di lo Scorfano
Mentre sono in prima, appena iniziata la lezione di italiano, sento che bussano alla porta: e poi entrano, in fila sorridente, quattro ragazzi di quinta. Li conosco bene, perché sono stati miei alunni per due anni: sono Francesca, Flavia, Guido e Andrea. Entrano e salutano: «Buongiorno». «Ciao» dico io, e chiedo che cosa vogliano. «Niente» mi dicono loro, «volevamo solo salutarla». «E non avete lezione?» chiedo io. «No. L’insegnante è assente e non c’è nessun supplente.»
E poi tacciono, come se toccasse a me dire qualcosa: ma io non so cosa dire, non so cosa davvero cerchino, non capisco mica bene. Poi Andrea trova un po’ di coraggio: «Avevamo un po’ di nostalgia, prof. Possiamo stare qui a sentire la lezione?» Io sorrido: «Ma guardate che oggi facciamo analisi logica, sarà noiosissimo!». «Va bene lo stesso, prof» mi dice Francesca. E io allora li lascio stare in fondo all’aula, in piedi, perché banchi liberi non ce ne sono. E comincio a fare la mia lezione, a tirare fuori qualche esempio e qualche frase. Ma loro sono lì, ovviamente, in piedi. E rendono la situazione piuttosto innaturale, per me come per i primini, che sono un po’ imbarazzati. Sto quasi per chiedere che se ne vadano…
Ma poi mi domando ancora perché, perché stiano lì in piedi, invece di andare al bar, o a perdere tempo in cortile, o in giro in corridoio. E allora glielo richiedo: «Ma di che cosa avete nostalgia, ragazzi?»
Mi risponde Guido, che è sempre stato, anche da ragazzino, il più pronto. Mi risponde Guido e mi dice: «Boh, prof, c’è qualcosa di strano in questa idea che il liceo finisca. È come se per la prima volta ci rendessimo conto di una strada che abbiamo fatto… O qualcosa del genere. Parlavamo tra di noi dell’università, stamattina, e a me è venuto in mente il passato, prof. E, le giuro, non mi era mai venuto in mente prima». «Non avevi mai pensato al passato?» chiedo io. «No, prof. Non ci avevo mai pensato, non al mio passato, almeno. Non ce l’avevo mica, un passato. Come loro (e indica i primini): ero qui, stavo bene, imparavo cose, prendevo voti, aspettavo il sabato, poi aspettavo l’estate, imparavo altre cose e prendevo altri voti. Ora invece arriverà l’estate e cambierà tutto. E questo posto sarà il mio passato e a me, una cosa del genere, non era mai capitata. E allora l’ho detta a loro, questa cosa del passato, e loro mi hanno detto: “Andiamo a trovare lo Scorfano!” E adesso siamo qui.»
Io resto un attimo zitto, un po’ sorrido, un po’ sono perplesso. Poi guardo i primini e dico: «Hanno paura, avete visto? Hanno paura di diventare grandi…» E i primini ridono. E in realtà ridono anche Guido, Andrea, Francesca e Flavia. Ridiamo quasi tutti, ed è giusto, mi dico io, perché la paura ha spesso bisogno di qualche risata per essere tenuta lontana. Ma la capisco bene, però, la loro paura. Capisco benissimo quella loro idea di un passato che cominciano ad avere e che li sorprende, li coglie alle spalle per la prima volta. Forse è una paura che rircordo anche io di avere avuto.
E intanto guardo i miei ex alunni e li ripenso quando erano quattordicenni, tutti al presente. So che dovrei dire qualcosa di importante, ma non so cosa dire o forse non ne ho nemmeno voglia. Mi basta questo, che siano qui, in qualche modo ho l’impressione che basti anche a loro: sono venuti in quast’aula a ritrovare un po’ del loro passato, che improvvisamente hanno scoperto, stamattina, di avere, proprio mentre gli si spalanca di fronte il futuro: l’università, una città nuova e forse lontana, l’estero nei sogni di qualcuno, nuove amicizie, qualche grande amore. Però sono venuti qui a salutare, ad accomiatarsi: e hanno fatto bene, penso io. Perché è importante sapere che cosa ci si è lasciati alle spalle: aiuta a prendere coscienza di quello che si ha davanti. In fondo, anche questo facciamo a scuola (oltre alla normale quotidiana propaganda di sinistra, ça va sans dire): costruiamo un passato a ragazzi che non ne hanno. E che da qui partiranno per scoprire un piccolo pezzo di mondo. O almeno speriamo.
E poi la lezione va avanti: i ragazzi di quinta ogni tanto intervengono, ogni tanto li coinvolgo io, la spiegazione viene abbastanza bene, la tensione si scioglie, oggi non do nessun voto e va benissimo lo stesso. Quando suona la campana è mezzogiorno e i primini hanno già finito la loro mattina. Il più svelto ad alzarsi per correre via è il solito Paolino, che deve prendere il primo autobus che passa. Paolino va verso il fondo dell’aula per prendersi il giubbotto, ma proprio lì c’è Francesca, di quinta, ancora appoggiata all’attaccapanni. E allora Paolino le dice, gentilmente: «Mi scusi, posso passare?» E poi corre via.
