Delle due ragazzine del primo banco, quelle che avevano preso 3 nella prima verifica, una è finalmente arrivata a prendere 6 in latino: il che, ovviamente, è un gran bene. Ne è stata talmente felice, che mi ha chiesto di poter portare a casa la verifica corretta e da me valutata, per farla vedere ai genitori. E io gliel'ho concesso, naturalmente.
L'altra, quella che dapprima aveva reagito con più determinazione, non è invece mai riuscita a fare meglio. Quel 5 preso nella seconda verifica l'ha forse un po' troppo appagata, come se il risultato fosse stato raggiunto. E adesso è un po' più in difficoltà di quanto prevedevo. Succede: a volte una parola di incoraggiamento, detta male o nel momento sbagliato, finisce per assomigliare a una sorta di benestare che ha effetti negativi. È un errore anche questo, ovviamente, ma un insegnante non se ne accorge mentre lo commette: se ne accorge molto dopo, e recuperare può anche essere difficile, speriamo di no.
Roberto, il ragazzo che all'inizio sembrava molto spaventato, si è al contrario rivelato un ragazzo pronto, molto attento e studioso, fin dalla verifica iniziale.
Voti alti, a volte altissimi, nessun problema, interventi precisi e pertinenti. Non ne ho più scritto perché ho pensato di aver completamente sbagliato valutazione all'inizio (e un po' mi vergognavo, lo confesso); poi però ho parlato con il padre che invece mi ha confermato che veniva da tre anni molto difficili alle medie, in cui si era trovato male e aveva affrontato il liceo con molto timore. Quindi non mi ero del tutto sbagliato, ho pensato. Ma comunque tutto va molto bene, e credo che proseguirà così.
Il mio giovane calciatore viaggia invece su valutazioni bassissime. Un po' meglio in orale, ma sempre in grande difficoltà. Devo ancora capire quanto tutto questo dipenda dalla sua poca voglia di studiare e quanto invece dal fatto di essere arrivato tardi e quindi non aver ancora capito appieno il metodo di lavoro. Dovrò, naturalmente , capirlo alla svelta, prima che sia troppo tardi per lui. Nel frattempo lo invito con insistenza a lavorare e a chiedere tutto quello che vuole. Lui sembra presente e attento, ma i risultati dicono tutt'altro; e come andrà a finire è ancora tutto un mistero. Ci penserò anche nelle vacanze, quando avrò la testa un po' più libera di ora; e spero di venirne a capo.
Poi ci sarebbe anche il ragazzino siciliano, quello che già il primo giorno si era fatto notare. Ma lui è proprio bravissimo di suo, non so proprio cosa dovrei raccontare. Se non forse che ci sono sempre, in ogni classe, questi ragazzi motivati, sereni, capaci di affrontare la scuola come un luogo in cui vivono bene ed esprimono se stessi con la massima tranquillità, anche nei rari casi in cui i voti siano un po' più bassi del solito. Sono eccezioni, francamente; ma è comunque bello incontrarli.
E poi ci sono tutti gli altri, di cui invece non ho mai parlato. Ci sono un paio di ragazze che piangono ogni volta che le interrogo, con esiti alterni e dipendenti più dalla loro emotività che dal loro studio. Ogni anno che passa sono sempre di più quelli che piangono, in prima (ma anche in seconda e in terza). Immagino sia una questione generazionale, o di educazione familiare, o di abitudine: non posso farci niente, ora che hanno quattordici anni. Poi, piano piano, si abitueranno e non piangeranno più. E andranno anche meglio a scuola, ovviamente; ed è molto facile che i loro genitori non sapranno mai di quanto, in classe, piangevano.
Poi c'è Monica, che invece ci tiene davvero tanto ai voti ed è molto difficile farla stare un po' più serena. L'unica volta che non ha preso la sufficienza si è fatta un pianto silenzioso di mezz'ora, seduta al suo posto. E non è servito a niente che io le dicessi che può capitare, che capita a tutti, che è quasi meglio che capiti. Per lei era una tragedia, definitiva, e le lacrime non si fermavano. E invece c'è Alessandra che all'inizio sembrava del tutto spaesata e che ora pare diventata la più brava di tutti: precisa, partecipativa, sempre con domande da fare e con risposte da provare a dare. E poi c'è Ruggero, che secondo me studia tanto ma che ancora fa molta fatica a comprendere i meccanismi del latino, nella loro complessità. E ancora c'è Giorgio, che invece quando viene interrogato è preciso e sicuro di sé, mentre negli scritti perde completamente la calma e riempie il foglio di pasticci inverosimili, che nemmeno lui (qualche giorno dopo) capisce come sia stato possibile scrivere. E poi c'è Mario che è molto bravo ma sempre silenzioso, non parla mai. Seduto all'ultimo banco, non l'ho mai visto distratto: ma nemmeno gli ho mai sentito fare una domanda o un'osservazione. Studia, risponde alle domande, fa bene le verifiche. Poi torna a casa e io rischio di finire l'anno senza nemmeno sapere chi sia.
