Mi faccio la barba e mi sistemo la camicia, raccolgo alcune cose che so di dover portare fin laggiù, dove sono nato, sistemo nella piccola, inutile valigia la biancheria di ricambio, saluto la mia compagna (che mi mancherà), poi salgo in macchina e parto. Torno in Liguria, come mi capita quando è festa comandata. Saranno tre giorni, saluterò madre e padre, sorella, nipotini ancora piccoli, stanze di una casa in cui sono cresciuto, vento di mare che arriva alle finestre e smuove le tende, strade che non frequento da venticinque anni.
Imprigionato dalla fasulla mitologia odissiaca del ritorno, vagherò per qualche minuto davanti al mare o lungo una qualche via cittadina in cui molti anni fa mi era accaduto qualcosa di assolutamente indimenticabile, che oggi ho dimenticato; muoverò i passi con lentezza, fintamente assorto, ricordandomi soltanto che dovrei ricordare.
Poi passerò molto tempo in casa, con i miei genitori ormai anziani, non saprò più riconoscere nelle loro vite la mia vita così diversa, così legata ad altri discorsi, altre ragioni, altri movimenti che loro non saprebbero decifrare. Non capirò le loro parole. Ma farò finta di niente.
E darò loro ragione con un gesto della mano e un sorriso, considerando che anche questa è una possibile forma dell’amore, che è dovuto.
Ringrazierò per i piatti della festa che mia madre avrà preparato, scherzerò con i bambini facendo la parte dello zio burbero e dispettoso. Leggerò anche un paio di libri che saranno stati, adesso, opportunamente infilati nella mia piccola, inutile valigia. E aspetterò così che arrivi l’ora stabilita in cui dovrò salutare e ripartire. Pochi giorni, un tratto rapido di tempo che a volte sembra una discesa interminabile nel passato: inutile, come tutte le cose che arrivano troppo tardi.
Poi, quando sarò in macchina, pronto per tornare, e avrò la cintura di sicurezza già sistemata, saluterò con un gesto della mano i miei genitori ancora affacciati alla finestra, e in quel preciso istante penserò che speriamo che non succeda niente a nessuno dei due. Penserò, in quell’esatto istante, come lo penso tutte le volte mentre ingrano la marcia per partire via, penserò che lo so, che un giorno inevitabilmente andrà in tutt’altro modo, che ci sarà un giorno in cui riceverò una telefonata che mi dirà che… E quel giorno tornerò in quella città con un’angoscia molto diversa da questa, un’angoscia che non riesco a immaginare di dover provare, che non so, trecento chilometri con quel dolore da far passare sotto le ruote della mia auto, un giorno o l’altro, prima o poi.
Ma non è oggi, quel giorno, non è nemmeno dopodomani. Oggi è solo il pensiero di un ritorno senza significato, in un luogo in cui sono cresciuto e che non mi appartiene più per niente, non so perché. In mezzo a un’aria che respiravo correndo da bambino, in mezzo a strade che non so riconoscere, in cui camminava da giovane un ragazzo che non ha niente in comune con me, se non che a noi due è capitato di essere la stessa persona; con un vento di mare che arriva alle finestre di casa e che mi lascia muto e strozzato dal mio silenzio.
E vorrei solo dirlo a chi, giovane, fugge da casa sua, con lo stesso sguardo rabbioso che avevo io quando me ne sono andato da casa mia, via da quel vento e da quelle strade, con una valigia che pesava come una montagna. Vorrei dire: guardate bene quel luogo da cui state fuggendo, guardatelo bene. Perché, anche se un giorno tornerete, voi non saprete mai più rivederlo. Mai più.
bello ma.. un po' triste.
RispondiEliminaci penso anch'io. tutte i sabati che torno dai miei: e se stanotte mi svegliasse una telefonata? e se la telefonata arrivasse e io sono in capo al mondo? ma poi penso anche: non sarà stanotte. e neanche questa settiman.
RispondiElimina@Saamaya
RispondiEliminaSoprattutto triste, lo so.
@nonunacosaseria
RispondiEliminaHo come la sensazione che quello sia il pensiero che segna il passaggio all'età adulta. La preoccupazione per una possibilità che finché si è ragazzi non si mette nemmeno in conto.
Grazie per averlo scritto tu. Per fortuna a questo giro mi è stato possibile dare forfait.
RispondiEliminaIo sono tornata.
RispondiEliminaMa in realtà non è così, perché il luogo che ho lasciato non esiste più.
(P.S.: perché la tua compagna non viene con te?)
grazie per avere dato voce a pensieri-e ad angosce- che pensavo solo miei
RispondiEliminaPerdere i genitori è come diventare nudo.Siamo davanti, soli. Rimane il sentimento di non aver detto le parole importanti... Non sapiamo dire addio perché è difficile dire addio.
RispondiElimina"ricordandomi soltanto che dovrei ricordare"
RispondiEliminaMolto spesso e' piu' triste il ricordare che il ricordo stesso.
@Plus1
RispondiEliminaFigurati che pensavo che saresti arrivato qui a protestare, in nome della nostra vecchia amata (') provincia...
@Thumper
RispondiEliminaLa mia compagna, semifrancese, ne approfitta per tornare in Francia. E quando anche non lo fa, ci sono comunque equilibri delicati, che non spostiamo di un millimetro, per scaramanzia.
@Ste
RispondiEliminaE' triste ricordare che dovresti ricordare ma aver dimenticato che cosa... ;)