Francesca resta un attimo lì, stupita e senza parole. Poi mi dice: «Prof, si rende conto, mi ha dato del “lei”!». Io le sorrido e so che è un sorriso vero, di quelli che raramente si fanno così facilmente. E le dico: «Ti ci dovrai abituare, bella mia. Ti ci abituerai…» Ma lei lo sta dicendo a tutti e tre i suoi compagni, incredula: «È pazzesco! Mi ha dato del “lei”!». E gli altri ridono e poi usciamo dall’aula, abbiamo ancora un’ora di lezione, poi ci sono le vacanze di Pasqua e poi tutto finirà in un attimo, e sarà giugno. Li saluto e dico: «Arrivederci, Signori!» E loro, ridendo, mi rispondono: «Arrivederci, Signore!». Anche se tutti e cinque sappiamo bene che, come ci siamo visti in questi anni, non ci rivedremo mai più. E ciao, ragazzi.
Sai che io ho fatto esattamente la stessa cosa in quinta? Ma proprio uguale. Anche se ero da solo e non in gruppo.
RispondiEliminaIo, per quanto riguarda me personalmente, non ricordo. Però evidentemente la necessità di un commiato è un dato comune; e credo sia un bene che sia così.
RispondiEliminaA me una prof ha dato del Voi quando avevo 16 anni. Mi sono guardato dietro per vedere se per caso ci fossero altri olre a me. :-)
RispondiEliminailcomiziante
Qualche prof che dava del Lei, l'ho conosciuto anch'io. Ma ormai sono scomparsi. Un quattordicenne che dà del Lei a una diciannovenne è curioso...
RispondiEliminaProf, lei scrive dei post troppo belli.
RispondiEliminaLa maggior parte delle volte ho bisogno di pensarci così a lungo che non riesco a commentare :-)
Grazie a lei, prof. Si prova a raccontare un mondo prima che gli altri lo raccontino troppo male, tutto qui.
RispondiEliminaLei, prof, ha la possibilità di vivere delle emozioni che a noi comuni mortali sono negate.
RispondiEliminaLo sappia.;-)
Nel bene e nel male, caro Zagabart, lo sappia. ;-)
RispondiEliminaAlcuni studenti (mi dicono anche i miei colleghi) tornano dicendo esplicitamente che in Università gli manca qualcuno che li richiami per i ritardi; oppure per il clima di classe che non ritrovano più nelle aule; perché non si sentono più chiamati per nome.
RispondiEliminaAnche questa mi sembra una prospettiva interessante, pensando al nostro lavoro...
Che poi, Monica, se i miei ex alunni venissero negli anni successivi a dirmi cose come quelle che tu riferisci, a me dispiacerebbe: perché mi parrebbero poco cresciuti e mi sentirei anche un po' responsabile di questa loro poca crescita.
RispondiEliminaI quattro dell'altro giorno sono invece ancora al liceo; e la loro mi è sembrata una presa di coscienza importante, se non mi sono sbagliato.
Su quel che dici tu (commento delle 16.15), non so... Semplicemente, registro quel che dicono. Quando io sono andata all'università, ero gasata di andarci, di poter scegliere finalmente la mia strada; ero grata per il percorso che avevo fatto, ma ero contenta di cominciare una cosa nuova, mi sembrava giusto così.
RispondiEliminaE' che nella nostalgia di cui parli tu (mi sembra) ci sia dentro, per gli studenti cui accennavo prima, un po' di questo essere "attaccati" al passato, anche quando lo si viveva prima in modo un po' pesante/pedante; altrimenti, perché ritornare?
Sempre abbiamo delle responsabilità; d'altra parte, chi ha responsabilità sui miei alunni è anche il mondo che poi li prende, le famiglie che hanno, ecc. (così direi anche a te, se i tuoi dovessero mai confessarti le stesse cose...)
L'attaggiamento con andai io all'università era lo stesso che descrivi tu.
RispondiEliminaForse per loro è diverso, non so. Forse il futuro che loro hanno davanti è meno facile di come era il nostro (o di come noi ce lo immaginavamo). E questo pensiero agisce già adesso, che hanno meno di vent'anni. Può anche darsi che sia così.
Dedicata ai tuoi ex alunni di 5^
RispondiElimina"Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia."
Giorgio Caproni
"Congedo di un viaggiatore cerimonioso". Giuro, l'ho riconosciuta subito... (anche perché è obiettivamente una delle poesie più belle del '900).
RispondiEliminaGrazie a lanoisette.
Un bel post. Anche commovente.
RispondiEliminaIo so di sicuro che non l'ho fatto, di guardarmi indietro in quel modo. Ma lo fanno molti dei miei ex-alunni, adesso, che in prima superiore tornano nella mia nuova prima e mi dicono: siamo venuti a salutarla.
E... sì, i ragazzini di undici anni danno del lei a quelli di quattordici! :-)))