lunedì 18 aprile 2011

se vi sembra poco

di lo Scorfano
 
«E comunque, hanno pure ragione loro a studiare poco, no? In fondo quello che tu insegni non inciderà mai per niente nelle loro vite, non sapranno cosa farsene… Forse se ne rendono un po’ conto già adesso, a diciassette anni, e quindi, pur apprezzando alcune cose, nel complesso sanno che la letteratura è destinata a essere del tutto inutile nel loro futuro; e quindi la lasciano perdere».

E dopo aver detto questo, dato che l’amico (conoscente) cerca con lo sguardo la mia approvazione, a me tocca deluderlo, dicendo «non è proprio così, guarda » e poi tagliando corto, perché la cena è in casa d’altri e non si può sempre rovinare la serata a tutti (si dovrebbe, in effetti: si dovrebbero rovinare tutte le serate a tutti, una dietro l’altra, senza interruzione, a voler davvero essere irreprensibili); ma comunque, date tutte queste cose, si passa poi a parlare d’altro, diciamo di attualità politica e sociale, che fa sempre «bella gente», che andiamo tutti tra di noi d’accordo.

Però, visto che siamo bella gente, e anche ben educata, una risposta autentica al bel conoscente la si deve. E la risposta è questa, articolata in quattro brevi punti, ed è il motivo per cui, a mio parere, non si può crescere senza letteratura.       
               Ed è anche, sotto sotto, una risposta alla nazione che mi chiede di andare al lavoro ogni mattina; e anche una risposta a me stesso, che ogni mattina appunto mi alzo, e lo faccio.

Primo punto: la letteratura è bellezza. E l’incontro con la bellezza è una delle esperienze umane che rendono piacevole e stupefacente il nostro passaggio sulla terra. Perché sarà pur vero che la libertà e la giustizia e l’onestà sono ideali magnifici a cui nessuno vorrebbe mai rinunciare; ma sono ideali che non si vedono. Mentre la bellezza, letteralmente, si vede. E una volta che nella vita l’hai vista o sentita, non te la puoi più dimenticare. Dunque, sì: la bellezza, come prima cosa; la letteratura come indispensabile incontro con la bellezza. Ed è anche per questo che, ogni volta che per insondabili burocratiche ragioni devo compilare la sezione “obiettivi” di un progetto didattico, io scrivo, come primo punto: «Educare al bello». E anche senza mai riuscire a pensare che la «bellezza salverà il mondo», come altri più saggi di me hanno scritto, io credo che forse, se ho fortuna, la bellezza potrebbe salvare un mio alunno, uno solo. E non so se a voi questo sembra così poco.

Poi c’è il secondo punto. Il quale è, secondo me, la “tradizione”: proprio quella un po’ noiosa, un po’ conservatrice e passatista, proprio quella tradizione lì, quella vecchia. Letteralmente: ciò che  le persone che sono state al mondo prima di noi ci hanno consegnato e lasciato in eredità. E a me questo punto pare assolutamente fondamentale: in un mondo schiacciato e assediato da un presente ossessivo e labirintico, la tradizione resta uno dei pochi baluardi contro l’indecifrabilità delle cose. Sapere da dove veniamo, sapere perché siamo arrivati fino a qui, sapere che tutto ciò che oggi ci pare fondamentale era fondamentale (o quasi) già duemila anni fa, e poi settecento anni fa, e infine anche duecento anni fa. La tradizione: quella che insegna la prospettiva storica e la non necessità delle cose attuali, quella che in fondo potrebbe essere l’unico possibile antidoto contro la babele assordante delle idiozie e delle volgarità contemporaneee, da cui siamo circondati. Anche questo, ci scommetto, non vi sembra poco.

Il terzo punto invece è quello che di più piacerà (o forse dispiacerà? io non l’ho mica capito) al premier. Il terzo punto sono in qualche modo i “valori”: ma la parola mi è indigesta e quindi, se non spiace a voi, la sostituisco subito con “umanità”. Nel senso latino dell’humanitas, proprio. Quella dimensione fatta di solidarietà, compassione e comprensione degli altri uomini. La quale, bisogna dirlo, non si insegna con la riflessione o con il metodo scientifico, perché non si insegna proprio, ma quotidianamente si “costruisce”: accettando che non ci sia differenza tra “noi” e “loro”, diventando sensibili alla sofferenza altrui, imparando la condivisione dell’altrui sofferenza. E tutto questo un manuale di filosofia non può insegnarlo; così come un manuale di biologia. Per questo c’è bisogno della letteratura, delle storie, dei racconti, delle poesie e dei romanzi: e cioè della finzione e dell'immedesimazione. C’è bisogno di incontrarla davvero, raccontata sulle pagine di un libro (o sullo schermo di un e-reader, va bene uguale), la sofferenza degli altri (e anche la loro felicità e il loro riscatto, è ovvio). E dunque a questo io mi impegno: a mettere di fronte i ragazzi alla storie della nostra letteratura, perché da esse costruiscano il loro essere sensibili verso le storie altrui, e la vita altrui. Se vi sembra poco…

