venerdì 24 giugno 2011

l'urlo (Inf. I)

di lo Scorfano

Quando, in una terza, inizio a leggere Dante, io faccio fare un urlo. Un urlo fortissimo, a tutti. Poi, in genere, arriva la bidella che dice: «Ma è successo qualcosa?» E tutti ridono. E io rispondo serio: «No, signora, stia tranquilla, non è successo niente. Grazie di essersi preoccupata». E poi lei esce con lo sguardo ancora perplesso, e allora comincio a ridere anch’io, e ridiamo tutti insieme per un buon minuto. Abbiamo fatto l’urlo: un AAAAH! collettivo, liberatorio e propiziatorio.

Lo faccio sempre, tutti gli anni. Lo faccio a dicembre, perché è in quel mese che in genere attacco con il canto I della Commedia di Dante. L’idea è che i mesi precedenti mi siano serviti a preparare la lettura, a far sapere esattamente cosa sta accadendo in quel libro, e perché. L’urlo invece mi serve a rendere indimenticabile quell’attimo e a dare coscienza della sua importanza. E poi, finito l’urlo e finito di ridere, a quel punto, posso finalmente attaccare a leggere:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
Ecco, questo è il momento in cui capisco se è andato tutto bene, nelle lezioni tra settembre a dicembre, se davvero ci sono riuscito.      
      Mi fermo e aspetto che loro mi dicano qualcosa. E loro infatti mi dicono qualcosa: «La metà della vita è 35 anni, io lo so.» «Giusto.» «È il 1300, preciso.» «Giusto.» «È l’anno del Giubileo.» «Giusto.» «La selva è una foresta… è oscura perché rappresenta il peccato.» «Giustissimo» (sono tutte cose che hanno in qualche modo già studiato: a volte alle medie, a volte al biennio, a volte addirittura alle elementari). Eppure, so benissimo che l’osservazione più importante non me la farà nessuno: lo so, e va bene così. Perché è osservazione difficile, fatta per la prima volta da un eccellente dantista americano, Charles Singleton, e che però ancora oggi trova poco spazio nei commenti scolastici, chissà perché. Eppure è fondamentale.

Allora, a quel punto, tocca a me. E io chiedo: «Chi è il soggetto dell’azione?» Loro mi guardano un attimo; poi qualcuno trova il coraggio della banalità e dice: «È Dante stesso». «Bene» dico io, «ne siamo sicuri?». E poi insisto: «Non è possibile che Dante, che è senz’altro l’autore dell’opera, dica “io” ma intenda qualcun altro, un protagonista fittizio, qualcuno che non si chiama Dante, magari?». Sì, certo che è possibile. E però loro sanno che non è così: gliel’hanno detto, gliel’ho detto anch’io, mentre introducevo la lettura della Commedia. Questo “io” iniziale che si è perso nella selva è Dante, senza dubbio.

E però, comincio a spiegare, e però questo nome nel testo non c’è. Per 63 canti noi andiamo avanti e leggiamo quest’opera  e chiamiamo il suo protagonista Dante, ma nessuno, tantomeno l’autore, ci ha mai autorizzato a farlo. È una libertà che ci siamo presi, senza il permesso. (Stupore in classe, ovviamente) Finché non avviene il miracolo, canto 30 del Purgatorio, qualcuno arriva e pronuncia il nome. E il nome è… «Dante». (Sospiro di sollievo, ovviamente). Chi pronuncia quel nome? Non è difficile da indovinare: è Beatrice. Anzi di più: la prima parola che Beatrice pronuncia nella Commedia è proprio quella, «Dante». Nessuno l’aveva mai pronunciata prima, nessuno la pronuncerà mai più dopo. Il miracolo avviene lì, canto 30 del Purgatorio: unico caso in tutta l’opera (e poi Dante, quello che sta scrivendo, se ne scusa anche). Ci arriveremo, ragazzi: ci arriveremo e avrò da dirvi alcune cose importanti su quel momento decisivo. Ma ora torniamo a noi, all’inizio, primi due versi.

