E’ solo una supposizione e magari neanche tanto originale ma a me sembra che circa tre o quattro generazioni fa, se posso usare questa strana unità di misura, i giornalisti italiani (e non solo i giornalisti), avessero a disposizione, per scrivere, più parole di quante ne abbiamo (noi lettori e scrittori) oggi e che queste parole venissero usate con grande abilità per restituirci un’idea, un’immagine o un luogo. Questa settimana ho letto dei resoconti di viaggio di Paolo Mantegazza, Raffaele Calzini, Arnaldo Fraccaroli, Alberto Savinio e Marco Grassano. Li conoscete voi? Io non solo non avevo mai letto una riga di questi autori ma non ne avevo neppure sentito parlare. Sono intellettuali o semplici giornalisti che hanno scritto ormai tanto tempo fa (Mantegazza è morto nel 1910 e Savinio nel 1952, ad esempio) e pensare di fare un paragone con i nostri scrittori e giornalisti pare cosa assurda. Però da queste letture mi è venuto da pensare che la prosa e il vocabolario che abbiamo oggi a disposizione sono cambiati non nella sostanza e nella forma ma principalmente nella quantità. Forse ci siamo arricchiti di altro? Magari sì.
Il fatto, e correggetemi se sbaglio, è che avendo parole a disposizione abbiamo anche modo di tradurre le nostre idee e emozioni e che traducendo le idee e le emozioni abbiamo la possibilità di fare irruzione nella realtà, per capirla, cambiarla, accettarla o semplicemente osservarla. La televisione, e soprattutto la televisione berlusconiana che è caricaturale e quindi fascista, non è lo strumento utilizzato per convincere, plagiare e costruire sulla menzogna una realtà che non esiste. No, non è questo, per me. La televisione semplicemente è programmata per toglierci pian piano le parole, una al giorno, assottigliando e indebolendo le nostre capacità critiche e intellettuali. La mia è solo un’idea, niente di più. E scusate se ho utilizzato espressioni banali come “generazioni”, “realtà”, e “emozioni”, ma non avevo altri mezzi per spiegarvi quello che mi girava per la testa. Mi sembra, insomma, che siamo, chi più chi meno, poveri di parole. Disarmati.
immagino che di Savinio tu abbia letto quel piccolo gioiellino che è "Capri", vero?
RispondiEliminati consiglio anche "Sorte dell'Europa", "Narrate, uomini, la vostra storia" (di Adelphi) e "Dieci processi" (sellerio, se non vado errata)
(cado in piedi: su savinio ho fatto la mia tesi di laurea! quindi chiedi pure)
No, ho letto un articolo sull'Andalusia ma vedo di seguire il tuo consiglio visto che la letteratura odeporica mi piace molto.
RispondiEliminaPoi scusa, ma la mia era una domanda retorica. Sono sicuro che, a differenza di me, gli autori sopracitati sono di vostra conoscenza.
La tua tesi è anche quella di Orwell (la neolingua in appendice a 1984); e infatti, quello è un testo prezioso anche per gli studiosi di linguistica, e non solo. D'altra parte, forma è pensiero, già a partire da Aristotele. Anche per questo sono innamorata del mio mestiere di prof d Lettere.
RispondiEliminaSu quanto dici dei giornalisti di inizio secolo, concordo appieno; con questa aggiunta, però: quel bagaglio espressivo che riconosci loro, lo vedo in tutti i veri scrittori fino agli anni '60.Il vero discrimine, per me, è arrivato dopo quegli anni...
Con la televisione è nato un altro linguaggio (o lingua) e poi il dialetto è rimasto in bocca a pochi. Sono d'accordo con te, tutto questo a partire dagli anni 60.
RispondiEliminaNon sono d'accordo. Le lingue cambiano, continuamente. E non tollerano vuoti.
RispondiEliminaQuel che a te sembra un depauperamento e' soltato il normale fluire della lingua.
FR
Può darsi. La mia, come ho scritto nel post (anzi, come ho scritto nell'articolo), è solo un'impressione che nasce dalla distanza che c'è tra me e scrittori e giornalisti del passato.
RispondiElimina@FR
RispondiEliminaLungi anche da me il "si stava meglio quando si stava peggio". E neanche mi accontento del "romanticismo" linguistico di Leopardi. Ogni epoca ha dovuto lavorare per le sue conquiste. Manzoni già lo diceva: la lingua è come una casa, in cui ogni stanza si tira su e si arreda a seconda delle esigenze. E' proprio per l'esperienza personale di insegnante che mi accorgo di quanto siano belle certe parole che adesso si usano poco. Il mio criterio linguistico vuole essere inclusivo: imparo quelle nuove, e non voglio buttare al macero quelle antiche. A volte invece sembra anche a me che di queste ultime proprio non si abbia più "contezza"...
A mo' di esempio, aggiungo soltanto che la nostra cara lingua esiste soltanto perché la gente sgrammaticava il latino.
RispondiEliminaMi preoccupo per tante cose, ma per questa proprio no.
FR