domenica 5 giugno 2011

anzi

di lo Scorfano

Martedì ero in una mia classe e, non so come mai, non so a partire da quale testo letto insieme agli studenti, è venuto fuori un piccolo discorso sull’amore materno. Io ne ho approfittato per dire ai ragazzi di badare all’amore delle loro madri, di non darlo per scontato; ho insistito un po’, perché so fin troppo bene come si è a sedici anni, perché vedo le loro mamme affannate ai colloqui con i professori, perché sento la loro apprensione continua, ma sento benissimo anche il fastidio dei ragazzi per quell’apprensione. So che non riescono a dare troppo peso a quell’amore perché comunque c’è, perché è ovvio che ci sia.

Allora ho insistito. E mentre insistevo sull’amore delle loro madri, non mi sono reso conto che una delle mie studentesse, che si chiama Michela, aveva gli occhi lucidi, si stava commuovendo. Quando me ne sono accorto e l’ho guardata, era già troppo tardi: Michela era nel frattempo scoppiata in lacrime, si è alzata di scatto dal banco, mi ha fatto un segno con cui mi chiedeva il permesso di uscire, io l’ho lasciata andare e poi, quando lei è uscita, sono rimasto muto davanti a tutti.        
E ci avevo anche pensato, in realtà, prima di cominciare a parlare: avevo pensato al fatto che tutti questi ragazzi hanno una mamma che vive con loro, che lo so, che potevo fare quel discorso senza esitare troppo, che non c’erano controindicazioni. Ma quando Michela è uscita mi sono lo stesso maledetto da solo. Ho pensato: «Ecco, che sei il solito deficiente. Parla di lettteratura, deficiente, che è l’unica cosa che sai fare. Cosa ti impicci a fare in questi discorsi che non servono a un cazzo e fanno solo danni…» Così pensavo, maledicendomi. Poi ho guardato i ragazzi lì seduti e ho chiesto: «Ho detto qualcosa di sbagliato?»

Loro mi hanno rassicurato: «No, prof, non si preoccupi… Michela è così, ogni tanto si commuove». E io: «Ma siamo sicuri? Sua mamma sta bene?» «Sì prof, stia tranquillo» mi ha detto la sua compagna di banco, «è solo che Michela è fatta così, non si preoccupi». E io allora, prima i ricominciare a leggere il testo che dovevo leggere, ho detto: «Be’, scusatemi con lei, quando rientra. Ditele che non l’ho fatto apposta, che non sapevo». Ma Michela è rientrata subito, io mi sono scusato subito, lei mi ha detto «non importa», io le ho chiesto solo una volta se c’era qualcosa di grave, lei mi ha fatto un cenno con la testa (ancora faceva fatica a parlare) che diceva che no, non c’era niente di grave. E io non le ho chiesto più altro, perché già avevo fatto abbastanza danni; e poi ho finito la mia lezione di letteratura e sono uscito dall’aula.

Questo è successo martedì. Dopo ci sono stati il mercoledì, che è il mio giorno libero, e poi il giovedì, che era festa nazionale. Venerdì sono tornato a scuola e a una certa ora sono rientrato in quella classe. Ho interrogato di latino. Poi l’ora di lezione è finita e ho salutato tutti e stavo uscendo dalla porta, quando Michela mi ha fermato in corridoio. Mi ha detto: «Guardi, prof, volevo solo dirle che martedì non è successo niente, davvero. C’è solo che la mamma della mia migliore amica sta moilto male e io mi sono un po’ agitata…» «Mi dispiace molto» le ho detto io. «Non potevo saperlo, scusami». E lei ha continuato, con gli occhi vivaci: «No, ma non deve mica scusarsi, sono io che mi sono lasciata andare, mi scuso io… E poi, anzi.»

E su quell’«anzi» io le ho sorriso e mi sono allontanato, per andare nell’altra mia classe, sempre a interrogare di latino. Ma non le ho voluto chiedere cosa ci fosse dentro quell’«anzi», vi dico la verità: io le ho sorriso, lei mi ha sorriso, e ho lasciato che finisse così. Che magari non c’era niente in quell’«anzi», era solo un intercalare, una parola detta così, per dire.

A me non è sembrato, però: mi è sembrato che fosse un «anzi» importante, di chi ha preso un po’ di coscienza del dolore, magari solo pochissima, ma quella che aiuta. E allora venerdì, finita la mattina di lavoro, sono tornato a casa e mi sono portato dietro quell’«anzi», come se fosse un piccolo gioiello, sapendo che probabilmente non lo è, ma apposta illudendomi che lo possa essere. Perché si ha bisogno anche di questo, a volte. Di attaccarsi a un bisillabo, al bel gesto di una ragazzina che potrebbe fregarsene di come come sto io, dell’errore che credo di avere fatto, e invece non se ne frega e mi vuole rassicurare. Sembra poco, a voi, lo so, vi sembra probabilmente pochissimo. Ma per me non può esserlo, anzi, non deve esserlo.

7 commenti:

  1. E magari si pensa che, 'anzi', quello che facciamo e diciamo non è così inutile e vano.

    Bel post, Scorfano, 'anzi', bellissimo!

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  2. Volevo già scrivertelo sul post della tua "cicatrice": le storie che racconti sono davvero "sensibili" alla realtà, come lo sono gli studenti che descrivi tu (come il loro professore, quindi!).
    Comunque, quello che mi impressiona è davvero come i ragazzi cui insegniamo (italiano, latino, ecc...) possano lasciarsi ferire da quel che diciamo. Non era sua mamma, quella a cui stava pensando: che finezza d'animo, quindi, la sua.
    E' anche per questa impagabile profondità che insegnare è un mestiere unico, e non non lo scambierei con nessun altro...

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  3. Quello che impressiona me, appunto, è la facilità con cui si può ferire un sedicenne con un discorso generico. Quello che spaventa me, da diciassette anni.

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  4. Veramente in un discorso generico si può ferire anche una quarantasettenne, per esempio ... ;)

    [ti punisco perchè mi fai colare il rimmel]

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  5. Bel post e soprattutto bella classe ;^)

    Io ho pensato che "anzi" volesse dire: "Sono contenta che lei parli di queste cose, Prof. Contenta che a scuola, nella mia aula, tra un'ora di interrogazioni e un'altra dedicata al programma ministeriale, si riesca a parlare di cose concrete, di sentimenti. E si riesca non solo a far riflettere ma addirittura emozionare. Le sono grato per questo."

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  6. Bella classe, senza dubbio: una delle più belle mai avute.
    Sul significato di "anzi", non lo so. Sarebbe bello che fosse quello che dici tu; ma forse è altro, forse chissà cosa. L'unico dato di cui sono certo è che l'ho sentito e visto, quell'"anzi".

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)