Dante non dice solo «mi ritrovai», dice anche «nostra vita». «Io» quindi, ma anche «noi», fino dai primi due versi, fin dall’inizio, a segnalare un concetto di importanza capitale. L’«io» che racconta siamo «noi» che leggiamo: volete sapere quale nome dare a questo artficio così semplice (io/noi, «mi»/«nostra»)? (Sì, lo vogliono sapere: a questo punto lo vogliono sapere) Si chiama «allegoria», questa cosa, ed è il cuore stesso della Commedia. Il mattone su cui tutto si regge: «mi»/«nostra», io/ noi. Significa che quello che Dante racconta di sé in quest’opera è in realtà quello che succede a noi, sempre; o che può succederci. Significa che non è la storia di un uomo, ma è la storia di tutti, anche la nostra. Significa che Dante vuole che lo sappiamo fin dal primo verso degli oltre quattordicimila che compongono l’opera.

Vedete, ragazzi, Dante ha un’idea della storia tutta medievale: la storia non è solo cammino dell’uomo verso un futuro ignoto, ma è prima di tutto storia della salvezza dell’uomo. Di come gli uomini si salvano e raggiungono la felicità, Dio. Ogni uomo ha la sua strada, ma la strada di tutti gli uomini ha la stessa meta, Dio. Si può deviare, è concesso, si chiama libertà: ma non si può deviare ed essere anche felici: questo non è concesso. Chi devia, chi si perde, chi non chiede aiuto sarà infelice.

Ma ci si può salvare, a ogni passo: e ogni salvezza custodisce un segreto: il suo racconto (che è poi la trama della Commedia) è anche il racconto della salvezza di tutti gli altri uomini. Io/noi, appunto; «mi ritrovai»/«nostra vita». La vita non è una, la vita non è mia, la vita è di tutti, è nostra. E in ogni storia di salvezza si raccontano le storie di tutte le altre salvezze, una per una, e la nostra storia è nella storia dantesca (se noi vogliamo che lo sia, naturalmente; siamo liberi). È solo un exemplum, vi direbbe Dante; ed è per questo che non c’è nome del protagonista e che quando c’è l’autore si scusa per averlo citato. La storia è di tutti, la salvezza è per tutti.

Questa cosa, questa strana cosa che noi facciamo fatica a capire, si chiama allegoria. E significa che la storia di noi uomini su questa terra non ha solo il senso che noi vediamo, ma ne ha un altro (alcuni altri), ben più profondo, spesso illeggibile, ma fortissimo e presente: è la storia che lo sguardo di Dio sa leggere nelle vicende umane; ed è quindi la storia di come ci salveremo, per sempre, dall’infelicità. Ed è per questo che la Commedia è un poema «allegorico», come avete già studiato.

E mentre dico questo, mi fermo e li guardo. Le facce sono perplesse. C’è sempre qualcuno che mi dice: «Ma l’allegoria non erano la “selva oscura”, il “colle”, le “tre fiere” e quelle cose lì?» Mi tocca deluderli: «No, ragazzi, quello non c’entra niente, quelli sono simboli, al limite metafore. Dante le chiamava transumptiones, in latino. Ma non sono l’allegoria del poema».

Loro tacciono. Poi, se sono stato fortunato, qualcuno chiede: «Ma quindi questo viaggio suo è come se fosse il nostro viaggio?» È a quel punto, se sono stato fortunato, che posso finalmente sorridere e rilassarmi: «Sì, è il nostro viaggio: un viaggio dentro la sofferenza di una persona, che però è anche un viaggio dentro sofferenza dell’umanità intera, e quindi è anche il viaggio dentro la nostra personale sofferenza. Un viaggio in cui i personaggi che si incontrano sono soltanto specchi di lui, Dante, e di noi, appunto. Fino ad arrivare alla felicità, la fine dei desideri, l’amore infinito, Dio. E sarà fra tre anni, quando leggeremo l’ultimo canto del Paradiso».

