di lo Scorfano
Lo riconosco subito, appena entra. Non so nemmeno spiegare come, ma credo sia la sua aria straniera, un po' balcanica, qualcosa nello sguardo e nei tratti del volto. Si siede, il papà di Adrian, e si presenta, con un italiano che tradisce qualche inciampo. Io parlo del figlio. E in pochi secondo capisco che sarà un colloquio difficile: perché mi è immediatamente chiaro che il padre non conosce i voti di Adrian, non tutti.
«C'è un 6 di tema» gli dico io. E quello è un voto che lui conosce. «Il ragazzo fa ancora un po' di fatica su alcune questioni ortografiche, ma scrive bene, però. Ha senso del periodo e buona capacità argomentativa. Partecipa alle lezioni. Però...» E il però sono dei 4, sia in italiano sia in storia. Sono i 4, ripetuti, di chi semplicemente non studia. Il padre di Adrian resta muto. Guarda il registro, credo che stia cercando di sbirciare i voti degli altri; immagino che legga gli 8 e i 9 che appartengono ad altre persone, molto vicine nell'elenco ad Adrian, ma che non sono i voti di suo figlio Adrian.
«C'è un 6 di tema» gli dico io. E quello è un voto che lui conosce. «Il ragazzo fa ancora un po' di fatica su alcune questioni ortografiche, ma scrive bene, però. Ha senso del periodo e buona capacità argomentativa. Partecipa alle lezioni. Però...» E il però sono dei 4, sia in italiano sia in storia. Sono i 4, ripetuti, di chi semplicemente non studia. Il padre di Adrian resta muto. Guarda il registro, credo che stia cercando di sbirciare i voti degli altri; immagino che legga gli 8 e i 9 che appartengono ad altre persone, molto vicine nell'elenco ad Adrian, ma che non sono i voti di suo figlio Adrian.
So che arriva dalla Moldavia, questo signore. So che lavora in una fabbrica a pochi chilometri da qui. Me lo ha detto Adrian, che è un ragazzo molto loquace, all'inizio dell'anno, quando si è presentato. So che la madre vive e lavora in un'altra città; credo che faccia la badante, ma forse me lo sono soltanto immaginato, non mi ricordo. So per certo che sono soltanto loro due, in casa: padre e figlio.
E che Adrian, che è alto quasi come me e fa il rugbista, sta tutto il giorno da solo in casa, perché suo padre lavora.
E il padre mi chiede, mentre io ancora cerco di spiegare la natura di certi voti: «Cosa posso fare?» Io non so lo so mica cosa puoi fare, papà di Adrian, dovrei dirgli. Niente, puoi fare. Ma cerco una risposta, qualcosa che possa dargli l'illusione di un possibile fare. «Lo sgridi», gli dico io. «Lo metta di fronte alle sue responsabilità. Adrian non studia, non c'è altro che non funzioni. Semplicemente non studia. Se studiasse, non avremmo problemi, davvero... E quindi lo sgridi». Lui mi guarda muto, accenna appena un assenso con la testa, ma poca cosa. Poi aggiungo: «Immagino che lei faccia dei sacrifici per far studiare questo ragazzo in un liceo...»
Ma subito mi fermo. Perché ho incrociato il suo sguardo, alla parola «sacrifici», o forse alla parola «liceo», non mi è chiaro. E il suo sguardo mi dice improvvisamente di «sì», mi dice «sono contento che lei si renda conto», mi dice «è questo che a volte mio figlio non capisce». E io sono probabilmente troppo abituato a raccontarmi le storie delle persone che non conosco, ma mi immagino la fatica di quest'uomo che dieci anni fa è venuto qui a lavorare, con un figlio di 4 anni da mantenere (lo so per certo, me lo ha detto Adrian: lui aveva 4 anni quando sono venuti in Italia); e mentre ci guardiamo per qualche secondo negli occhi, mi sento salire dentro una rabbia incontenibile, per questo ragazzo che fa finta di studiare, con me e con suo padre, con questo ragazzo che prende in giro suo padre. Mi interrompo, non dico più niente. Aggiungo solo che «se si mette a studiare ce la farà, glielo garantisco. Ma deve averne voglia». Lui annuisce con la testa. Poi si alza e ci stringiamo la mano. Poi esce ed entra un'altra signora, la mamma del più bravo, a cui avrò solo cose belle da dire e raccontare.
