati internazionali da cui dipende in parte la nostra sicurezza, la tutela del patto fiscale che sta alla base delle democrazie moderne), plebisciti popolari equivarrebbero a un suicidio.
La politica energetica deve o non deve essere parte di questo stesso ragionamento? In una dinamica democratica normale, chi fosse ostile al nucleare voterebbe contro la parte politica che lo contempla nel proprio programma elettorale; e a favore invece dei partiti anti-nuclearisti. Nella tanto decantata Germania, la decisione di chiudere le centrali nucleare di qui a dieci anni non avviene attraverso un referendum. È la decisione assunta da un governo che tiene conto dell’ascesa politica dei Verdi e che scommette sulla propria forza industriale nel settore delle energie rinnovabili.
[…]
Nel clima che stiamo vivendo, le pulsioni dei referendari sono state «confiscate» dalla politica tradizionale: votare sul nucleare o sull’acqua è diventato un modo come un altro, dopo le elezioni amministrative, per regolare i conti a Roma. Quando i partiti al governo decidono di rinunciare a difendere le loro stesse politiche, dando libertà di coscienza sulla distribuzione dell’acqua, come se fosse l’eutanasia; e quando i partiti all’opposizione decidono di cavalcare i referendum, il sistema politico non fa più il suo dovere. L’ondata di politicizzazione è tale che perfino il mio referendum preferito rischierebbe di passare, questa volta. Peccato che si voti su altro, non sulla legge elettorale.
Insomma, domani io andrò a votare, perché penso che non sia questo il modo giusto per governare il paese. E perché quindi è giusto che si cambi, alla svelta.

10 commenti:

  1. ho aperto questa stessa identica discussione, con le medesime perplessità, su un socialcoso dove in questo momento si fronteggiano gli spara-sentenze, le anime belle (tanto condividere a palla col cervello staccato non è un problema) e qualcuno che prova a ragionare. Ero arrivato al punto di pensare all'astensione, poi ho deciso come te. Quello che più mi disturba è che su questioni così complesse (o forse sono io che non capisco bene, che non ho gli strumenti adatti) si faccia prima una campagna tutta politica e poi, per pura tattica, si dica che B. non c'entra nulla, che sono questioni vitali, che l'acqua, l'aria, la Terra .... (non continuo, altrimenti rischio di non andare a votare)

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  2. Penso come te che il referendum sia spesso il fallimento della politica, ma non si può dimenticare l'anomalia italiana, un paese dove una libertà elementare come il decidere se continuare o meno con il proprio partner è stata sancita grazie a questo istituto. Nessuno, mi pare, dei partiti vuole scontentare i poteri, che siano economici, religiosi o corporativi e quindi troppo spesso c'è immobilità decisionale.

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  3. @Peppe
    Ecco, io sento uno come te, con il mestiere che fai, dire che non hai gli "strumenti adatti" per valutare e figurati io...

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  4. @Giovanni
    In realtà, su questioni per così dire eticamente sensibili, come l'aborto, il divorzio, o il "fine vita", io sarei anche favorevole allo strumento referendario. Mi vengono molti più dubbi quando si tratta di leggi sostanzialmente molto tecniche, a proposito delle quali mi rendo conto di non aver alcun tipo di competenza adatta a capire di cosa si stia parlando.

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  5. Concordo sul significato politico e sulle osservazioni della Dessù, però, al di là dei tecnicismi referendari, il referendum avrà sempre un significato politico. Il referendum sul nucleare del 1987 è emblematico: non impediva la continuazione del programma nucleare, tecnicamente. Eppure, dopo Chernobyl, quel sì significava la fine del programma energetico nucleare ed è stato rispettato. Altre volte, di fronte a referendum populisti, il legislatore ha rinnovato la legge abrogata (anche in modo non del tutto disinteressato, v. finanziamento ai partiti).

    Quindi io vado a votare convinto del segnale politico di questi quesiti. Se non facciamo nemmeno questo sforzo, caro scorfano, che senso ha scrivere sui nostri blog?

    ilcomizietto

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  6. Certo che sì, caro Comizietto: infatti è proprio per dare un forte segnale politico che vado a votare (tra qualche minuto). Sperando che non sia un flop.

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  7. Giovanni: un paese dove una libertà elementare come il decidere se continuare o meno con il proprio partner è stata sancita grazie a questo istituto.

    Non è vero. Il referendum è abrogativo, non puoi stabilire o decidere niente. Serve solo a togliere qualcosa, non a mettere.

    In Italia la legge sul divorzio non è stata fatta dal referendum: il referendum era stato organizzato per abolire la legge del 1970 che istituiva il divorzio. Era stato il Parlamento a legiferare, e gli elettori hanno manifestato direttamente il loro consenso verso quella legge.

    Tutto il resto sono chiacchere di politici e giornalisti.

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  8. ad andare a votare non si sbaglia mai. Non importa se l'ha detto anche il PierFerdi: il concetto è quello giusto.

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  9. Che poi, onestamente, mi pare che il PierFerdi non dica solo idiozie, ultimamanete... (o sono io che sto invecchiando)

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  10. Ormai le chiacchiere stanno a zero.

    IL QUORUM C'E'! :)))

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)