La mia collega Alessandra, che compie ventun anni tra qualche giorno, si è innamorata quasi due anni fa. L’essere innamorata di Matteo l’ha portata a lasciare la famiglia e, dopo mesi di convivenza in affitto, a comprare casa. Si amano, mi dice, e lo si vede che si amano. Ora lei si divide tra il lavoro da svolgere in libreria e il lavoro da svolgere nella loro nuova casa: pulire pavimenti, vetri e vestiti, fare la spesa, il bucato, stirare e, infine, badare ai due cani che hanno deciso di tenere con loro. Il più delle volte Alessandra arriva in libreria stanca e nervosa. Facile capire il perché, con tutto il lavoro che ha da fare.
Alessandra, dopo un paio di settimane negli Stati Uniti con sua madre, ora è tornata in libreria. Solo che è tornata nervosa, stanca e silenziosa. L’altro giorno però la vedevo più silenziosa del solito e con una faccia che mi sono chiesto se per caso io le avessi detto o fatto qualcosa. “Tutto bene Alessandra?”, le ho chiesto, al che lei ha formulato un semplicissimo “Sì, sì, tutto bene” senza guardarmi negli occhi.
Poi però, visto che è assai difficile lavorare con una persona che non ti rivolge parola, ho insistito nella maniera più delicata possibile, fino a che i suoi occhi non sono diventati rossi e la faccia le si è fatta tesa, e mi ha detto “Sono stanca, cazzo, stanchissima”. E allora in quel momento ho pensato che mi stava per dire quello che da tempo, magari ingiustamente, pensavo io e cioè che i suoi vent'anni sono piccoli piccoli al cospetto di un mutuo da pagare, di pavimenti da strofinare, di vetri da pulire e al cospetto di bucati e di assi da stiro e di cani. Deboli e disarmati, i suoi vent’anni, anche per sorreggere me e una libreria. “Non dovevo”, mi dice vicina al pianto. “Non dovevi cosa?”, “Non dovevo andare in America. Dovevo stare a casa a riposarmi e a fare quello che dovevo fare”.
Io volevo dirle, dopo queste sue parole, che l’andare in America, e viaggiare e vedere e conoscere, è stata forse la scelta e la fatica più azzeccata di questi mesi, ma non l'ho fatto per non offendere il suo amore, i suoi vent’anni e le sue fatiche e, infine, per non sentirmi un imbecille.
Invece queste cose le ho dette, con il risultato che ho offeso il suo amore, i suoi vent’anni e le sue fatiche e, infine, mi sono sentito un imbecille.
non ho capito. Perché dicendole queste cose avresti offeso il suo amore, i suoi vent’anni e le sue fatiche? (al limite capisco perché tu ti sia sentito un imbecille :-P )
RispondiEliminaDipende ovviamente molto da come gliel'hai detto, se hai proprio detto "è stata la tua scelta più azzeccata" ammetto che hai degli ottimi margini di miglioramento nella comunicazione sociale: però se il tuo punto di vista è "non puoi continuare come un robot a lavorare di giorno in libreria, lavorare di sera a casa, e non avere mai un momento per te" questo mi pare un concetto assolutamente valido, che Alessandra può condividere o no ma non è certo offensivo.
Io capisco il tuo punto di vista. Ma dal punto di vista di lei, non credo avesse gli elementi necessari a giudicare la tua frase come un'offesa nei confronti del suo amore.
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RispondiEliminaMa chiedere al suo tipo di darle una mano?
RispondiEliminaA me 'sto Matteo sta antipatico. Anonima
RispondiElimina@.mau.
RispondiEliminaSul fatto che io sia un imebecille è cosa comprensibile ;)
Sul resto avevo come la sensazione (anche perchè Alessandra mi conosce bene) che le parole venissero comprese come una dura critica fine a se stessa. Più volte, in passato, avevo la tentazione di dirle di andare con calma, di non buttarsi in cose più grandi di lei. Ma non l'ho mai fatto. Chi sono io per dirle quelle cose? Ho ragione a pensarla così? Questa volta però due parole mi sono uscite e lei mi guardato come si guarda un nemico. Per un ora. Poi tutto si è sistemato.
@Mr. Tambourine
RispondiEliminaGli elementi necessari li ha eccome. Convive con me parecchie ore al giorno. Conosce il suo pollo.
@SpeakerMuto
Su quello che dici tu nulla so. E non mi intrometto.
Che dopo un'ora la cosa si sia sistemata è Bene. Che tu debba dirle di non buttarsi in cose più grandi di lei è Male, soprattutto adesso che ormai si è buttata da mo'.
RispondiElimina@.mau. Sì, hai ragione. E poi, ripeto, è assai probabile che le mie siano idee balorde.
RispondiEliminano, non è detto... ripeto, est tempus in rebus!
