Non molto tempo fa è entrato in libreria un ragazzino, Marco, che quando l’ho visto ho pensato subito “quello sono io qualche anno fa”. Lo stesso modo di camminare, pantaloni logori, maglietta dei Joy Division e un’allegra malinconia che, se dico bene, era la mia stessa malinconia. Quando mi ha chiesto se c’era un libro sulla musica degli anni ottanta ho avuto la conferma di quelle affinità assai superficiali che me lo avevano reso simpatico sin da subito e dopo un paio di parole che hanno fatto scintilla ci siamo presentati affidandoci i nostri rispettivi nomi. Poi è tornato ancora, Marco, e dopo ancora e così abbiamo cominciato a conoscerci meglio, a parlare di dischi e di libri e di concerti e di altre cose che girano attorno a una vita fatta di queste cose e che riempiono il bicchiere che ci è stato dato in sorte.
In libreria, stretto tra il dovere e l’efficienza, non è facile farsi un amico. Non c’è modo di dire tutto e nel modo che si vuole. Non si può ridere sguaiatamente o soffermarsi. Non è facile scegliere e pesare le parole esatte. Però ho avuto il tempo necessario per ridurre lo spazio che stava tra me e lui; il tempo per parlargli degli Smiths, il mio gruppo preferito, e di consigliargli, anzi, prestargli, tutti i loro dischi più belli. “Tieni, ti ho portato i cd che ti dicevo”, gli ho detto, “Grazie mille, te li riporto la prossima settimana”. Lui era contento e io di più, per la nascita di una cosa che somiglia all’amicizia, o che grosso modo ne ha la forma, e per aver saputo dire gratuitamente, e al di fuori da qualsiasi logica commerciale, la parola “Tieni”.
A un certo punto, nella mia vita, si sono create delle fratture silenziose, apparentemente immotivate e apparentemente dal nulla. A un certo punto i vecchi amici hanno preso il largo e io stesso ho preso il largo. Non ci si vede più, con questi amici, ci si irrigidisce e scappa solo un saluto o un freddo botta e risposta all’Esselunga o per i corridoi di un centro commerciale. Chissà perché i vecchi amici li si ritrova nei luoghi adibiti al commercio o al consumo. Boh. L’età, mi viene da dire. Si diventa grandi e quello che sta attorno a noi richiede fatiche specifiche e quindi ci si perde di vista. Sta di fatto che le amicizie diminuiscono e a queste si sostituiscono le conoscenze. Normale. Così vedo che è capitato a chi ha qualche anno più di me. E’ capitato ai miei genitori, ad esempio.
Quando mia madre mi chiede “ma Alessandro, che fine ha fatto?”, io le rispondo che è da un po’ che non lo vedo. Lei allora mi chiede di Alberto o di Federico e io sempre a risponderle “è da un po’ che non lo vedo”. Mia madre allora rimane perplessa e dispiaciuta, mentre mio padre mi dice leggendo la sua Gazzetta “bravo, che da soli al mondo si sta bene”, al che tra mia madre e mio padre nasce una violenta discussione e così io li saluto e me ne torno a casa mia. Già, al mondo si sta meglio da soli, dice mio padre. Io, però, a questa cosa non ci credo. Penso che stando soli il mondo diventa sfigurato e insidioso, che stando isolati le idee diventano ossessioni e che un amico, anche sfigato e brutto come me, è necessario. Solo per dirsi due cose, bere una birra, guardare una partita e lanciare freccette. Che soli, al mondo, non si sta bene.
Ecco, a mio padre vorrei tanto fargli notare la sua strana angolazione e vorrei fargli anche notare che con quelle sue parole dette mangiando noccioline e leggendo la Gazzetta ha un po’ rovinato la vita di sua moglie e dei suoi figli. “Papà, hai perso”, gli vorrei dire. “La tua è l’amarezza del condannato a morte, di chi sta in mezzo al mare e vede il salvagente allontanarsi sempre di più. La tua anzianità, la tua pancia gonfia e flacida e le tue rughe ti hanno portato alla rassegnazione e la rassegnazione a questa tuo amore per la solitudine. Odi la gente perché la gente odia te. Non servi più e quindi fai il cattivo”. Scusate, ma mi sto sfogando con un povero vecchio. Insomma, vorrei tanto dirgli queste cose a papà.
