sabato 18 giugno 2011

pensavo peggio

di lo Scorfano
Il penultimo giorno di scuola mi sono ricordato di una cosa che volevo assolutamente chiedere alla mia alunna Paola, di terza; e allora gliel’ho chiesta. Era accaduta il primissimo giorno dell'anno, una mattina di settembre che adesso sembra così lontana: era stato il mio primo giorno in quella classe, ero entrato, avevo salutato, mi ero presentato, li avevo chiamati per nome cercando già di memorizzare le loro facce, avevo spiegato quello che avremmo fatto durante l’anno scolastico e perché. Poi era suonata la prima campanella e me ne stavo uiscendo, quando li avevo guardati ancora per un attimo e, nel secondo banco, avevo visto Paola che si rivolgeva alla sua amica Valentina (ancora non sapevo che sarebbero state le due studentesse che mi avrebbero dato maggiori soddisfazioni) e le diceva: «Pensavo peggio».

Era riferito a me, naturalmente. E io lo avevo anche ben capito: ma era il mio primo giorno in quella classe, non c’era nessuna confidenza e non me l’ero sentita di chiedere che cosa volesse dire «peggio» e perché. Poi me ne sono dimenticato, oppure ho sempre rimandato. Solo il penultimo giorno di scuola ho pensato di poter chiedere che cosa volesse dire quella frase.           
                    Allora ho chiamato Paola e le ho detto che mi ero accorto di quella sua frase e, sorridendo, le ho chiesto in che cosa «pensava peggio». Lei ha riso.

Poi mi ha detto: «Be’, lei ha la fama di essere molto severo, io mi ero fatta delle idee durante l’estate, quando ho saputo che sarebbe stato il nostro prof, poi quel giorno è entrato, ci ha parlato, e io ho capito che non era così come me l’ero immaginato». «D’accordo» le ho detto io, «però quel primo giorno non potevi ancora sapere se io ero esigente e come dicevano, no? [e chi è che te lo ha detto, poi? e perché? e che cazzo vuole, soprattutto?]». «Ma no prof!» mi ha detto Paola, «non si tratta di essere esigenti… Si tratta proprio di severità, nei comportamenti, non nello studio o nelle verifiche…»

E allora ho capito. Ho capito che quello che qualcuno [chi cazzo sei, eh? che cazzo vuoi?] le aveva riferito riguardava atteggiamenti non strettamente scolastici, ma, diciamo così, urbani, relazionali. E ho provato a fare una verifica con me stesso per capire.

Io per esempio, pretendo che i ragazzi salutino, quando entro in classe: che mi dicano «Buongiorno», ecco, come io lo dico a loro. Non pretendo che si alzino in piedi (alcune classi lo fanno, altre no, non m’importa molto), ma pretendo che si siedano subito al loro posto, questo sì. Pretendo che nessuno si alzi durante la lezione: né per buttare un pezzo di carta nel cestino, né per altro. Pretendo che, se c’è un motivo urgente per il quale debbono alzarsi, me lo chiedano e attendano di essere autorizzati: non per chissà quale esibizione di chissà quale autorità, ma per non disturbare gli altri e me. Pretendo anche che nessuno parli per conto suo, quando c’è lezione; se qualcuno lo fa, lo chiamo e gli dico: «Dimmi pure». Poi pretendo altre cose banali, ovvie, scontate. O almeno secondo me assolutamente ovvie e scontate.

È evidente che lo pretendo dai miei alunni, ma anche dagli altri alunni, che non sono i miei, quando vado a fare supplenza: e immagino che proprio dalle supplenze sia nata la voce sulla mia presunta «severità». [Che cazzo vuoi, si può sapere? Che cazzo ci guadagni a dire queste cose in giro?]. Perché è ovvio che, durante una supplenza, è più difficile farsi rispettare e che la maleducazione di alcuni ragazzi viene fuori molto più facilmente: non gli potrai mai dare un brutto voto, molto semplice. Ed è quindi ovvio che le supplenze sono spesso le ore più difficili e nervose. Pretendo, per esempio, che rispondano al mio saluto anche quando vado a fare supplenza; e pretendo che si siedano al loro posto anche quando sono in supplenza; e tutte quelle cose lì, insomma. E probabilmente è stato questo che determinato la «voce» e il conseguente sollievo di Paola, quel primo giorno: «Pensavo peggio»; cioè «Non è una bestia»; cioè: «Non ci ucciderà tutti».

No, non vi ucciderò tutti, Paola, stai tranquilla. Non ho mai ucciso nessuno, in realtà. Però, a quel minimo di educazione ci tengo; e questo, mese dopo mese, lo hai capito. E lo avete capito tutti, e siamo stati tutti molto educati uno con l’altro ed è stata una vita migliore, diciamocelo. Che la maleducazione non aiuta a stare insieme, anzi. E non si tratta di «formalità», come un mio studente molto meno in gamba di te mi aveva detto qualche anno fa: i tratta di convivenza, di rispetto, di civiltà, tutte questioni importanti quando si lavora insieme.