E poi, se sono stato ancora più fortunato, le facce perplesse diminuiscono, gli sguardi si fanno limpidi. In quel momento, forse, capisco che il lavoro tra settembre dicembre è servito. Capisco che posso cominciare a leggere. Comincio a leggere. E allora, dentro di me, in quel momento, io urlo, urlo fortissimo, è un urlo di gioia, un urlo propiziatorio e liberatorio, un urlo affamato, un urlo che mi toglie il respiro. Ma nessuna bidella entra a chiedere se è successo qualcosa. Tutti sono zitti e aspettano. Io sento la furia dentro di me e so che è il momento:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura...

19 commenti:

  1. Mi tornano ancora i brividi dopo anni dalla prima lettura..
    MZ

    RispondiElimina
  2. Naturalmente io so chi sei tu, e so che ti ricordi l'urlo... Ciao

    RispondiElimina
  3. L'idea dell'urlo, per rendere importante e indimenticabile il momento, è geniale.

    RispondiElimina
  4. Intendiamoci, poi magari finisce che si ricordano l'urlo e si dimenticano Dante... Però, insomma, si fa quel che si può. ;)

    RispondiElimina
  5. Ciao. Questo è il mio primo commento qui: vengo dal blog di Lia... Piacere.

    L'allegoria della selva è anche citata su garzantilinguistica.it: può essere che siano tutti sulla strada sbagliata?

    Devo dire però che se me l'avessero raccontata così 15 anni fa, la Divina Commedia, forse non mi sarebbe interessata lo stesso ma avrebbe preso tutto un altro senso. Sono contenta di averla letta adesso, anche se è un po' tardino. Grazie.

    PS: questo post conferma la mia teoria che bisognerebbe essere portati per fare un mestiere. Quello dell'insegnante è poi un mestiere importantissimo e bisognerebbe proprio avere la passione per riuscire a trasmettere qualcosa, ad educare. Avere a che fare con persone come la prof. di cui parli in uno degli ultimi post (quella del perizoma etc.) è del tutto diseducativo: non solo non ti insegna nulla sulla materia, ma ti da l'esempio del non rispetto delle regole, delle persone e della scuola come istituzione. D'accordo su tutta la linea del tuo post.
    PPS: i tuoi studenti sono fortunati.

    RispondiElimina
  6. @soulexplosion
    Ciao e grazie dei complimenti, innanzitutto.
    Poi, per quanto riguarda la questione dell'allegoria, il discorso è un po' più complesso di come di solito (ovunque) si legge. Dante ne parla due volte in due opere diverse: il Convivio e l'Epistola a Cangrande della Scala. Nel primo caso è molto preciso: dice che esistono due tipi diversi di allegoria: l'allegoria dei poeti e l'allegoria dei teologi. La prima consiste solo in un procedimento retorico di sostituzione: io dico selva>/i> e intendo peccato (nell'Epistla definisce questo procedimento transumptivus, come ho già scritto nel post); la seconda è invece il modo in cui lo sguardo di Dio legge le vicende umane nell'ottica della salvezza.
    Quando parla della Commedia, nell'Epistola a Cangrande, Dante scrive esplicitamente di rifarsi al modello teologico: e d'altronde la stessa vicenda raccontata nel poema non poteva prevedere altro. Si tratta del racconto di una salvezza che funziona in modo paradigmatico per tutte le salvezze.
    Peraltro, anche in termini molto empirici, è ovvio che una l'opera di Dante è allegorica non perché contiene alcune metafore o alcune catene di metafore: questo dovrebbe valere per qualunque altra opera letteraria. L'aggettivo allegorico applicato al poema dantesco è ben più significativo e importante.
    Poi, ultima considerazione, sono stati scritti diverse centinaia di saggi su questo argomento ed è ovvio che si tratta sempre e solo di interpretazioni. Ma in questo caso mi pare che il conforto di altre opere dantesche possa essere in qualche modo risolutivo.
    E scusami per la prolissità (l'argomento mi sta a cuore, come anche tu hai notato).

