sabato 2 aprile 2011

La gente che parla e dice

di Sempre un po' a disagio

Nel maggio del 2003, a Brescia, un sacerdote, un bidello e sei maestre della Scuola Comunale Sorelli vennero accusati di aver molestato 23 bambini. Me lo ricordo bene, questo fatto, perché Brescia è la città nella quale vivo da trent’anni, perché la cosa fece discutere parecchio e perché, come dicono i giornali locali, l’opinione pubblica (che devo ancora capire com’è strutturata l’opinione pubblica) si spaccò tra chi diceva che quelle persone erano colpevoli e chi invece diceva che non lo erano. Il dramma di questa scuola seguiva un altro dramma accaduto in una scuola materna di un’altra città e che in quelle settimane diede il via a dibattiti, discussioni e tristi scenari televisivi che, come sicuramente ricorderete, erano essenzialmente gestiti da Bruno Vespa e contorno.

Però il motivo che più di tutti, e solo inizialmente, mi fece interessare alla vicenda fu il fatto che una delle persone accusate era una mia conoscenza che già allora, nel 2003, non vedevo da tanti anni. Questa vicenda mi rese persona incredula davanti ad accusa di tale statura ma mai, dico mai, di parte (qualsiasi parte). “Cosa ne so io”, mi dicevo allora, “di quello che realmente è successo?” Però, a differenza di me, alcuni amici e vicini di casa sentenziarono. E le sentenze, chissà perché, andavano sempre in una direzione e cioè che quello era uno scandalo bello e buono e guarda la società moderna cosa ci combina, non possiamo fidarci di nessuno, ci vorrebbe la pena di morte, dovremmo sbatterli dentro e buttare la chiave, pedofili del cazzo e via dicendo (tralscio i commenti più crudi). 


Intanto le accuse rimasero per mesi prive di fondamento e di prove, intanto il campo delle indagini si restrinse a due sole maestre, intanto queste due maestre conobbero le sofferenze del carcere per dieci mesi, a partire dal settembre 2003, fino agli arresti domiciliari e intanto, e questo è quello che più mi interessa, in città e provincia si continuava imperterriti a pronunciare la parola “pedofili”, così, senza avere uno straccio di prova, ma solo per esigenze interiori, per via di un’aggressività dettata da altra aggressività. Nel luglio del 2005 le maestre tornarono libere, visto che di prove non se ne trovavano neppure sotto il letto e i tappeti, il 6 aprile 2006 arrivò la prima assoluzione per tutti, e il 7 aprile 2007, dopo che il pubblico ministero aveva chiesto 125 anni di carcere, arrivò il verdetto di assoluzione confermato nel 2008 in appello e nel maggio scorso in Cassazione.

Non voglio neppure immaginare quello che hanno passato queste due maestre e non tanto per quello che hanno visto, la prigione, ma per quello hanno sentito. L'altro ieri la Corte d’appello di Brescia ha accolto la richiesta per la “riparazione per ingiusta detenzione", che equivale per ogni maestra a 300 mila euro.

E oggi al bar, mentre attendevo un amico, sentivo la gente dire davanti a un caffè "porca misera quanti soldi, io con tutti quei soldi ci farei un viaggio che, guarda, non torno più". E le accuse infamanti sembrano svanite, ora che si parla di questi soldi di risarcimento, e i favorevoli alla sedia elettrica, quelli che i giornali chiamavano opinione pubblica, se ne stanno in silenzio. Ora.

4 commenti:

  1. Certe accuse sono poi indelebili, non credo che queste signore torneranno ad insegnare o ad avere un rapporto lavorativo con dei bambini. Io stessa (sbagliando?) non affiderei mio figlio ad una maestra incarcerata per accuse di pedofilia. 300 mila euro comunque non sono niente paragonati alla vita segnata per sempre.

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  2. Cos'è l' opinione pubblica, dici...
    Ma lo sappiamo bene, vero?
    E' massa -cosa ben diversa e ben più insidiosa delle singole individualità che la compongono- strumentalizzata dai media, affamata di forti motivazioni che possano far tacere il malessere ed il disagio che alcune situazioni complesse o traumatizzanti sorgono in seno al consorzio umano organizzato.
    L' intelligenza -come con felice definizione disse Simone Weil- non può essere esercitata collettivamente: è e deve rimanere appannaggio del singolo.
    Nulla è cambiato dagli albori della civiltà: ogni società ha bisogno del capro espiatorio, della vittima, per sfogare le proprie tensioni interne. E la vittima deve essere sempre pura, innocente. Sono meccanismi istintuali ed incontrollabili, ai quali, come in questo caso, si può tentare di porre rimedio solo con gli strumenti giuridici che l' organizzazione sociale è riuscita a darsi. La vera e sana autonomia di giudizio non è per tutti...
    Morena

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  3. Hai già detto tutto tu, e ha già detto benissimo anche Morena. Ogni volta che sento l'espressione "ci vorrebbe la pena di morte" penso che la strada da fare è ancora lunga.

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  4. Per correttezza sottolineo che allora l'opinione pubbica fece anche una teatrale fiaccoltata per sostenere le maestre.

    Grazie a Morena, e a Stefania, per l'intervento prezioso (che qui ce n'è sempre bisogno).

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)