Mentre il senso di oppressione diventava più pesante e mi faceva male. Ha viaggiato di corsa, sempre più di corsa, azzardando sorpassi e manovre che mai aveva rischiato, nella sua vita. In un quarto d'ora siamo arrivati al Pronto Soccorso dell'Ospedale San Bortolo, dove il mio amico Vincenzo mi ha accompagnato dritto in sala operatoria.
Ma chi è il mio amico Vincenzo dell’ultimo (e bello e toccante e pieno zeppo di punteggiatura) articolo di Ilvo Diamanti?
Io francamente non lo so, ma spero tanto tanto che non sia un medico, lo spero proprio; spero che sia un panettiere che passava di lì, dal Pronto soccorso, per caso; oppure un pensionato un po' sfaccendato che sta fuori dall'ospedale il sabato sera, tutti i sabato sera, per vedere quelli che stanno un po' peggio di lui.
Io francamente non lo so, ma spero tanto tanto che non sia un medico, lo spero proprio; spero che sia un panettiere che passava di lì, dal Pronto soccorso, per caso; oppure un pensionato un po' sfaccendato che sta fuori dall'ospedale il sabato sera, tutti i sabato sera, per vedere quelli che stanno un po' peggio di lui.
Altrimenti, se il mio amico Vincenzo fosse per caso proprio un medico di quell'ospedale, ci toccherebbe anche supporre che il retropensiero di qualunque italiano (anche di quelli colti e attenti come Diamanti) sia sempre lo stesso inevitabile retropensiero: meno male che c’è il mio amico, così mi tratteranno meglio; meno male che c’è Vincenzo, così non morirò. Che è un retropensiero che contiene anche il suo relativo contrario, naturalmente: peccato che non ho un amico, in quell’ospedale; peccato perché così mi tratteranno peggio (e forse morirò).
E invece gli ospedali italiani, almeno nella loro maggior parte, trattano tutti come devono, suppongo e credo io: con la stessa attenzione e lo stesso scrupolo e le stesse medesime procedure efficienti. E siamo invece noi, noi pazienti un po' spaventati, con i nostri retropensieri irrazionali e infondati, siamo noi, a Catanzaro come a Vicenza, a pensare male, a mostrare la nostra consueta mentalità da italietta del medioevo, da scambio di favori, da amicizie che contano più dell’efficienza di un sistema, da rapporti personali che dribblano e scavalcano qualsiasi forma di vivere civile.
Insomma, speriamo proprio che non sia un medico il mio amico Vincenzo di Ilvo Diamanti. Altrimenti ci toccherebbe anche pensare che, siccome non abbiamo un amico cardiologo, quando l’infarto toccherà a noi (e speriamo mai, ci mancherebbe), quel giorno noi saremo trattati inevitabilmente peggio, perché qualcuno che ha il mio amico Vincenzo sarà, nello stesso istante, trattato meglio. Perché gli amici medici sono pochi e gli infarti sono molti: e sono più o meno tutti uguali, come i pazienti, come i cittadini che arrivano in ospedale, come le persone che si fidano e affidano al servizio sanitario nazionale. Tutti uguali, senza che a Vincenzo, che ha fatto bene il suo mestiere, si debba chissà quale speciale e personalissima gratitudine.
io invece ho il terrore che mi capiti qualcosa nella mia città natale, e di trovare al pronto soccorso il mio ex compagno di liceo Alfredo
RispondiEliminaquando penso a certi amici che sono diventati medici e a quanto poco studiavano, io spero di non incontrarli mai in nessun ospedale.
RispondiEliminaGianni
Stavolta hai troncato troppo presto. La frase dopo spiega perché la sala era già pronta.
RispondiElimina@Alesiro
RispondiEliminaL'ho letto tutto e più di una volta, in realtà. Si parla, più avanti, anche di "dottoressa" che ha fatto l'operazione (e non credo la dottoressa si possa chiamare Vincenzo). Non voleva essere questo il punto: non ho mai voluto scrivere che la sala era pronta perché c'era l'amico Vincenzo; era chiaro anche a me che non è così.
Il punto voleva però essere il "pensiero", proprio quello. Il pensiero che abbiamo tutti e che tradisce la nostra sfiducia nel sistema. Se quel Vincenzo è la spia di quel che mi è parso di leggervi, è un retropensiero anche di Diamanti. E' solo quello che mi dispiace.
@Plus1 e Gianni
RispondiEliminaQuella, la vostra, è effettivamente una prospettiva che non ho sufficientemente valutato...
Caro Scorfano, come sono d'accordo con lei. Il mio amico, se sarò (quando mai?) malato, dovrà essere l'ospedale. A sua volta vorrei che l'ospedale fosse amico dell'ASL, e l'ASL amica della Regione, e così via. Per percepire il supporto sociale è necessario che il "sistema" sia accogliente. Se starò male (quando mai?), vorrei ringraziare soltanto la buona sorte, che mi ha regalato di vivere in un mondo civile.
RispondiEliminaConfesso anche, per chiarezza, che uno dei miei migliori amici è proprio un cardiologo, e anche di chiara fama, come si suol dire. Il breve discorso, quindi, va letto anche come una specie di liberatoria e apotropaica confessione.
RispondiEliminaEcco, era dal 1995 che non leggevo l'aggettivo "apotropaica".
RispondiEliminaCondivido pienamente il tuo messaggio.
Peraltro, basta una piccola ricerca in rete per scoprire la apotropaica verità sul quesito del post.
RispondiElimina(e grazie al gentilissimo lettore che me l'ha segnalata.)
Apotropaico è francamente un aggettivo di comprensione non immediata. Credo si configuri in un'urgenza verbale che richieda proprio un letterato per amico. Che, a ben pensarci, e scordando per un solo momento l'emergenza umanitaria, per quella umanistica... servirebbe eccome!
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