Ogni giorno mi trovo a fare i conti con la cultura che si avvicina allo spettacolo e non, come si aspetta un ingenuo come me, il contrario. Spiego cosa intendo. In libreria sono sempre di più i libri tolti dagli scatoloni che hanno a che fare con la televisione e con lo sport (che ormai ha un ampio terreno nei palinsesti televisivi). Questi libri, vi sarete resi conto, hanno un posto assicurato nelle classifiche dei titoli più venduti o letti. Libri di cucina proposti da uomini e donne della televisione, gialli scritti da ex uomini della televisione, biografie di uomini e donne della televisione e saggi di teologia posticcia di uomini e donne della televisione.
Questa è cultura? Sì, anche questa, ormai, è cultura. Quando in estate o a Natale gli alunni mi mostrano la loro lista di libri consigliati dai professori, noto che accanto ai classici (pochi) compaiono anche titoli di chi un pezzetto di televisione, e radio, contemporanea l’ha fatta. Fabio Volo, per esempio. “Ma com’è possibile che una professoressa giochi le sue cartucce arruolando in un discorso culturale e letterario Fabio Volo?”. Succede non perché la gente dello spettacolo (scusate l’espressione) è andata verso la letteratura, ma perché la letteratura, o meglio le case editrici che la rendono concreta, hanno deciso di rendere servizio allo spettacolo.
Inevitabile prevedere la sconfitta di chi, come me, pensa che la saggezza, la letteratura e la cultura possano dare una svolta alla politica e ai meccanismi ben oliati della società civile. “Una svolta”, si dice spesso in politica. Oppure “un’alternativa”. Ecco, queste due cose non potranno mai accadere, per il semplice fatto che i partiti che sono nati anche da esigenze culturali e intellettuali, ormai utilizzano la grammatica e il linguaggio dello spettacolo. Se decidiamo, anzi, se decido di scendere in campo e combattere gli imperi mediatici di Berlusconi non potrò fare altro che essere un uomo spettacolare e carismatico. Non potrò, quindi, mai utilizzare la mia tattica che io penso vincente: la noia. Già, perché penso che per ragionare bene e prendere decisioni azzardate, sagge e pure efficaci, c’è bisogno di intelligenza, profondità di pensiero, cultura e tranquillità, cioè c’è bisogno di lentezza e noia. Ma la noia non è spettacolo. La noia stufa le fidanzate, figuriamoci un popolo intero in preda alle tette e ai coriandoli della televisione berlusconiana.
Anche il giornale Repubblica, che dovrebbe parlare di noi e per noi (ma magari mi sbaglio) ha deciso di mescolare la cultura con lo spettacolo. La voce in alto della homepage ci dice “Spettacoli e cultura” e ogni mattina mi dispiaccio un po’ per questa cosa, di vedere la cultura a braccetto con lo spettacolo. Anche Il Post, che è un giornale online ben fatto e ritagliato da persone competenti, sotto la voce cultura mette, come si suol dire, un po’ di tutto.
Io ho questa fissazione per il prologo dell’Agamennone di Eschilo e per il monologo della guardia posta sopra il tetto della casa degli Atridi ad Argo. Come si fa con le poesie preferite, io ogni tanto mi vado a leggere lo sfogo di questa guardia che è posta lì ad aspettare quei segnali luminosi che annunciano la presa di Troia. Una fatica, la sua, che dura da un anno, accompagnato dalle stelle, dalle stagioni e dalla speranza di vedere questi benedetti segnali luminosi. Che poi, a un certo punto del monologo, arrivano e allora “o, salve fiaccola, che nella notte annunci una luce diurna e dai l’avvio a molte danze in Argo per questo evento”. Io ogni volta mi impressiono perché questa attesa è ingenua, inconsapevole del sangue che macchierà lenzuola e terra di chi da Troia è appena tornato vincente.
Scusate la forzatura, ma questa attesa delle “molte danze” e della presa di Troia è la nostra attesa e la nostra speranza. E ogni volta che si parla di cambiamento e sento Bersani e compagni lanciare “soluzioni alternative" o messaggi di incoraggiamento mi sento come la guardia di Argo. Continuo ad attendere come un incosciente, dimenticando ogni volta che via un nemico se ne presenterà un altro, e magari più forte e con più anticorpi. Scusate anche lo slogan, ma Berlusconi (per fare un nome a caso) è la conseguenza, non la causa. La causa è la manomissione (da parte di una cosa molto festosa, molto chiassosa e molto spettacolare) della cultura o dell’idea di cultura e intelligenza che abbiamo noi. Insomma, la noia e perché no, la pesantezza, non sembrano essere delle buone tattiche.
credo che il primo quotidiano a fare la sezione "Cultura & Spettacolo" sia stato (sigh) La Stampa, venticinque anni fa o giù di lì.
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