Poi ce ne sono altri, una ventina. Poi torno a casa stanco, mi faccio una doccia calda, ceno, guardo un film sugli skinheads a Londra thatcheriana negli anni Ottanta, poi vado a dormire, e sono sempre arrabbiato, poi suona la sveglia, mi alzo, bevo una tazza di caffè, mi lavo la faccia e i denti, poi prendo la macchina, parcheggio, fumo una sigaretta, e sono sempre arrabbiato, poi entro di nuovo a scuola, saluto i colleghi che incrocio, interrogo i ragazzi di quarta, poi arrivo finalmente nella classe dove c'è Adrian e dove c'è anche quello più bravo, che ha tutti 8 e 9 sul registro, proprio una riga sopra quella di Adrian, e sono sempre arrabbiato, con Adrian.
C'era un lavoro da fare sui Promessi sposi, per oggi: nel capitolo sesto Manzoni fa una domanda ai lettori, chiede loro se sia possibile che da un'azione malvagia possa nascere del bene. Ma non dà una risposta. Allora io ho chiesto a loro di scriverla, la loro risposta, di provare a spiegarmi cosa ne pensano, se secondo loro è possibile. Chiamo alcuni ragazzi: ci sono testi molto ben scritti, alcuni anche originali, ci sono idee diverse e contrastanti. Poi chiamo Adrian. Lui mi dice: «Ho dimenticato il quaderno a casa». «Perché non me lo hai detto prima?» Alza le spalle. Io non dico niente ma sono ancora arrabbiato, mentre chiedo ancora ad altri di leggere i loro lavori. Alcuni li prendo e li leggo direttamente io, a voce alta. Molti sono fatti bene. Poi finisce l'ora e dovrei uscire. Ma prima di uscire chiamo Adrian e gli chiedo di accompagnarmi un attimo fuori. E quando siamo fuori dalla porta gli ficco gli occhi in faccia e gli dico: «Ieri ho conosciuto tuo padre. Oggi volevo dirti che se gli altri non studiano, io li boccio. Ma che se tu non studi, io prima ti boccio e poi ti aspetto fuori, dietro l'angolo della scuola, e ti prendo a calci in culo, fino a casa, per dieci chilometri». Lui tace. Io gli dico: «Hai capito?» Lui mi dice: «Sì». E poi vado in un'altra classe a spiegare qualcos'altro.
E lo so che ho fatto male, che non si fa così, che non serve, che c'erano molte altre cose che avrei dovuto fare. Le farò tutte, ve lo assicuro. Le farò tutte una per una, e l'ultima (solo l'ultima) sarà quella di bocciarlo, se non avrà studiato. Ma anche se lo so, che non va bene, l'altroieri andava bene, non so perché. E comunque ormai è andata, ed è un'azione, un fatto, un evento che è avvenuto. E non si torna indietro: e spero che anche Adrian lo capisca: che non si torna indietro. E che non ci sono seconde occasioni, molte volte.
Non so che effetti possa avere, ma una cosa che quel padre portebbe fare è portare un giorno il figlio con sè in fabbrica, così da sentire sulla propria pelle quei sacrifici.
RispondiEliminaFra Cristoforo avrebbe fatto altrettanto!
RispondiEliminaSe posso fare una scommessa, la parola magica è stata "liceo", non "sacrifici".
RispondiEliminaE i calci in culo tu come insegnante non glieli puoi dare, ma suo padre sì.
(non che ci sia tutta quella differenza tra Adrien e certi figli di papà, però)
Una questione personale, insomma...;-)
RispondiEliminaConcordo con .mau
Ma a Adrian piace studiare? O sta accondiscendendo il padre che desidera dargli la migliore educazione possibile? I sacrifici del padre sono umanamente comprensibili, ma alla fine è Adrian che deve capire che il tempo è limitato e non si torna indietro. Se non gli piace studiare, se non gli piace allenare la mente (gioca a rugby, avrà chiaro che l'allenamento è fatica), gli sarebbe forse piu' utile seguire il padre in fabbrica.
