venerdì 2 dicembre 2011

Sentirsi uguali

del Disagiato

Un mese fa Alessandro mi ha telefonato per chiedermi come va la mia vita, come va il lavoro, come va con le ragazze (testuale), come va con il mio bilocale mansardato che a lui era piaciuto così tanto e io allora ho risposto più o meno a tutte queste domande fatte a raffica e con nervosismo fino a quando, poi, sono riuscito a ritagliarmi un po’ di calma telefonica e a domandargli: “E tu, Alessandro, come stai?”. E dall’altra parte della cornetta ho sentito il suo respiro angosciato raggiungere un “insomma” detto con parecchia tristezza. “Con “insomma” intendi dire che le cose vanno bene o che vanno male?”, gli ho chiesto e lui allora mi ha spiegato che le cose non vanno né bene né male e che però sarebbe bello una sera di queste vedersi per parlare, magari “a casa tua che si sta sempre così bene” e magari anche “davanti a una bottiglia di Porto, che a noi il Porto piace tanto, non è vero?”. “Sì, sì, mi piace sempre tanto una bottiglia di Porto”, gli ho risposto e poi ci siamo presi cinque minuti per decidere quando vedersi.

Pochi giorni dopo Alessandro è venuto a casa mia con due bottiglie di Porto. È entrato in casa, ha appoggiato le bottiglie di Porto sul tavolo e poi mi ha abbracciato. Abbiamo riempito i bicchieri, io mi sono seduto sulla poltrona e lui sul divano, ci siamo bagnati le labbra e dopo un paio di giri di pista per riscaldare le gomme (“sai, ho visto Marco e ti saluta”, “ah, bene, se lo vedi salutamelo anche tu”), Alessandro mi ha confidato che il suo lavoro non va male, che con Marzia, la sua ragazza da circa un anno, sta benissimo "però", mi dice, “è come se nella mia vita mancasse qualcosa”. E dicendo questo, Alessandro fissava il bicchiere con occhi tristi. “Mi sembra di essere arrivato al capolinea, di non aver più nulla da dire o da fare”, ha aggiunto con ancora più tristezza. E allora, con un pizzico di dolcezza (e sfacciataggine), ho provato a dirgli che forse l’insoddisfazione è una condizione umana normalissima e che l’insoddisfazione può spingere a fare di più e meglio. Ecco, ho provato a dirgli queste cose e mentre le dicevo pensavo: “Alla fin fine siamo tutti uguali. Siamo tutti insoddisfatti”. 


E, non fraintendete, ma questa cosa dell’insoddisfazione di Alessandro mi ha avvicinato a lui. Nel senso che Alessandro è sempre stato più sorridente di me, più mondano di me, più ottimista di me, più allegro di me e tante altre cose più di me, ma questo “ho tutto ma mi sembra di non avere niente”, detto guardando il bicchiere, lo ha reso uomo della mia statura, con il quale, finalmente, riuscivo a confrontarmi. E non so se capite quello che voglio dire. Insomma, non è che abbiamo parlato tutta la serata d’infelicità e insoddisfazione, ma quella sera Alessandro, stranamente, era in vena di confidenze e quando ci si fanno confidenze davanti a una bottiglia sembra di essere più amici.

Sta di fatto che anch’io ho raccontato che in libreria le cose vanno bene ma che sarebbe bello se, e poi ho raccontato di una ragazza conosciuta non molto tempo prima ma “che non so quanto andrà avanti” e poi mi sono lamentato del freddo, dello stipendio, dell’evasione fiscale e dei genitori che invecchiano ferocemente. “Anche a me manca qualcosa”, ho detto infine e Alessandro mi ha guardato come per dire “hai ragione, manca qualcosa”. E poi abbiamo bevuto ancora e ancora e poi abbiamo riso per qualche battuta scema e poi abbiamo spettegolato e poi siamo rimasti in silenzio a guardare il soffitto muto e bianco. “Siamo uguali, ci manca qualcosa”, ci dicevamo con il pensiero. Poco più tardi Alessandro, dopo caldi saluti e promesse di rivederci presto, mi ha salutato. “Ti chiamo io la prossima settimana”, mi ha detto e poi è uscito dalla porta con un po’ di malinconia sui vestiti.

Un paio di giorni fa ho chiamato Alessandro per sapere come stava e lui mi ha risposto: “Sto benissimo”. “Come benissimo?”, mi sono detto. E la vita incompleta? E quelle cose che mancano e che ci rendono infelici? Che fine hanno fatto tutte queste cose? “E domani vado in un posto che tu non immagini neppure”, ha aggiunto Alessandro, ridendo. “E dova vai?”, ho chiesto, “No, prova a indovinare”, “Dai Alessandro, dimmelo tu” e insomma, Alessandro mi ha raccontato che il giorno dopo sarebbe andato a Roma per partecipare, come attore, al programma di Rete4 Forum, quello dove ci sono quelli che litigano davanti ad un giudice. E io stavo zitto e lui rideva. 

E qualche secondo fa, prima di scrivere queste ultime righe, ho riguardato sul sito Mediaset Alessandro recitare (chiede “danni esistenziali”al giudice) e mentre lo guardavo scuotevo la testa, come a dire “io e lui non siamo uguali”. Ecco, ho pensato che io e lui non siamo uguali. E, non so come dire, ma ho anche pensato che quando ci capita di essere uguali, siamo uguali ma in modo diverso. E voi non fate finta di niente, che la stessa cosa capita anche tra di noi e tra di voi.