Insomma, questa è la mia prima: che non è diversa dalle altre prime che ho avuto e non è diversa nemmeno dalle altre prime di tutta Italia e di tutto il mondo. Ventidue ragazzi, equamente divisi tra maschi e femmine, che ci provano, chi più e chi meno, che sono arrivati qui da sedici scuole medie diverse, ognuno con un carattere diverso, una famiglia diversa, una storia diversa alle spalle. Io sono il loro insegnante di latino, e sono contento di esserlo e di avere cominciato in questi mesi a conoscerli e di poterli aiutare (anche sgridandoli) a studiare un po' e a cominciare il loro percorso liceale.
Sono loro, i miei alunni, tutti diversi uno dall'altro, tutti di quattordici anni (o ancora tredici, alcuni) ma con esigenze diverse l'uno dall'altro. Bisogna saperlo che sono così, tutti diversi. Bisogna saperlo e non affollare le classi, ché altrimenti il lavoro non si riesce più a fare: o almeno non si riesce più a fare bene, come si deve, come è giusto sempre che venga fatto, con la necessaria attenzione a ognuno di loro.
Volevo dire questo al neoministro Profumo, da diversi giorni, da quando ha rilasciato una discutibile dichiarazione sul numero degli alunni per classe. Ma non volevo fare polemica (già mi sono bastate quelle con il suo predecessore) e quindi non sapevo come dirglielo. E allora ho deciso di raccontare un po' di queste storie, di come stanno andando e della paura che ho che alcune possano andare a finire male. Sperando che anche lui, il ministro (come gli altri), capisca che con ventidue quattordicenni è un lavoro che si può fare bene (o almeno provarci) e con la necessaria calma e serenità; con più di trenta, invece, non ci si può nemmeno provare. E questo non posso fare a meno di ripeterlo, ogni tanto.
Mario è il mio mito. E anche quella che è passata da 3 a 6.
RispondiEliminaVai così, Prof.
La passione che traspare da questi post è toccante. Sarebbe bello se tutti svolgessero il proprio lavoro con lo stesso pacato e soddisfatto entusiasmo.
RispondiEliminaPerò che tristezza pensare che tre anni di scuole medie possano annichilire un ragazzo così bravo e brillante, tanto da spaventarlo e da fargli dimenticare di essere capace e intelligente. Questo fa davvero spavento...! I miei complimenti ai professori delle medie di Roberto!
RispondiEliminaCome sai, queste storie mi piacciono tanto. Non so perché, tutte le espressioni artistiche incentrate sulla scuola, siano esse film, libri o blog, mi prendono in maniera morbosa.
RispondiEliminaAspetto i prossimi post concentrati su un solo alunno, dopo questo sacrosanto colpo di gomito a Profumo. Mi piacerebbe leggere di più di Mario: mi affascinano, questi personaggi.
E il calciatore, anche, ovviamente.
"E poi c'è Ruggero, che secondo me studia tanto ma che ancora fa molta fatica a comprendere i meccanismi del latino, nella loro complessità."
RispondiEliminaSì, si tratta decisamente di un altro Ruggero: un Ruggero al contrario ;)
Io mi sento un po' partecipe in questa'avventura. Grazie a te che lo rendi possibile, ovviamente.
RispondiEliminaTipo uno zio putativo della classe.
E poi m'immagino i miei preofe cos'avrebbero potuto pensare di me allora, ai miei 14 anni.
E poi mi torna sempre in mente il favoloso Diario di un maestro - con Bruno Cirino... ma voi siete giovani...
Io invece riesco solo a dire che in prima ne ho ventotto, e che la differenza tra ventotto e ventidue la sento ogni giorno di più. E non voglio neanche pensare a cosa potrebbe essere *trenta e anche di più*.
RispondiEliminaIl calciatore... a quanto diamo la sua promozione? (devo organizzarmi con le scommesse... ) :-))
RispondiEliminailcomizietto
Io spero che quella di profumo fosse solo una "provocazione", un modo iperbolico per dire che col metodo laboratoriale si lavora meglio.
RispondiEliminaPero' io ho fatto lavoro laboratoriale con classi di 30 persone in una scuola non facile, e alla fine era sempre come se mi fosse passato sopra un tir. Anche se effettivamente era meglio della lezione frontale.