RispondiElimina@acacia
RispondiEliminaAhimè, nominare fra Cristoforo è pericoloso. Il quale, essendo un omicida, non avrebbe potuto essere al mio posto, visto che non era nemmeno omicidio colposo ;)
@.mau.
RispondiEliminaLa differenza è che lui avrà molte meno opportunità in futuro, immagino. E che quindi dovrebbe giocarsi meglio questa, probabilmente.
(comunque sì, anch'io sospetto che sia stata "liceo" la parola magica)
@zampagna
RispondiEliminaA precisa domanda, lui risponde di sì: che vuole fare questa scuola. Siccome dobbiamo affidarci a lui, non pare che sia questo il problema. (e non siamo nemmeno in una prima, tra l'altro)
Chissà, se Adrian fosse stato Adriano, italiano figlio di benestanti imprenditori lombardi, magari ci si sarebbe chiesti se aveva, lui, qualche problema, non lo so, una famiglia divisa (e ce l'ha), dei genitori assenti (e ce li ha, per motivi assolutamente necessari e comprensibili, ma li ha) o semplicemente 14 anni, che sono "l'età del mona" (e li ha). E invece no. Tu hai visto suo padre, e ti sei permesso di dirgli che lo prenderai a calci in culo. E con ottime ragioni, anche se non condivido molto questo modo di agire.
RispondiEliminaIl padre di Adrian, invece dei ricchi genitori di Adriano, avrà di meglio da fare che querelarti.
Quello che io dico è che i ragazzi figli di stranieri che vengono nelle nostre scuole possono avere le stesse voglie e le stesse non-voglie dei nostri. Solo che dietro di loro ci sono dei genitori che si sono fatti e si fanno un culo a capanna. E dietro questi Adrian, queste Irine, questi Obafemi, noi vediamo molto di più i sacrifici dei genitori. E siamo meno propensi a credere che i 14 anni siano, internazionalmente, l'età del mona.
IpaziaS
Sulla storia dei calci in culo mi sono commosso, davvero.
RispondiEliminaPer il resto, solita storia. Non solo dei ragazzi ma degli esseri umani: se fai una cosa che ti gratifica (es.: lo sport) trascuri le altre e pensi che sia giusto essere perdonato per le tue mancanze.
@Ipazia
RispondiEliminaE' vero, hai ragione: la mia unica possibile risposta sta in quello che ho scritto a .mau.
Sai cosa dico? Che parlandogli così duramente gli hai detto una cosa sola: "Tu per me sei davvero tanto importante!" e lui saprà farne tesoro...
RispondiEliminaE speriamo che sia come dici tu, Rose, speriamo.
RispondiEliminaIo ho capito che hai temuto che il padre non avrebbe avuto l'autorevolezza per farsi "obbedire" o qualcosa del genere (del resto se non ci era riuscito fino ad oggi...)
RispondiEliminaE allora hai pensato di dare una mano. Supplendo alle azioni che forse il padre non avrebbe avuto la forza o la capacità di fare.
Se poi il padre avesse invece agito per bene, tanto meglio: azione coordinata a due, successo più probabile.
Comunque concordo con Rose che dice che gli hai detto una cosa sola: "Tu per me sei davvero tanto importante!"
Che poi, Al, capiamoci: per me lo è importante, sul serio (come tutti i miei alunni).
RispondiEliminaPerò oggi c'era una verifica importante e non si è presentato...)
ma visto che Adrien immagino sia minorenne, puoi avvisare suo padre della sua assenza in un giorno ben specifico?
RispondiEliminaAdrien è un quindicenne...magari bastasse un serio rimprovero e basta...Credo che sarà una lotta lunga e faticosa, forse anche dall'esito incerto, ma sono sicura che questo lascerà un segno positivo in Adrien e lo farà crescere migliore. Perchè alcuni incontri nella vita cambiano i cuori.
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