11 commenti:

  1. Stavo pensando che è tutto vero, che anche a me capita spesso di sentirmi così, che raggiunto un traguardo abbiamo bisogno di pensarne un altro.

    Arrivato a "Forum" ecco la mia faccia: o_O

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  2. Fare l'attrice a Forum è sempre stato un mio sogno, è una roba che mi fa davvero tanto ridere. Il massimo del massimo, ma oramai non c'è più, era la comparsata da Alda d'Eusanio e i suoi capelli da condono.

    Comunque, pare che l'insoddisfazione ci renda riflessivi e ci dia un tono di consapevolezza. Cosa ci si faccia, poi, con quest'aria vissuta e saputa, è da capire.

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  3. Ecco, la comparsata a Forum fa molta tristezza.

    Ho letto un bel po' il tuo post. L'ho riletto e riletto ancora. E' come se una parte di me fosse d'accordo con te sulla questione dell'insoddisfazione. Un'altra parte ci si scontra un po'.
    C'è una mia amica che ha una vita molto normale e tranquilla: ha un ottimo lavoro (non precario e non in crisi), ha un marito che l'adora e abita in una casa che le è stata regala per cui niente preoccupazioni per il mutuo.
    Eppure si alza dal letto eternamente triste.
    Leggere di Alessandro mi ha fatto pensare a lei.

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  4. Io invece ho pensato a una cosa che forse è un po' antipatica, forse non c'entra nulla, non so.
    Quando ho letto che Alessandro due giorni dopo stava "benissimo" mi è venuta in mente la mia amica G., che un giorno si è lamentata ferocemente con me del suo ragazzo, dicendo che aveva deciso di lasciarlo; e una settimana dopo mi ha detto che hanno pensato di sposarsi e che tutti i problemi si sono risolti.
    Ah, la volubilità dell'infelicità. La trovo squallida.
    La volubilità, dico.

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  5. Io penso che il "benissimo" fosse di circostanza e che ognuno ha un suo modo per sconfiggere l'infelicità. In questo non si è mai uguali.

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  6. Mah, forse perché non si tratta di infelicità, solo di insoddisfazione, di incompletezza. E certo ognuno ha i suoi modi per sentirsi completo. Il mio è fare campeggio libero su una spiaggia deserta: anche se avessi bevuto quella bottiglia con Alessandro sentendomi simile a lui, a me Forum avrebbe portato alla disperazione.

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  7. Sì, hai ragione. Ho il brutto vizio di usare la parola "infelicità" per dire troppe cose. Tendo a rissumere con una parola sola.

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  8. Io intendevo dire che apprezzo moltissimo una onesta infelicità.

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  9. C'è chi dice che chi è infelice è sano. Lo dice Freud e lo dice anche Lacan.

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  10. Quelli come Alessandro dovresti mandarli aff.... appena si affacciano alla tua porta perché ti usano per i momenti di scazzo. Insomma, tu sei nel target "serata malinconia a parlare con un amico di questa vitaccia". Sono anche in buona fede, nessun dolo. Da Controvita di P. Roth: questi Shimmy cosí squallidamente ordinari e banali mostravano tutta la spietatezza del rinnegato, strappando con i denti un pezzo di carne dalla cruda culatta della vita per poi trascinarselo dietro dappertutto, mentre il senso di ogni altra cosa impallidiva al cospetto della carne sanguinolenta tra le loro fauci. Erano assolutamente privi di saggezza; totalmente saturi di sé, e di sé completamente immemori, non avevano alcunché su cui basarsi tranne la piú elementare risolutezza, e tuttavia grazie a quell'unica dote erano andati piuttosto lontano. Anche loro avevano fatto tragiche esperienze e subivano perdite che non erano certo cosí insensibili da non patire: essere quasi ammazzati di botte era la loro specialità, tanto quanto ammazzare di botte. Il fatto era che il dolore e la sofferenza non li distoglievano neanche per un momento dalla loro ferma intenzione di vivere. Per l'assenza di dubbi e di ogni sfumatura, del senso di futilità o della disperazione di un comune mortale, a volte si era tentati di considerarli inumani, eppure erano uomini di cui era impossibile dire che fossero altro che umani: erano proprio ciò che è veramente umano.

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  11. Ciao Disagiato,
    innanzitutto grazie per questo blog, che ho scoperto or ora.

    Io credo che il tuo amico fosse veramente se stesso quella sera lì da te, con tutta la sua mancanza, che ti ha con-fidato (che poi è quasi come dire af-fidato). Che grazia quando accadono questi momenti in cui ci si scopre uguali, e quanto sono rari. Anche io ho un'amica che è sempre "un po' più di me": ogni tanto all'improvviso si è svelato questo suo "essere uguale", ma è da molto, troppo tempo che non accade.
    Poi però restare all'altezza di questa mancanza è difficilissimo, come vertiginoso. E allora ci si illude che cose piccine, a volte davvero meschine come una comparsata a Forum (l'ho sempre detto che questo programma è una farsa) ci facciano stare "benissimo". Ma è una menzogna prima di tutto verso se stessi.

    Anna

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)