di lo Scorfano
Rimane la stanchezza, naturalmente. Mentre esci dai cancelli della scuola e sono le 6 di sera già passate, fa improvvisamente un imprevedibile freddo e vai verso la macchina con passo comunque lento, perché più rapido non riesci. Ma in realtà restano anche gli sguardi di certi padri, contenti e fieri: «Il ragazzo ha preso un gran bel voto, è stato bravo, ha lavorato bene», gli hai detto. E gli occhi di quel padre che annuiscono, che ti dicono in silenzio che sarà una bella serata, questa serata in famiglia.
Però, dopo tutti questi colloqui pomeridiani con i genitori dei ragazzi di tutte le classi, ti rimane anche dell’altro, in verità: sensazioni che non riuscirai a smaltire né con la cena né con il dopocena, e ti sveglierai domani ancora stanco, per quei dialoghi fitti e intensi, all’apparenza così importanti, incentrati su giovani persone assenti, in cui cerchi di dire tutto quello che loro, i padri e le madri, si aspettano, e in cui spesso non ci riesci.
Per esempio, ti resta la sensazione di continuare a usare sempre le stesse parole. Il rigore, la concentrazione, l’attenzione in classe, la responsabilità. Una litania, un rosario di frasi fatte: sai bene di nasconderti dietro a quelle formule, quei modi precotti del tuo parlare; ed è perché non sai cosa dire, a volte, ma più spesso è perché non sai come dire la cosa che hai da dire; perché non vuoi ferire, perché c’è sangue vivo che scorre, dietro le attese silenziose di certe madri.
E ancora, dopo tutte queste mamme e questi papà, che hanno aspettato con pazienza in fila fuori della porta il loro turno, con in mano l’elenco dei professori e le relative aule di ricevimento, ti rimane l’impressione forte di quando invece sei riuscito a dirlo davvero, quello che volevi. «La fidanzata gli farà senz’altro del bene, signora, stia tranquilla. Giorgio aveva bisogno di una storia d’amore, la stava cercando, ha diciassette anni, è giusto.» E ci sono gli occhi di una madre preoccupata, che forse si accorge troppo tardi di quanto il suo bambino sia ormai un ragazzo grande, con le strade della vita che gli si aprono davanti mentre lei, forse, non può farci più nulla. E ti guarda con un po’ di odio, perché, proprio quelle cose, da te non voleva sentirle.
Ma non solo questo, per fortuna. Perché a volte c’è la madre con cui ti capisci subito, a cui dici parole che un secondo prima non avresti mai pensato di poter dire in quell’aula, seduto su quella scomoda sedia davanti a un banco istoriato di parolacce. Alla mamma di Silvia, per esempio, hai detto che la ragazza soffrirà molto, che è nella sua indole, che sarà così. E lei ti guardava pensando che sì, che lo sapeva già, che si è rassegnata da molto tempo; e che, piuttosto, si meravigliava che anche tu lo avessi capito. È una cosa che si vede fin troppo bene, signora, fin troppo, le hai detto di fronte al suo sospiro incredulo.
E ancora i numeri, ovviamente. I voti che alcuni non sanno, che si perdono nel tragitto tra scuola e casa, voti che il ragazzo non ha mai detto e che sono, per forza, voti brutti. E quindi i volti dei padri che si accigliano, non dicono niente, fremono e sopportano; oppure invece, dopo qualche secondo, dicono: «Sì, ora che me lo dice, effettivamente, mi ricordo… Mio figlio ce lo aveva detto, sì, è vero, mi sono dimenticato io». Ma non è vero, invece, lo sapete entrambi e fate finta. È che, nonostante tutto, nonostante l’amarezza, il rischio di essere mortificati lì davanti all’uomo adulto che fa il mestiere di insegnante, nonostante tutto questo, c’è sempre bisogno di proteggere il ragazzo, di non penalizzarlo, di non farlo sfigurare. Ce la vedremo stasera a casa, pensa quel padre, mentre ti dice che sì, ora che ci riflette, sapeva anche di quel 4 in italiano.
