martedì 6 dicembre 2011

La mia strada

del Disagiato

Lo so, non è molto interessante, ma ugualmente mi va di dirvi che i tempi che regolano il mio mestiere di commesso sono un po’ schizofrenici, cioè nel senso che durante la settimana a volte lavoro di mattina, dalle otto e mezza fino alle sedici, e a volte di pomeriggio, dalle quindici fino alle ventuno o ventidue. Insomma, o lavoro di mattino o di pomeriggio. “Che orari fai domani?”, ci si chiede tra noi commessi. “Faccio mattino”, oppure “Faccio pomeriggio”, è la risposta. Esistono anche quelli che noi chiamiamo “intermezzi”, e cioè quei turni che partono da metà mattinata e arrivano a metà pomeriggio e che sono i turni più brutti perché sembra di lavorare tutto il giorno. Comunque gli intermezzi sono rari e dipendono da una serie di coincidenze che non sto qua a dirvi. Vi racconto tutto questo per informarvi del fatto che da sei anni più o meno io “faccio mattino” o “faccio pomeriggio”. Da tantissimo tempo la mia vita privata, interiore, sociale e sentimentale è regolata da questi orari, che oramai sono diventati punti di riferimento fondamentali.

Poi lo so che non è molto interessante ma per andare a lavorare, o di mattina o di pomeriggio, io prendo la macchina, esco dal mio paesello, passo ancora un paio di paesi e poi, a novanta all’ora, entro in tangenziale per percorrere meno di una decina di chilometri fino a quando non arrivo direttamente nel parcheggio del centro commerciale. Tutto qua. Tutto molto lineare e comodo. A volte mi sembra di passare dal bagno dove mi lavo i denti alla porta del centro commerciale. È da sei anni più o meno che faccio la stessa strada e nel frattempo, durante il tragitto, ho visto edifici o capannoni crescere. Di questa strada conosco a memoria anche i tombini, come si suol dire in questi casi. Ecco, questa cosa degli orari e della stessa strada (anche voi siete disciplinati allo stesso modo, immagino) è parecchio noiosa, ma se me la levate io muoio. Perché ho bisogno di punti di riferimento, perché ho bisogno di fare ogni giorno la stessa strada e ogni settimana più o meno gli stessi turni. Io devo salire in macchina, guardare gli stessi alberi, le stesse case, poi parcheggiare e poi entrare in negozio.

L’altra sera ho scoperto che per "lavori in corso" hanno bloccato la strada che faccio di solito per tornare a casa (la stessa che faccio per andare a lavorare). “Cosa si fa?”, mi sono chiesto. Si fa che per tornare a casa c’è un’altra strada che compie, diciamo, un giro largo, un po’ più lungo. Una strada che ho percorso una paio di volte tantissimi anni fa. Insomma, sussurrando parolacce pesanti per via del fatto che la mia quotidianità era stata guastata senza alcun preavviso, ho cominciato a percorrere la strada alternativa, pian piano, prendendo confidenza con nuovi tombini, nuovi alberi, nuove case e nuove angolazioni.

A un certo punto del tragitto, al buio (erano quasi le ventidue), ho visto dei falò accesi e intorno ai falò delle prostitute che si scaldavano le mani. E poi c’erano molte macchine accostate e poi uomini che discutevano con le prostitute e poi altri uomini in angoli ancora più bui della sera e tutto questo nuovo paesaggio ha incominciato ad accelerare il ritmo del mio cuore e a farmi sudare e dentro di me dicevo “voglio la mia strada, voglio la mia strada, voglio la mia strada”. Voglio la strada tutti i giorni che dal bagno dove mi lavo i denti mi porta nel caldo della mia libreria.

“Ho bisogno di quel tragitto semplice e non di questa strada alternativa fatta di papponi, puttane e spacciatori”, mi sono detto mentre osservavo, fermo a un semaforo, un magrebino (a me sembrava un magrebino) piangere contro un tronco di un albero. Perché piange, quello? Perché mai un essere umano alle dieci di sera deve trovarsi contro un tronco di un albero versando lacrime? Non lo voglio sapere. Non mi interessa. Io quella strada scomoda e poco lineare non la voglio più fare. Io per scrivere su questo blog e per stare ben composto nel mondo reale, ho bisogno della mia strada liscia e pulita. La mia felicità è fatta da: lavarmi i denti, mettermi il cappotto, salire in macchina, percorrere la mia solita strada, parcheggiare e entrare in negozio. Solo così posso mantenere intatti il mio sorriso e la mia lucidità. Solo così posso farmi un’idea intelligente del mondo e solo così posso voler bene alle persone.

L’altra sera, invece, mi è toccato fare un altro percorso, dove c’erano prostitute e drogati. Adesso la strada che faccio di solito l’hanno riaperta (i lavori sono durati poco, per fortuna). Hanno rifatto le strisce sul suolo (adesso sono belle bianche) e hanno coperto delle buche che erano davvero fastidiose. Tra poco mi lavo i denti e vado in libreria.

3 commenti:

  1. Anch'io, con l’avanzare dell'età, mi accorgo che l'unica maniera per provare a dare un'impressione di granitica sicurezza alla propria vita è costellarla di piccole abitudini nelle quali ci si trova a proprio agio. Non sono ancora riuscito a capire se ciò sia un atteggiamento negativo, positivo o semplicemente neutro. Tu mi pare lo presenti come negativo, nel senso che ti induce all’isolamento egoistico. A volte forse è così, ma non necessariamente.

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  2. E pian piano quelle aree "non normalizzate" si estenderanno, circondando i nostri nidi tranquilli. E non ce ne renderemo nemmeno conto, finché...
    Stavo per scrivere "finché non sarà troppo tardi".

    Ma non mi suona bene. Ci ho pensato per un po' e non ho trovato il modo giusto di finire la frase.
    Suggerimenti?

    Ad ogni modo, fa bene ogni tanto immergersi in un'atmosfera diversa. Altrimenti rischiamo di convincerci davvero che i problemi siano legati solo alla patrimoniale, alle pensioni o alle aliquote Irpef. Siamo esseri umani, non conti correnti bancari.

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  3. Scusa Davide, ma "nidi tranquilli" e il pasoliniano "finchè non sarà troppo tardi" a me suona bene.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)