Dunque, il gatto rosso è morto. Ne ho avuto la certezza qualche ora fa, dall’anziana vicina di casa che sa tutto e che non mente mai (o quasi mai). Il gatto rosso, che era sparito dalla circolazione da qualche giorno e per cui cominciavo a stare in ansia, è morto. Peccato. Era bello il gatto rosso: era bello e, se mi permettete il bisticcio, era soprattutto bullo. Il bullo del quartiere, a tutti gli effetti: non solo gli altri gatti gli giravano al largo con mille cautele; persino i cani lo guardavano da lontano e poi, se potevano, cambiavano strada. Il gatto rosso invece no: lui non cambiava strada mai.
Perché il gatto rosso, oltre che bello e bullo, era anche grosso, se mi permettete il secondo bisticcio di parole. Grosso come i gatti che vivono all’aperto, che cacciano topi e lucertole, che dormono al freddo; grosso come i gatti cui il patrimonio genetico ha regalato il privilegio di essere più belli e forti degli altri.
Io lo guardavo, soprattutto d’estate, al tramonto: aveva l’abitudine di mettersi in posizione da gatto su un muretto che c’è qui accanto, con gli occhi socchiusi, davanti alla luce del sole che scendeva. Si vedeva che era felice. Ora, mi dice l’anziana vicina che è andato sotto una macchina, una delle poche che passano di qui. Io non ci credo.
Il gatto rosso non sarebbe mai andato sotto una macchina, era troppo furbo. Io penso piuttosto che qualcuno l’abbia avvelenato: perché era prepotente e bullo e anche maleducato, il gatto rosso. Faceva la pipì dovunque. In particolare gli piaceva farla sulle scale di casa mia: e qualunque cosa io facessi per tenerlo lontano, lui tornava, pisciava, e poi si metteva con gli occhi socchiusi davanti al sole che tramontava. Io lo guardavo e pensavo che era una vita felice, la sua. E poi, imprecando, scendevo a pulire le scale.
Quando, dal terrazzo, lo chiamavo con i suoni con cui si chiamano i gatti, lui girava appena appena la testa, una sola volta. Poi, se lo richiamavo, non la girava più: sapeva che gli stavo solo facendo perdere tempo, lui che aveva un sacco di cose da fare (chissà che cosa, a parte pisciare in tutti gli angoli) e se ne andava per la sua strada. E aveva un’andatura che sapevo che voleva dirmi, chiaramente: «Che cazzo chiami, scemo? Non vedi che ho da fare? Che cazzo chiami se non hai niente da dirmi?» E sapevo anche che aveva ragione, il gatto rosso: non avevo niente da dirgli.
E anche gli altri gatti gli stavano lontano, lo temevano. L’episodio più bello che ho visto, della vita del gatto rosso (chissà se ha mai avuto un nome, quel maledetto bullo grande e grosso), è stato quando ha spaventato la micina della mia vicina di casa più giovane. L’ha inseguita per qualche metro, lei era terrorizzata e si è rifugiata sotto la macchina della sua padrona, piccolo territorio di proprietà. Lui allora si è messo lì, a cinque o sei metri di distanza, apparentemente tranquillo, e le impediva di uscire da sotto. Sono rimasti così per più di un’ora, lui immobile, lei tremante. Poi lui forse si è distratto un attimo e lei è riuscita a correre via, verso il giardino di casa sua. Ma lui non l’ha inseguita: con il suo passo da bullo strafottente si è avvicinato con esibita calma alla macchina della di lei padrona e, mentre la gattina lo guardava, ha sollevato leggermente una zampa e ha pisciato con gusto su una ruota di quell’auto. E poi si è allontanato, sempre con calma prepotente, verso il suo muretto. E ha socchiuso gli occhi verso il tramonto.
Oggi, chi venisse qui a fare un giro per godersi la pace del lago e della domenica, vedrebbe uno spiazzo pieno di gatti e gattini. Ma una volta, fino a pochi giorni fa, non era così: una volta il gatto rosso impediva a tutti di girare tranquilli nel suo spiazzo, e ci girava solo lui. E io lo so che dovrei dirvi che è meglio adesso, che tutti stanno tranquilli e ognuno può fare quello che vuole e nessuno glielo impedisce. Ma non ci riesco, non so perché: mi manca il gatto rosso, con la sua bullaggine. Mi manca il suo passo indifferente e scocciato degli uomini e del loro affannarsi dietro a chissà cosa. Lui, il gatto rosso, che invece non si affannava mai. Perché sapeva. Non so cosa, ma so che la sapeva: qualcosa che io non saprò mai.
Addio, gatto rosso. Nella consapevolezza che, se c’è un inferno dei gatti, tu sarai là a litigare con qualche altro gatto bullo e grosso come te. Mentre qui c’è una pace strana, che lascia sospese e irrisolte tutte le nostre domande di sempre, mentre il sole tramonta e noi proviamo a fissarlo come facevi tu. Sperando di capire quello che già avevi capito tu.
Per sbaglio ho letto questo post ascoltando Wild is the wind di Nina Simone e ti assicuro che mi ha fatto malissimo. Applausi.
RispondiEliminaI gatti hanno un fascino tutto loro, sarà perchè hanno un carattere unico e lo capisci subito il carattere di un gatto.
RispondiEliminaLi ami o li odi, non ci sono mezze misure.
Gran bel post.
Chapeau
@Il DIsagiato
RispondiEliminaAttento alle colonne sonore, sempre... ;)
@pochepretese
Grazie (io li amo, per inciso)
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RispondiEliminaBellissimo. Anche se non tutti i gatti rossi sono dei bulli. Ciao. Tra l'altro io ho un gatto particolare.
RispondiEliminaIo invece, sempre per curo caso e sempre di Nina Simone, sto ascoltando "don't explain"! Quando ho letto il commento del disagiato ho pensato che forse c'è davvero un sottile filo che collega alcuni eventi... Poi ho pensato "aaqui, non dire cappellate".
RispondiEliminaPotere delle coincidenze...
I cani piacciono ai militari, i gatti ai poeti (Cocteau molto a braccio...)
RispondiEliminaCmq consiglio le seguenti letture per l'estate (se non già fatta):
http://en.wikipedia.org/wiki/The_Unadulterated_Cat
(della traduzione italiana non ho trovato quasi nulla, bah)
e soprattutto
http://torreditanabrus.wordpress.com/2010/08/10/il-prodigioso-maurice-e-i-suoi-geniali-roditori/
Dicono che sia per ragazzi. Non è vero.
uqbal
@Alberto
RispondiEliminaGrazie del tuo post sul gatto "Tigre"; molto apprezzato.
@uqbal
RispondiEliminaFarò tesoro dei consigli (scopro ora di non aver mai letto niente sui gatti, in vita mia)
bravissimo!
RispondiEliminauqbal
Marramachiz? :-)
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