RispondiEliminaMadre mia! Sembra di camminare su un tappeto di rovi e spine: quante esitazioni, quante cautele...; pare quasi che ad avvicinare un essere umano aldilà delle formali convenzioni ed in rigido rispetto delle nostre più assurde barriere (il privato indicibile e blindato in cui scaviamo le nostre trincee esistenziali), anziché un atto di generico amore per il prossimo sia una dichiarazione belligerante!
RispondiEliminaIn fin dei conti, già dimostrare all' altro una partecipazione, l' empatia con il suo malessere, un interessamento, dovrebbe fornirgli un sollievo, costituire un atto semplicemente bello.
Io non so quanto giovi ai contatti umani, alla solidarietà, all' amicizia, ma anche al sereno convivere professionale, un eccesso di scrupoli e l' attribuzione di non si capisce bene quale sacralità del privato.
Ai miei tempi, nel giurassico, il "privato" era "politico": a ben analizzarla, svuotata di inutili ideologie, si trattava di una dichiarazione che rivendicava uno spirito di "fratellanza umana". Un po' leopardiana? Perché no...
Viviamo realtà in cui l' altro è diventato invisibile, in cui la spinta all' individualismo ci cristallizza come monadi autoreferenti e spaventosamente tristi, e vorresti sentirti un imbecille per esserti preoccupato di una persona, peraltro a te vicina? Non dovresti: è, oggettivamente, un nonsenso.
Però ci sono anche delle distanze e penso che in un luogo di lavoro non è poi così sbagliato averle, queste distanze. I sentimenti e l'emotività strette dall'impegno lavorativo possono anche fare del male (ne so qualcosa, ecco).
RispondiEliminaNon so di dove siete ma qui al nord e soprattutto nella 'ricca' - sigh - Lombardia è così, si deve correre sempre e per tutto, anche per ciò che non ci serve.
RispondiEliminaPurtroppo la vita era dura anche per i nostri nonni e genitori, che spesso anche loro uscivano di casa a vent'anni, però allora la vita era meno frenetica.
E' il 'sistema' - parola ormai in disuso ma più che mai attuale - che ci vuole ridotti così.
Poi il vero problema è la condizione femminile: in ogni casa fa comodo avere una sguattera. Ma Matteo cosa fa?
Non ricordo cosa faccia. Però il mio post era lontanissimo dalla parola "sguattera". Non intendevo assolutamente parlare della condizione femminile o altro. Era un racconto sulle distanze e le confidenze tra colleghi e di quanto sia difficile avvicinarsi o sentire le stesse cose. Impossibile, a volte.
RispondiEliminaPerò anche a me il post ha fatto pensare che ci fosse qualcosa di stonato nella situazione di una ragazza di 21 anni sempre nervosa e stanca per la gestione del lavoro e della casa ed in preda ai sensi di colpa per aver fatto un viaggio con la madre...'sto matteo non è che ne esca granchè bene. E secondo me il tuo commento ci stava tutto...
RispondiEliminaAgota
A me la frase “Non dovevo andare in America. Dovevo stare a casa a riposarmi e a fare quello che dovevo fare” fa pensare a una ragazza un po' sottomessa nell'animo. Un conto è dire "Sono stanchissima", un altro è dire "Non ho fatto il mio dovere (di sguattera?)"
RispondiEliminaDisagiato, ormai c'hai tirato in ballo :^) Alessandra che tipo di persona è? Molto fragile, insicura, con poca autostima?
Mi auguro di no, ma temo che sia rimasta preda di un uomo che la sottomette almeno un po'.
@SpeakerMuto
RispondiEliminaMa no, Alessandra è una persona fragile quanto me e lo Scorfano e la maggior parte dei lettori. E poi, scusate, la sottomissione e la sguattera non contano nulla in questo post, davvero. Alessandra si è accorta di essere diventata grande e responsabile. Ed è stata brava a diventarlo, bravissima. Nonostante la stanchezza moltiplicata che deve affrontare.
Devo aver sbagliato qualcosa io nello scrivere.
Le responsabilita' di Alessandra sono simili alle mie, compresi i due cani, ma ci sono 9 anni tra di noi che fanno la differenza. Alessandra e' giovane, Alessandra ha dovuto diventare grande e responsabile: non ha avuto scelta.Ora deve imparare a rilassarsi, a lasciar correre, a godere di un pomeriggio solitario.
RispondiEliminaI legami tra persone che lavorano insieme sono in bilico tra il "siamo amici", il "siamo colleghi" e il "non ti sopporto piu'", con le rispettive confidenze. A volte una battuta per uno si rivela uno schiaffo per l'altro e l'imbarazzo provoca ore di silenzi e malintesi.
Siamo troppon sensibili, noi della libreria.
Troppo fragili, noi dietro al bancone ;)
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