E infine, senza annoiarvi troppo, ecco il quarto punto, che è la retorica in senso lato. Leggere letteratura a scuola non è un’ operazione solo emotiva, non è soltanto un passatempo. Leggere la letteratura della tradizione significa sforzo di decodifica e comprensione, e quindi innanzitutto fatica di sciogliere la costruzione retorica del testo, di svelarla. E io trovo che ci sia in questo una forma altissima di educazione al presente: perché il presente è permeato di una retorica banale eppure devastante, che confonde e disorienta. Sapersi districare entro il dedalo quasi malvagio della retorica significa, quindi, saper leggere: non solo un testo, questa volta, ma proprio la realtà. Saperla dunque decodificare e interpretare e, in sostanza, essere anche più liberi. E, di nuovo, provate a dirmi che non è abbastanza.

Insomma, ragazzi miei studenti, non date retta al mio conoscente, che probabilmente vi vuole tecnici specializzati e nient’altro. Va bene la tecnica, va benissimo anche la specializzazione: ma non da sole però, da sole non vanno bene. Da sole lasciano soli voi di fronte all’incomprensibilità del mondo, vi lasciano senza una grammatica del dolore, in qualche modo, e senza neppure un grammatica della felicità. E poi finisce che, così da soli, vi troverete a pensare che il mondo è un luogo in cui tutto si gioca sulla necessità della forza da esercitare contro l’altro, per vincere dove l'altro resta sconfitto: e così diventerete forti e spietati. E sarete orrendamente soli, però.

E spero che questo non vi sembri molto.

21 commenti:

  1. Senza contare che la letteratura, come altre materie, contribuiscono a formare l'uomo. A meno che non si decida (spero mai) che la scuola debba solo formare il lavoratore.

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  2. @Franca: assolutamente d'accordo con te; è quello che, con più prolissità, ho provato a scrivere al punto 3.

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  3. @Tinni
    Sei sempre troppo gentile. Grazie.

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  4. complimenti.
    ti sei aggiudicato il titolo di mio terzo maestro di color che sanno.
    il primo, ça va sans dire, è padre dante.
    il secondo è messer francesco guccini.
    non dir niente: ognuno forgia le catene sue.

    nick the old

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  5. Caro Nick, mi metti una compagnia che mi imbarazza. Non son degno, ovviamente.

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  6. Son sicuro che, per certi, sia anche troppo.
    Così troppo da non poter essere compreso.
    Applausi scroscianti da quaggiù.

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  7. Non scrosciare troppo, caro Nomade. E poi chissà perché "quaggiù"...

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  8. Il problema consiste nell'accezione comune dei concetti di bellezza, tradizione, sensibilità verso il prossimo e approccio di decodifica della retorica propri di questi tempi. Sono dalla tua parte, come penso tutti, qui, ma temo si tratti ancora della solita "dimensione parallela".

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  9. E' la solita dimensione parallela, anche secondo me. Però la scuola resta invece una dimensione pubblica e non parallela. Qui ci scrivo; lì, nella scuola, ci lavoro e conta di più.

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  10. Grazie prof. Quanto bisogno abbiamo di queste quattro parole.

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  11. "La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere."


    Questa l'ho scritta io in un momento di...mmm...ispirazione...

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  12. @Monica
    Bellezza, tradizione, humanitas, retorica. Quattro parole pesanti (ed ero stato tentato di usarle come titolo).

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  13. Che c'entro io? Dillo agli applausi. :P

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  14. Oh, cmq s'è capito che non è mia, vero?

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  15. Come praticamente tutte le cene a cui si va senza convinzione, solo per educazione e socialità vagamente intesa. Meglio stare a casa, lo so.

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  16. No, intendevo fare un velato (ma neanche tanto) complimento alla tua splendida esposizione.
    Grazie

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  17. Grazie molte, allora, davvero. Anche se, come hai letto, non me la sono sentita di mettermi a sproloquiare...

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  18. hai trasmesso passione che è l'unica vera carta da possedere per fare il lavoro che fai... malgrado tutto - Grazie, Elisa

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)