E per esempio, Paola, ora che sei in vacanza, vorrei raccontari un’altra piccola cosa [sono noioso, lo so]. In questi giorni si è di nuovo parlato di quella insegnante di Lecce che si lasciava «palpeggiare», diciamo così, dai suoi studenti durante le ore di scuola. Se ne è parlato perché la famiglia di un ragazzo ha chiesto un risarcimento di molte migliaia di euro, in quanto il ragazzo è stato «turbato». Io mi ricordo di quell’episodio e anche di quel video; e mi ricordo che non mi aveva colpito né il «palpeggiamento» in sé né il perizoma, ovviamente. La cosa che mi aveva colpito era stata che durante una lezione ci fossero tutti quei ragazzi in giro, in piedi, che si facevano gli affari loro mentre lei interrogava: non mi semberava una lezione, quella, mi sembrava qualcos’altro, non so cos’altro. Mi ricordo che avevo pensato: «Palpeggiamenti o no, questa è meglio che faccia un altro mestiere».

Sono severo, eh? Troppo severo, infatti. Che chissà, poverina, quella prof magari faceva di tutto per fare meglio che poteva. Però, insomma, non basta: che non è una lezione, quella. È un bordello, secondo me. E infatti è finita quasi come in un bordello e mi sa che non è proprio un caso che sia finita così. Perché la «forma», l’educazione minima, quel poco di rispetto vicendevole non sono elementi di poco conto. Anzi, guarda, sono proprio le basi: senza quelli non c’è letteratura che tenga, non resta niente.

Però, carissima Paola, è quasi inutile che lo dica a te, che sei sempre così educata; e che infatti hai detto «Pensavo peggio», perché avevi capito subito che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Si saranno preoccupati quelli un po’ più maleducati, immagino. Be’, sai cosa ti dico? Sono felice. Sono felice che si siano preoccupati, spero che continuino, spero che anche quelli da cui vado in supplenza si sentano un po’ preoccupati, quando entro: e che questo insegni loro un po’ di educazione. [Compreso te, ignoto maldicente, che spargi certe «voci»: continua a preoccuparti, dammi retta. Che un giorno o l’altro ti becco, non credere. E saranno tutti cazzi tuoi.]

9 commenti:

  1. Scorfano, fìdati di me: sei un'ottimo insegnante.

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  2. Ma non è che te la sei presa troppo per lo studentello maldicente? :-)
    In fondo non si può riuscire simpatici a tutti: te lo dice uno che sul lavoro passa per pignolo e ultraprecisino (ed esserlo, purtroppo, sta nella natura del mio lavoro), e qualcuno che tenderebbe a svaccarsi talora non gradisce.

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  3. No, caro Gddo, con lo studente maldicente ho scherzato un po'... ;) (anche per evitare che il post diventasse una specie di predicozzo insopportabile). E, in ultimo, non la considero nemmeno una maldicenza: so che è la verità.

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  4. Eggià. E il guaio è che ci piace così, pavento. ;-)

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  5. Ma sì che mi piace... L'ho raccontato tanto in giro, quel "pensavo peggio".

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  6. La forma è anche sostanza, parla di rispetto, di educazione.
    Mi piace molto questo post, i tuoi studenti credo siano fortunati
    Ciao

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  7. Ti ringrazio, Giovanni. Io non so cosa pensano i ragazzi: e soprattutto non so cosa pensaranno tra dieci anni, che è in fondo la cosa più importante.

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  8. Credo che alla fine sia anche questo il tuo mestiere, no?
    Gianni

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  9. Purtroppo oggi è ritenuto severo quell'insegnante che, ma guarda che pretesa!,desidera che i propri alunni si comportino in manniera educata.L'educazione, una volta cosa ovvia,normale,impartita dai genitori,ora è diventata qualcosa da marziani.Anch'io sono una insegnante ritenuta severa, ma, come ho avuto modo di spiegare più volte ai genitori dei miei alunni, secondo me non è sverità stabilire delle regole per la convivenza civile e pretendere che i propri alunni le rispettino. Non è bello vivere nel caos o nell'anarchia! Purtroppo i giovani d'oggi sono bombardati da pessimi esempi che provengono da ogni dove (basta seguire un po' la politica....,ma è ancora politica?)per cui a scuola abbiamo il dovere morale di ristabilire le regole. Noi che nella scuola ,malgrado tutto, ci crediamo ancora, non ci dobbiamo spaventare se ci etichettano come insegnanti severi, perchè sono i nostri stessi alunni che ci danno conforto con il loro affetto e le loro famiglie con la loro stima, una volta che ci hanno conoscuti. Quindi mi sento di dire che mi auguro che ci siano sempre più insegnanti severi per il bene dei nostri alunni e della società tutta!

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)