Vorrei, ma non posso. Perché Marco, quello che mi somiglia e che ha il mio stesso passo, qualche tempo fa si è preso i miei dischi degli Smiths e non si è più visto. Sono passate settimane, da allora, quasi mesi. E io non ho più i miei dischi e non ho più la voglia di ribellarmi ai padri, alle generazioni precedenti, ai vecchi, agli sdentati. Non posso puntare il dito contro il mio, di padre, e rimproverarlo per aver detto “Bravo, che da soli al mondo si sta bene”. No, proprio non posso.
E magari gli hai dato gli originali anziché masterizzarli perché non volevi fare il pirata cattivo.
RispondiEliminaOriginali (ma lo dico solo per dare più tensione a questo post).
RispondiEliminaE - sempre per la questione della tensione del post - hai omesso (ammiccata d'intesa) il fatto di aver messo nei cd assolutamente originali (altra ammiccatina di intesa) un trojan potentissimo che, dopo la data di scadenza del prestito, ha letteralmente sciolto il lettore di Marco, ladro di cd e approfittatore dell'altrui fiducia... vero? :-)
RispondiEliminaSì, è vero quello che dici. Mi chiedo come tu faccia a sapere tutte queste cose. Esperienza? :)
RispondiElimina(la prossima volta prepara un cd con gli mp3)
RispondiEliminaLa prossima volta col c.... che presto qualcosa (che è un po' la morale di tutta questa storia).
RispondiEliminaPuò perfino essere che tuo padre, nel cinismo di quell' affermazione e forse pure involontariamente, altro non tendesse che a proteggere la tua sensibilità. Perché le "cose del mondo", alla resa dei conti, prendono più volentieri la via che hai descritto con la disavventura del prestito dei cd, anziché quella che (romanticamente) stava nelle tue intenzioni: si tratta di accettare la natura umana, così com'è, ed imparare quanto sia elettiva l' idea dell' Amicizia.
RispondiEliminaCome diceva il buon Kahlil Gibran ? "... Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
..."
Per quel che mi riguarda -che situazioni come la tua ne ho vissute più del sopportabile- la pongo lassù, nell' Olimpo delle Idee, e vi tendo. Ma senza più illusioni. Ecco: così fa meno male.
... poi magari Marco tornerà... :-) Morena
"Odi la gente perche' la gente odia te", cavolo e' vero, come faccio adesso?
RispondiEliminaPensa che avevo un compagno di liceo a cui ho prestato "The River" di Springsteen, ovviamente su vinile, credo nell'82 o giù di lì, e non me l'ha mai più restituito. Mi piacerebbe ritrovare questo ex compagno di liceo, magari tramite Internet, magari ora ha un blog, e non aspetto altro che scriva un post su Springsteen o sul vinile per tirargli una frecciatina.
RispondiEliminaC'è della gente veramente indegna, a questo mondo...
RispondiElimina@Sirio59
RispondiEliminaIo invece apprezzo tantissimo il passo del Vangelo secondo Matteo 18,20, in cui si dice: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" Io quella titubanza tra due o tre la trovo una gran prova d'umiltà e, scusa la forzatura, di antifascismo. Due o tre, non di più.
@Plus
Tirargli una frecciatina? Sei persona buona, tu.
Eh vabbè, ti arriva un giovine con la maglietta dei Joy Division che ti chiede libri sulla musica degli anni 80 e tu gli presti qualcosa?
RispondiEliminaUn po' te la sei cercata, diciamo...
Sì, Tommy, sono un debole e non fossi un pirla non avrei nemmeno un blog :)
RispondiEliminaConcordo sul "non di più", e comunque pure due-tre sarebbero un traguardo più che onorevole, forse anche insperato...
RispondiEliminaPapà, hai perso. La tua è l’amarezza del condannato a morte, di chi sta in mezzo al mare e vede il salvagente allontanarsi sempre di più. La tua anzianità, la tua pancia gonfia e flaccida e le tue rughe ti hanno portato alla rassegnazione e la rassegnazione a questa tuo amore per la solitudine. Odi la gente perché la gente odia te. Non servi più e quindi fai il cattivo.
RispondiEliminaMa io ti voglio sempre bene, papà.
L'hai detto tu (e hai fatto bene).
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