    RispondiElimina
  7. "Nessuno l’aveva mai pronunciata prima, nessuno la pronuncerà mai più dopo." Qui, il primo brivido.
    Dopo ce ne sono stati altri.

    E grazie, come sempre.

    P.s.
    Ora vado a rileggermi il post su "la fine dei desideri".

    RispondiElimina
  8. @il nomade
    Quel passo del Purgatorio in cui si dice quel nome, unica volta in tutto il poema, è indiscutibilmente il mio passo preferito di tutta la Commedia. Non ne parlo qui, non ci scrivo niente, per non profanarlo.

    RispondiElimina
  9. Ti muovi benissimo, tra il sacro ed il profano, secondo me.
    Una piccola noterella, così, giusto per? Una traccia, come dico io.
    Dai, dai... :)

    RispondiElimina
  10. ah,
    l'itinerarium mentis in deum,
    il Singleton,
    l'interpretazione figurale,
    i quattro sensi della Scrittura,
    l'allegoria e il simbolo.

    è per poter spiegare queste cose che ho fatto l'insegnante.

    RispondiElimina
  11. @lanoisette
    L'interpretazione figurale, i quattro sensi delle scritture... Non è che io e te abbiamo frequentato gli stessi corsi?

    RispondiElimina
  12. @ soulexplosion
    Anche la mia idiosincrasia verso la matematica conferma la stessa teoria che bisognerebbe essere portati per fare un mestiere (mi riferisco a chi me la insegnava) :-D Soprattutto se penso quanto mi appassiona la fisica quantistica, che ho dovuto studiare da autodidatta.

    RispondiElimina
  13. Personalmente ho odiato Dante e avrei dato alle fiamme la sua Commedia senza la minima esitazione. Ma forse, e dico forse, se avessi avuto te come prof di italiano, avrei avuto qualche possibilità in più di capire qualcosa della vita un po' prima o, quantomeno, avrei iniziato prima a farmi venire qualche dubbio in più.
    I tuoi ragazzi sono fortunati! Chissà se se ne accorgono?

    RispondiElimina
  14. @Franz
    Questo riesco a dirti: io al liceo odiavo Dante, come te. Mi sono iscritto all'Università e ho saputo che per il primo esame avrei dopvuto studiare tutta (tutta) la Divina Commedia e avrei bestemmiato. Poi l'ho letta tutta (tutta) di seguito, come un libro, come il libro che è, e ho capito. La mia vita è cambiata lì.

    RispondiElimina
  15. Grazie, Scorfano, di queste perle dantesche.

    La Commedia è un'opera difficile; è come un porto, bisogna avere una certa età per assaporarlo, non è cosa per adolescenti e non è per tutti. Eppure, anche da adolescenti, lascia un segno. Se trova terreno fertile questo segno diventa seme e germoglia.

    ilcomizietto

    RispondiElimina
  16. @ilcomizietto
    Grazie a te del sostegno, come sempre.

    RispondiElimina
  17. @lo scorfano
    Credo che rileggerò la tua risposta un paio di volte prima di capirci qualcosa! :D
    Ti faccio sapere se dopo va meglio. ;)

    @marco
    Io mi rendo conto giorno dopo giorno in cosa mi piace investire le mie energie... E spesso quello che mi piace non combacia con quello che faccio per lavoro. Per questo ogni tanto mi chiedo se ho davvero sbagliato tutto nella vita.
    Sono sicura però di non danneggiare generazioni di ragazzi come avrebbe voluto mia madre (dicendomi di andare a insegnare matematica): non sono decisamente portata per l'insegnamento. :)

    RispondiElimina
  18. @soulexplosion
    Mi rendo conto di essere stato molto sintetico nella risposta, e forse anche un po' approssimativo (e con alcuni erori di battitura, che certo non aiutano). Però, insomma, senza farla diventare una barbossissima nota sull'allegoria in Dante, era il meglio che riuscivo a fare ;)

    RispondiElimina
  19. bello così..sicuramente è un fatto che nessun alunno si scorderà mai

    RispondiElimina

(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)