Io poi con i voti ho un pessimo rapporto: la valutazione formale (sommativa, per chi ci tiene) la riserverei alla fine dei quadrimestri, alla fine dei percorsi (sia pure con momenti di controllo intermedi, ma non finalizzati al voto). Pero' mi pare che lo Scorfano riesca ad usarli come uno strumento, e non come una mannaia...
Uqbal
@Speaker e Mr Tambourine
RispondiEliminaMario ha solo un problema (che non sa nemmeno di avere): che io ,alla sua età, ero esattamente come lui e quindi so come stanarlo. E quindi, presto, lo stanerò. Ma ho potuto rimandare, visto che non era urgente... ;)
@Rose
RispondiEliminaA volte le cose sono complicate: per esempio io non so come gli ho dato maggiore sicurezza... A volte, come in qualsiasi attività umana, c'entra anche l'elemento del puro caso. Teniamone sempre conto.
@il Nomade
RispondiEliminaNon credere: era solo un modo, premeditato, per stanare te, lettore silenzioso... ;)
@lgo
RispondiEliminaEcco, appunto.
@uqbal
RispondiEliminaNon so se ho capito male io, ma la dischiarazione di Profumo diceva della necessità di "superare il concetto dei laboratori" (oltre che il meccanismo delle lezioni frontali). A ma ha lasciato molte perplessità.
Quanto ai voti, io ci provo a usarli solo come strumento didattico. Poi naturalmente è tutto da vedere quanto ci riesca fino in fondo. E la verifica sommativa è sempre quella quadrimestrale, anche a mio parere.
Trenta alunni per classe?
RispondiEliminaIo, un anno che ne avevo 28, entravo in classe con l'atteggiamento di un domatore nella gabbia dei leoni: mancava solo il frustino. Però il mio sguardo era eloquente...
come dicevo qui, il neoMinistro dovrebbe fare un bel bagno di realtà: http://labiondaprof.wordpress.com/2011/11/16/nuovo-governo/
che bel post (in cuor mio spero ci siano tanti insegnanti come te). Dici: "Ogni anno che passa sono sempre di più quelli che piangono". Curioso, mi viene voglia di capire perché :)
RispondiEliminaAnch'io vorrei capirlo: ma onestamente non trovo una spiegazione che sia ragionevole...
RispondiEliminaConcordo su tutto. Anche se, da insegnante che ha scelto, potendo permettersi quel lusso, di insegnare ai tecnici, devo dirti che la tua prima non è uguale a tutte le prime di Italia. Perché nella maggioranza delle prime di Italia, che sono i professionali e i tecnici, di alunni in prima, per classe, come i miei Pesci, ce ne sono settecentocinquanta. E nessuno ha 13 anni. Certo, la maggioranza ne ha 14, ma ce ne sono alcuni che ne hanno già 15, o anche 16, e nei banchi, piccolissimi, dei primini, ci stanno scomodi come grossi Hagrid. E ci sono, nella maggioranza delle scuole di Italia, i professionali e i tecnici, molti più alunni che alunne, e questo, in prima, rende più complessa la disciplina. Ecco. Solo per aggiungere, alla tua lettera a Profumo che con "trenta e anche di più" sicuramente ci si può provare. Sicuramente ci si riesce. E però questo non vuol dire che per questo la didattica migliori.
RispondiEliminaEcco, sì, hai ragione: sono stato un po' ottimista, un po' superficiale ;)
RispondiElimina"Ogni anno che passa sono sempre di più quelli che piangono, in prima (ma anche in seconda e in terza)"
RispondiEliminaEcco, se scopri perchè, faccelo sapere.
"ed è molto facile che i loro genitori non sapranno mai di quanto, in classe, piangevano."
Esatto, ai genitori no, a noi sì, per favore.
Questa cosa mi incuriosisce parecchio (nel senso buono del termine) come mi incuriosiva quando ero studente.
MI delurko per un attimo, per destare le ire dei presenti. Ma questa cosa del latino che serve per imparare le lingue l'ho sentita troppe volte. Ho frequentato un liceo scientifico e il latino l`ho odiato (e completamente dimenticato). Avrei preferito fare decentemente chimica ( 2 ore in seconda e in quarta ) o biologia (2 ore in terza) o sapere qualcosa di meccanica quantistica, che ho conosciuto al terzo anno di universita' e ne sono stata folgorata tanto che mi ci sono laureata. E il tedesco l'ho iniziato in prima media, e quindi e' grazie al tedesco che ho imparato le declinazioni in latino, non viceversa. Per impaarare bene le lingue serve solo una cosa: sapere bene la propria e l'ananalisi logica e grammaticale (che noi facevamo gia' alle elementari e alle medie). Saluti, ora torno nel mio limbo.