E, invece, l’imbarazzo assurdo della mamma di Veronica. Che ha fatto una terza sorprendente, straordinaria; una ragazza a cui non riesci più (e nemmeno ci provi) a dare un voto che sia più basso del 9. E lei, la mamma, che parla quasi solo dialetto, leggermente arrossita, guarda in basso, verso la punta delle scarpe sotto il banco, e ti dice che sì, lo sappiamo, siamo contenti, è una ragazza responsabile. E tu vorresti aggiungere che c’è ben altro che responsabilità, che c’è talento in Silvia, e grazia ed eleganza e acutissima curiosità intellettuale, in tutto quello che Veronica fa. Ma non importa, lo dirai la prossima volta, ci vedremo per altri due anni. Ti tieni il meglio per un’altra volta, e la saluti, la guardi uscire, vacillante, con gli occhi umidi per l’emozione.
E tutti, tutti questi uomini e queste donne che hanno la tua età e dei figli ormai grandi, tutta questa fila di persone a cui la vita ha regalato l’impegno di allevare uno, due, tre a volte quattro ragazzi, che studiano, che non studiano, che fanno finta di studiare, che chiedono attenzione e amore, che non danno niente in cambio, che aspettano di cominciare davvero a vivere, che se ne andranno un giorno con una fidanzata.
Così, al papà e alla mamma di Mariaelena, che sono venuti insieme, hai detto, a un certo punto, sorridendo: «Mi immagino la vostra fatica, davvero. E a volte mi chiedo come facciate, dove troviate la forza e l’energia per ricominciare tutti i giorni il vostro mestiere di genitori…» E la mamma di Mairaelena ha sorriso, come dire che era dura, che avevi ragione. Ma il padre, che fino a quel momento era stato sempre zitto, ti ha detto: «Però, lo sa anche lei, a volte è anche molto, molto bello». E sei rimasto zitto tu, a quel punto, tu che invece non lo sai, zitto e attento a guardarlo negli occhi per cercare di capire, zitto finalmente.
Mia madre, anziana professoressa all'ultimo anno di scuola, mi ha sempre detto di aver finalmente capito l'insegnamento nel suo senso profondo quando è diventata madre.
RispondiEliminacontenta di aver ritrovato gli scritti dello scorfano. Mi sembrò di perdere qualcosa quando lessi del suo abbandono, e spesso sono tornata a controllare se gli fosse tornata la voglia di scrivere. Insegno anch'io, già da molti anni ormai; con l'avvicinarsi del pensionamento vivo spesso e non senza angoscia la sensazione che tutto sia stato ormai pensato e detto, che sia inutile indagare oltre e cercare di capire la realtà, che l'unica possibilità sia quella di accettarla rassegnati lasciandosi proteggere da un velo di ovattante egoismo. Ma questo si accompagna a sensazioni e timori di aridità, di vuoto colpevole, finchè le parole di chi ancora sente le cose bruciare sulla pelle ti aiutano a non lasciar del tutto allontanare almeno il fantasma di quello che sei stata.
RispondiElimina@profSil
RispondiEliminaDiventare madre comporta capire qualcosa in più? Certo, credo. Ma non solo. Per me, diventare padre è stata una svolta, il punto in cui la mia vita prima è diventata diversa dalla mia vita dopo.
E' stato il punto a partire dal quale ogni discorso che riguarda "i figli" inizia a toccarti. E toccarti pesante.
Grazie del post, Scorfano :-)
@profSil
RispondiEliminaIo, naturalmante, spero che non sia proprio così. O comunque spero di comnprendere altre cose, altrettanto utili e valide... ;)
@la gentile Anonima
RispondiEliminaGrazie; provando appunto a non cedere a certe sensazioni di vuoto (insegno da 17 anni, ormai: sono quasi un veterano anch'io)