RispondiEliminaLa crucca
Mi sa che ho sbagliato post :-) Pero' questa cosa la volevo dire...
RispondiEliminaLa crucca
La crucca
RispondiEliminaHai ragione. Il latino (e il greco, volendo) si studiano per altre ragioni, anche se molti raccontano in giro 'sta palla di origine ottocentesca (quando si diceva chiaro e tondo che le lingue flessive erano ontologicamente superiori ai balbettii delle lingue moderne, in particolare quelle non europee).
Secondo alcuni studi, peraltro, parrebbe che si possa essere persone colte, felici e realizzate anche senza sapere il latino. Il che non vuol dire che non serva a niente.
Se noi professori di latino fossimo meno pecoroni e i programmi ministeriali meno rompicoglioni, in latino ti avrebbero fatto leggere Newton e Galileo, cosi' facevi fisica con ancora maggior convinzione (e con un bel senso di profondita' storica, che male non ci sta).
E t'assicuro...Galileo in latino e' un'emozione...
Uqbal
Scorf
RispondiEliminaCredo che lui intendesse dire "superare l'idea del laboratorio come qualcosa di separato e accessorio, un cui si va forse una volta a quadrimestre, o mai, per alcune materie".
U.
@scorfano: puoi raccontare a Monica di quando verso la metà del primo anno di liceo ho preso un due politico in un compito di matematica :-)
RispondiElimina@la crucca: non credo che al liceo si abbiano le basi necessarie non dico per capire ma anche solo per avere un'idea della meccanica quantistica
@uqbal: ma in latino Galileo ha solo scritto il Sidereus Nuncius!
@la crucca
RispondiEliminaIn ogni caso, anche se probabilmente hai sbagliato post, il latino non serve nemmeno lontanamente per imparare le altre lingue,secondo me.
@scorfano: questo è un punto interessante. Credo che la cosa dipenda molto da come uno riesca a imparare le lingue. Io per esempio ho sempre avuto grossi problemi con le lingue straniere (soprattutto a parlarle e a capire quello che mi dicono: leggere è tutta un'altra faccenda), e sono completamente allergico ai metodi attuali di insegnamento "sul campo"; preferisco di gran lunga una grammatica prescrittiva del secolo scorso, con le norme e poi le parole da imparare. Quindi l'aver studiato latino con norme regole regolette mi ha aiutato per norme regole regolette dell'inglese :-)
RispondiElimina(poi ormai il latino l'ho dimenticato e leggo pagine latine facendo finta che sia italiano...)
tifo (non da stadio) per il calciatore che mi sembra il più sprovveduto, nonostante o forse proprio per l'iniziale aria da sbruffoncello
RispondiEliminaIo non saprei dirti, in realtà. La mia ragazza, che è madrelingua francese, sostiene che il francese l'ha molto aiutata a capire e impararare il latino. Però a me non pare che questo possa darsi nel percorso contrario (e comunque non è per questo che il latino si studia, in sostanza).
RispondiEliminaMa forse ognuno fa un po' storia a sé, anche in questo campo. E' come chi scrive subito in modo pulito e chi invece fa della rilettura una seconda scrittura...
mau
RispondiEliminaIn punta di logica e di polemica, potrei dirti che se lasci perdere le grammatiche compilative, magari potresti avere meno difficoltà con le lingue straniere.
Poi: non mi sembra che il Sidereus Nuncius sia cmq una operetta da nulla. E poi di trattatistica scientifica fino al 700 ce ne è una marea...perché il latino era la lingua della scienza...
Uqbal
Le trasmetto virtualemnte i miei auguri da Pavia, per il suo lavoro eccezionale, in senso stretto e lato. Francamente :D ho sempre vissuto serenamente la scuola, compresi i due anni con lei, direi anche oltremisura. Anche quando sono stato chiaremente colpevole non provavo alcuna ansia e questo quasi sicuramente a causa della troppa indulgenza che ho nei confronti di me stesso, come diceva un giorno, e che spesso mi decellera e mi fa arrabbiare (ma non troppo). Ora che scrivo queste parole mi rendo conto che avrei preferito avere un po' più di ansia. Tuttavia non racconterò mai, a quelli che verrano dopo, perché appunto non li ho vissuti, i momenti di paura aspettando verifiche, la noia di giornate passate a studiare, la frustrazione per voti inattesi od attesi, l'antipatia di o verso alcuni professori... perché mi piaceva pressoché tutto. Ma ancora una volta, scrivendo, mi accorgo che forse anch'io vorrei avere simili storie da raccontare in futuro.
RispondiEliminap.s.
cancellate per favore il precedente
Grazie, Temitope.
RispondiEliminaIl tuo commento mi lusinga, i tuoi complimenti ancora di più. Buona università.